Ritratto di Fabio De Iaco:
il valore della professionalità




Lavoro e formazione professionale

Quali persone hanno più influenzato il suo modo di fare il medico e il ricercatore?

Molte, talmente tante da rendere difficile indicarne qualcuna. Certamente Rodolfo Cheli, grande gastroenterologo e maestro dei miei anni universitari, da cui ho imparato a visitare i malati, ma anche il rigore e l’impegno necessari nell’attività scientifica. Un altro, il mio vecchio primario di Imperia, Gianni Oddone, che mi ha lasciato libero di sviluppare idee nuove e mi ha insegnato quanto valga un capo illuminato, liberale, che stimola, sorveglia e protegge più che imporre, un esempio che cerco di seguire tuttora. Sulla mia strada, poi, ho trovato diversi maestri che ho potuto solo sfiorare, nel panorama di una Medicina d’Emergenza Urgenza che cercava una propria specifica identità, dai quali ho rubato moltissimo in tanti differenti settori.

Come cambierà la Medicina nei prossimi anni?
O, meglio: qual è il cambiamento (o i cambiamenti) più radicale che si attende?

La progressiva tecnologizzazione della Medicina cambierà il ruolo del medico: dovremo imparare a gestire una mole di informazioni inaspettata. E soprattutto dovremo moderare la percezione crescente della Medicina come “scienza esatta” riportando le decisioni a una dimensione meno matematica e più naturale. Personalmente ho sempre amato il paragone del medico con il bravo artigiano, piuttosto che con lo scienziato.

Gli algoritmi, l’intelligenza artificiale, offrono grandi vantaggi e sconvolgeranno intere specialità mediche: dovremo imparare a governare un cambiamento epocale, in un ruolo nuovo che imporrà considerazioni nuove di carattere etico, clinico e legale.

E poi c’è un tema ancora più generale, l’equità delle cure. Nuovi farmaci con risultati entusiasmanti ma prezzi irragionevoli, tecnologie avanzate che aumentano i costi senza reali vantaggi (si parla troppo poco di “flat of the curve healthcare”): dovremo fare scelte sostenibili ed eque, che hanno necessità di un’alleanza vera tra medicina e politica. Non sarà facile, e i presupposti non sono dei migliori.

Qual è la parte del suo lavoro più gratificante? E quella più noiosa?

È banale: il contatto con le persone, la possibilità di dare delle risposte, qualche volta – e in Medicina d’Emergenza Urgenza succede spesso – la capacità di definirne un destino positivo a fronte di un evento drammatico. Chiunque trova gratificante tutto questo. Ma da primario, o anche da Presidente della Società, è altrettanto gratificante riuscire a far sì che la struttura esaurisca positivamente il proprio compito: gli anglosassoni dicono “making things happen”, far succedere le cose. È più difficile, certo, e capita meno spesso.

Sulla noia inutile dirlo: tutta la parte burocratica, ma anche le innumerevoli riunioni inutili, il cui risultato conosci prima ancora di cominciare e che tuttavia ti inchiodano a una sedia per ore totalmente sprecate.

Qual è stato il suo primo “esame”, non intendendo con questo gli impegni scolastici?

Mentre uscivo da casa per la mia prima notte di Pronto Soccorso, a Bordighera tanti anni fa, dissi a mia moglie: “Speriamo solo non mi capiti di dover cucire un bimbo”. Appena entrato in turno ho trovato un bambino di quattro o cinque anni, figlio di un’infermiera del Pronto Soccorso, da suturare sul volto. C’ero solo io e quella cosa andava fatta: arriva un momento in cui i tuoi limiti, le tue titubanze, i tuoi dubbi, non hanno più diritto di esistere di fronte alle necessità cui rispondere. Quella volta l’esame andò bene, fortunatamente: da allora si è riprodotto innumerevoli volte. E non credo di averle superate tutte.

Lettura, scrittura aggiornamento

Quale forma di aggiornamento le sembra più utile?
Leggere le riviste scientifiche?

