Recensioni.




“Il valore della ricerca.

Storia ed eccellenze dell’Istituto Mario Negri”

Ci sono libri difficili da recensire e “Il valore della ricerca” è uno di questi. Questo è il motivo per cui questa nota esce a distanza di un anno dalla pubblicazione del volume, uscito nell’agosto del 2023. L’utilità della lettura di queste pagine è nell’opportunità che offrono di entrare tra le mura dell’Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri, una delle istituzioni private che ha concretamente aiutato a costruire il servizio sanitario nazionale italiano, ad aiutare i medici di tutto il mondo a curare i pazienti sulla base dei risultati della ricerca e i dirigenti sanitari più illuminati a disegnare politiche di sanità pubblica sicure ed efficaci. Quando parliamo di “mura”, intendiamo quelle della prima sede, quella di viale Eritrea nel quartiere milanese di Quarto Oggiaro, dove l’Istituto è nato ed è cresciuto arrivando a essere un riferimento internazionale.

“Il valore della ricerca” è un libro di interviste della curatrice – Cinzia Colombo, ricercatrice dell’Istituto – a una serie di colleghi che hanno vissuto esperienze significative al Negri, con diverse responsabilità e di differente durata. Le conversazioni – in realtà non dovremmo definirle così perché purtroppo nessuno degli intervistati rivolge una domanda a Colombo, se non altro per avvicinarsi a capire cosa sia diventato oggi il Negri – sono tutte con persone che hanno lasciato l’Istituto. A leggere queste storie – molte conosciute per averle vissute “in diretta” – è inevitabile chiedersi la ragione di questa ritmica emorragia di competenze. Forse perché la porta dello studio di Silvio Garattini – fondatore e direttore – era davvero sempre aperta, consentendo sia l’ingresso sia l’uscita. La ricostruzione di Colombo è attenta a evitare di prender parte (e sì che in qualche passaggio la tentazione ci sarebbe): gli avvenimenti sono raccontati in maniera da lasciare al lettore l’onere di tirare le conclusioni. Come quando, leggendo delle notti insonni del giovane Corrado Barbui – nell’attesa di dover comunicare a Garattini la decisione di lasciare l’Istituto per andare a lavorare a Verona con Michele Tansella – un lettore ingenuo potrebbe sorprendersi nello scoprire la reazione del direttore: «Congratulazioni» e poi «Arrivederci, e adesso mi lasci che ho da fare».

È una frase che non ti aspetteresti possa essere stata pronunciata in un contesto – come quello del Negri – così permeato da valori: al punto che in chi ne ha seguito la storia possa essersi radicata la convinzione che proprio i valori – ancor più che le competenze – abbiano potuto sorreggere una storia pluridecennale. «Io mi identifico in una parte del mondo della scienza che ha alcuni valori, alcuni ideali. Non esiste un mondo unico della scienza, la scienza è mondo eterogeneo al cui interno vengono espressi valori e posizioni diverse. C’è una responsabilità sociale del mondo della scienza che può essere giocata nel bene se sostiene alcune cose – a mio parere – e nel male se ne sostiene altre». In queste parole di Alessandro Rambaldi c’è molto del Negri e altrettanto del senso di questo libro. Perché le testimonianze raccolte da Colombo sono tutte interessanti ma in certo qual modo riconducibili ad almeno due prospettive: forse complementari ma diverse. Da una parte la dedizione all’eccellenza della metodologia della ricerca per la costruzione della conoscenza. Dall’altra il testardo perseguire la definizione di saperi utili al raggiungimento del diritto alla salute di cui ogni cittadino dovrebbe essere portatore.

Una parola che leggiamo in filigrana lungo le pagine del libro è “passione”. Quella di Benedetto Saraceno – da allievo di Franco Basaglia a responsabile della salute mentale dell’Organizzazione mondiale della sanità, passando in modo significativo per il Negri – o quella di Nicola Magrini – giovane ricercatore in farmacologia, poi costruttore con molti compagni di viaggio dell’esperienza del Ceveas di Modena. Ancora, altra parola chiave è condivisione – all’opposto di competitività – sintetizzata nel ricorrente ricordo del “Club delle 2”, una sorta di periodico ritrovarsi per ascoltare esperienze e progetti in prima persona da ricercatori ospiti dell’Istituto.