Al San Martino di Genova, oltre trent’anni fa, il mio Primario aveva una biblioteca sterminata, costantemente aggiornata e ordinatissima, contenente tutte le maggiori riviste scientifiche: ci passavamo pomeriggi interi, per non parlare delle nottate prima di un congresso o di una pubblicazione. Durante il tempo della pandemia mi sono affidato a Twitter, era un appuntamento quotidiano: i buoni contatti permettono di essere informati in tempo reale, e ti offrono i link più importanti.

Lei ha organizzato il più recente congresso della Società italiana di Medicina di Emergenza Urgenza (SIMEU): quanto impegna l’organizzazione di un congresso nazionale?

Moltissimo: è innanzi tutto un impegno dal punto di vista organizzativo ed economico. Devi circondarti di persone professionali e capaci, ma anche profondamente oneste. Il congresso deve essere l’obiettivo stesso della tua attività, non lo strumento per altri fini che possono essere economici, promozionali, o altro. Nel caso della SIMEU il fatto che il nostro congresso abbia cadenza biennale dimostra la volontà di offrire davvero novità e aggiornamenti significativi, che con una cadenza più ravvicinata sarebbero molto meno possibili.

Anche se la domanda può sembrare impertinente: andare ai congressi è ancora utile?

Come dev’essere un convegno per essere utile al medico?

La domanda non è affatto impertinente! Anzi, è la domanda principale che ci si dovrebbe porre sempre. Personalmente parto da un presupposto: se l’obiettivo deve essere l’aggiornamento e l’arricchimento delle conoscenze, allora vale la famosa “scala dell’apprendimento” nella quale la lezione frontale avrà un’efficacia decisamente bassa, perché i fruitori alla fine porteranno a casa realmente non più del 5% di quanto hanno sentito. In questo senso, probabilmente, il valore di un intero congresso potrebbe stare nella presenza di uno o due opinion leader pesanti, che facciano interventi davvero seminali: esistono soluzioni più efficaci ed economiche di un congresso che impone la migrazione di migliaia di professionisti.

Sicuramente sono condizionato dalla particolare posizione della Medicina d’Emergenza Urgenza nel panorama medico nazionale: ritengo che il valore più alto di un congresso, almeno per noi, sia quello identitario e motivazionale. Riconoscersi e incontrarsi tra colleghi, definire il valore della nostra attività in un contesto che è sociale prima ancora che professionale. Per questo nel congresso genovese abbiamo fatto alcune scelte particolari: dalla sessione di apertura, in cui le aspirazioni e i punti di vista dei nostri professionisti hanno cercato una sintesi con vari esponenti della società civile, alla sessione plenaria del pomeriggio seguente, in cui abbiamo interrotto lo schema usuale delle molteplici sessioni parallele proponendo a tutti un’unica lunga sessione, molto serrata e con tanti relatori, in cui l’attività della disciplina e della società scientifica veniva presentata sotto molteplici aspetti (un esperimento rischioso, questo, ma che ha avuto un lusinghiero successo), fino alla chiusura del congresso, quando abbiamo lasciato il microfono aperto a chiunque volesse intervenire, con un particolare ascolto per i nostri specializzandi. Quasi un “flusso di coscienza”, come si dice, dal quale trarre indicazioni precise per le direzioni future. Naturalmente l’aggiornamento e il dibattito sulle questioni scientifiche più aperte non sono certo mancati. Ma alla fine il congresso nazionale deve essere una festa: seria, certamente, ma pur sempre una festa, dalla quale esci con un sentimento positivo, con la voglia di migliorare nel tuo piccolo contesto ma anche con la forte consapevolezza del tuo ruolo e dei tuoi obiettivi.

Riceve newsletter di riviste generaliste come NEJM, Lancet o BMJ o di riviste specialistiche?

Qual è la sua rivista scientifica preferita?

Confesso di riuscire a leggere sempre meno, ma resto caparbiamente iscritto ad alcune newsletter. Per interesse specifico seguo gli Annals of Emergency Medicine, i cui contenuti spesso sono utili perché anticipano tematiche che si ripropongono in Italia successivamente: anni addietro ho saccheggiato tutta la produzione sulla sedazione in emergenza, argomento sul quale mi spendo da anni che ha comportato, ma continua tuttora, un serrato confronto tra categorie professionali differenti.

Che tipo di “informazione scientifica preferisce? Articoli brevi con molti rimandi esterni e ricca bibliografia? Le rassegne narrative hanno ancora una loro utilità? Le sono utili – e usa – strumenti come Dynamed o UpToDate? Pensa sia corretto considerare le revisioni sistematiche il riferimento più affidabile?

Quel che cerco nell’informazione scientifica è la possibilità di orientare al meglio le decisioni, e questo compatibilmente con il tempo a disposizione per informarmi e la tempesta continua di produzioni più o meno scientifiche. Ho necessità di sintesi, che non significa accettare supinamente i messaggi, ma indirizzare al meglio le risorse. In questo senso le rassegne narrative possono essere molto utili ma sono fortemente condizionate dall’autorevolezza degli autori. Le revisioni sistematiche sono utilissime, ma inevitabilmente non sempre sono in grado di fornire risposte. Uso UpToDate abbastanza spesso: per qualcuno è una scorciatoia, ma nel nostro mondo ben vengano le scorciatoie se sono utili e affidabili.

Come potrebbe cambiare in meglio la letteratura scientifica?

Diminuendo, perché ce n’è decisamente troppa. Diventando realmente indipendente e trasparente, in particolare rispetto alla grande industria farmaceutica. Ricevo quasi giornalmente inviti a pubblicare su riviste predatorie. Va limitata la pressione a pubblicare che subisce chi lavora in ambiente accademico, la ricerca della citazione.

Mi rendo conto di dire delle ovvietà. Del resto la letteratura scientifica subisce le stesse dinamiche che impegnano l’informazione generale nel mondo: l’inevitabile crisi delle vendite e degli abbonamenti prodotta dall’avvento del web pone un enorme problema di sostenibilità dell’informazione indipendente, che non è stato risolto finora. E confidare nella capacità di giudizio del singolo lettore spesso rimane l’unica possibilità, ma è insufficiente e pericoloso: a fronte di molte grossolanità facilmente individuabili, tutti noi possiamo essere tratti in inganno da messaggi più raffinati, magari prodotti da chi ha grandi interessi e grandi mezzi.

Le capita ancora di sfogliare l’edizione cartacea di una rivista o consulta la letteratura solo su internet? Legge articoli scientifici sullo smartphone?

Non ricevo riviste cartacee da tempo, ormai. Leggo solo su smartphone o computer. Qualche volta, quando voglio studiare un argomento più a fondo, mi impegno nella ricerca bibliografica e stampo quel che mi serve per poi pentirmi per lo spreco di carta e per l’inutilità di quelle stampe. La memoria del computer o solo del telefono, associata a una buona app per archiviazione e ricerca su pdf, mi è sufficiente e più comoda.

Accettare consigli da colleghi è utile o rischioso?

Purchè il consiglio non sostituisca il nostro autonomo giudizio, perché mai dovrebbe essere rischioso? In medicina il confirmation bias è uno dei pericoli più costanti: si può superare solo attraverso il confronto tra “peers”, come si dice. Se per consiglio intendiamo confronto, allora è non solo benvenuto, ma necessario.

La medicina basata sulle evidenze è ancora attuale? Cosa rende difficile che l’EBM sia alla base della didattica nelle facoltà di medicina?

È una domanda veramente difficile. Da non esperto mi sento di affermare che uno dei migliori effetti dell’EBM sta in quel che toglie. Voglio dire che l’effetto di debunking, di demolizione di miti, dogmi, consuetudini ingiustificate è quel che ho più apprezzato in questi anni e mi ha concretamente aiutato in un’intensa attività di formazione sul dolore, sulla sedazione, sulla gestione del paziente pediatrico o dell’anziano, ma più in generale in tutta l’attività di Pronto Soccorso. Credo che per poter far sì che le evidenze guidino le decisioni sia necessario avere una coscienza critica particolarmente sviluppata: l’EBM deve essere anch’essa uno strumento e non può sostituire il valore del giudizio. Il vero obiettivo della didattica dovrebbe essere questo: ma si scontra con una generale diminuzione della capacità critica che coinvolge, è inevitabile, anche chi studia o fa (o insegna!) medicina. Anche in questo caso la medicina non è diversa da tutte le altre attività, e sconta un’evoluzione negativa delle capacità cognitive e decisionali che è, purtroppo, generale. Vorrei tanto sbagliare…

Come definirebbe un “esperto” in campo medico? Internet e la disponibilità di mille e intelligenti pareri mette in crisi l’utilità degli “esperti”?