Ricorrono spesso nelle pagine del libro i nomi di Alessandro Liberati e Gianni Tognoni. Il primo – «una persona pragmatica con una sua visione precisa», lo ricorda Giovanni Apolone – portò in Italia nel 1994 la Cochrane Collaboration, la metodologia delle revisioni sistematiche e meta-analisi, oltre a un approccio rigoroso alla ricerca clinica ed epidemiologica indipendente. Il secondo, disegnatore degli studi di terapia cardiovascolare che più hanno caratterizzato la ricerca italiana, ma anche ispiratore dei movimenti per il riconoscimento dei diritti alle persone sofferenti di disagio psichico nell’Italia post-riforma 180 e tessitore della rete di cooperazione tra la ricerca clinica italiana e quella dei Paesi sudamericani. Anche lui ha lasciato l’Istituto, e i lettori di questo libro avrebbero meritato di saperne di più della sua storia, attraverso la sua diretta testimonianza e non solo tramite i riferimenti di chi è stato coinvolto nelle interviste pubblicate nel volume.

È un libro non facile da commentare proprio per queste ragioni: molto interessante, fortemente educativo. Sarebbe stato più completo se, oltre a ripercorrere la storia di chi ha lasciato l’Istituto, avesse esplorato i desideri, i successi, anche i rimpianti di chi al Negri è restato, costruendone la storia. È comunque un libro che non dovrebbe mancare nelle biblioteche mediche di ospedali e Irccs italiani. Che meriterebbe, soprattutto, diversi “Club delle 2” per essere raccontato, spiegato, approfondito. Perché conoscere la storia dell’Istituto Mario Negri è essenziale per capire la sanità italiana: quella che è stata e quella che rischia di diventare.




“Disfunzioni vegetative”

di Stefano Cagliano

«Nonostante le manifestazioni vegetative siano parte della costellazione di sintomi di moltissime patologie neurologiche […] e non-neurologiche, esistono alcune condizioni mediche in cui le alterazioni del sistema nervoso vegetativo rivestono un ruolo clinico centrale e il loro studio è fondamentale per un corretto inquadramento eziologico». Così, Pietro Cortelli nella sua Introduzione spiega il perché di un libro come “Disfunzioni vegetative” curato con Giuseppe Micieli. Stiamo parlando di 13 capitoli affidati a 48 autori per complessive 460 pagine. Ecco gli argomenti affrontati nell’opera: ipotensione ortostatica, disturbi della sudorazione, dolore neuropatico, alterazioni pupillari e della lacrimazione, disfunzioni del sistema nervoso vegetativo nell’ipertensione arteriosa, sistema nervoso vegetativo e aritmie cardiache, sistema nervoso vegetativo e malattie cerebrovascolari, disfunzione vegetativa nei disturbi del sonno, vescica neurologica, disfunzione erettile, disturbi vegetativi gastrointestinali, controllo vegetativo della respirazione e sue alterazioni, disfunzione vegetative da causa tossicologica e chimico-farmacologica. La bibliografia è ampia, aggiornata, credibile. La forma in cui il contenuto è proposto ai lettori è chiara e fruibile: il modo con cui è presentata un’opera è decisivo per suggerirne la lettura.

Da lettore sono rimasto davvero sorpreso non solo per la chiarezza espositiva, ma anche per la logica del ragionamento scientifico, che non rischia mai di condurre da una premessa biologica al suggerimento di un farmaco di efficacia e utilità discutibile, né di confondere ipotesi di ricerca – “la speranza” – con la realtà. Restando alla terapia, prudenza e segnalazioni di reazioni avverse hanno guidato il lavoro degli autori. Segnalerei infine che la conferma della qualità scientifica del testo viene anche dalla lettura del capitolo su Sistema nervoso vegetativo e malattie cerebrovascolari. 

In conclusione, un ottimo libro di complemento.