A costo di ripetermi, l’esperto non è chi conosce tutto nel suo campo, perché sarebbe impossibile, sia per la mole enorme di materiale a disposizione e in crescita continua, sia perché la conoscenza, intesa nella sua accezione “enciclopedica”, non necessariamente porta al giudizio più corretto. L’esperto è colui che, combinando conoscenza, esperienza e valori, può fornire risposte critiche. E poi c’è l’effetto Dunning-Kruger: il vero esperto è il più modesto e rispettoso tra tutti gli invitati alla tavola rotonda. E questo depone a favore della grandissima utilità degli esperti, soprattutto nel panorama scientifico già descritto.

Passioni e tempo libero

In cucina preferisce stare ai fornelli o a tavola? Quale ricetta suggerirebbe ai nostri lettori?

A tavola, assolutamente, ed è meglio per tutti! Sulle ricette ho difficoltà a sceglierne una: passo dalla semplicità di un buon pesce messo al forno con pochi aromi (ma le olive taggiasche non possono mancare) alla complessità, che mai mi azzarderei a provare, della ricetta del “cappon magro” ligure: un trionfo.

Ha libri sul comodino?

Una pila: alcuni iniziati, altri da leggere, qualcuno da eliminare. Fino a qualche anno fa mi era impossibile abbandonare un libro senza averlo concluso: oggi mi comporto molto diversamente, anche se con un filo di senso di colpa. Probabilmente vivo un deficit d’attenzione sviluppato negli anni, forse per l’età. Ma non riesco più a impegnare il mio tempo in occupazioni che non ritengo utili o piacevoli.

Qual è il suo romanzo preferito?

Non so davvero rispondere: non riesco a trovare un preferito. Ma le farò una confessione un po’ imbarazzante, che sicuramente mi esporrà a prese in giro: da bambino, nei volumi del Readers’ Digest acquistati da mio padre che contenevano romanzi condensati, mi capitò di leggere l’autobiografia di Cronin, “Avventure in due mondi”, che mi colpì moltissimo. La storia di un medico tra lo studio scozzese ricco e alla moda e l’opera di medico delle miniere. Quando l’anno scorso, cambiando casa, ho trovato un’intera collezione di libri di Cronin, con edizioni che arrivano dagli anni ’40, me la sono fatta regalare dal proprietario: è in libreria, ma prima o poi ci metto mano. Sarà tempo inutile, forse, ma piacevole.

Legge e-book?

Certamente. Ma è più facile che compri libri cartacei: non riesco a staccarmi dalla carta soprattutto quando la lettura è per piacere e non per utilità professionale.

Ricorda l’ultimo libro che ha regalato?

È recente: “Il vecchio al mare”, di Domenico Starnone. La storia di un vecchio che ha la fortuna di scegliere la direzione nella quale invecchiare e morire, dando il valore e lo spazio che sono giusti per lui alle piacevolezze anche un po’ frivole e alle grandi questioni esistenziali. Ci trovo un insegnamento, ma anche una speranza personale.

Usa WhatsApp anche come mezzo per comunicazione di lavoro?

Assolutamente sì. So bene che ci sono problemi importanti relativi a privacy e protezione dei dati, ma chi nega che WhatsApp sia stato indispensabile, per esempio, durante la pandemia, mente sapendolo. Durante la seconda ondata del Covid ho dovuto coordinare l’attività dei Pronto Soccorso della regione nella quale lavoro: senza WhatsApp sarebbe stato molto meno possibile. La velocità e la condivisione delle informazioni permessa da WhatsApp non hanno ancora trovato un equivalente legalmente praticabile.

È “utile” usare i social network come Facebook o Twitter?

È inevitabile, e quindi è utile. Naturalmente con tutte le riserve, le accortezze, i limiti necessari, che sarebbe troppo lungo descrivere. Ma chi si dichiara fuori dai social è semplicemente fuori dal tempo.

Qual è la città italiana dove va più volentieri?

Per l’affetto Genova. Per la bellezza e l’atmosfera Roma e Napoli. Ma anche in questo caso non ho una risposta tassativa.