Un mondo di zombi

Vittorio Fontana1

1Medico geriatra, Ospedale Bassini, Cinisello Balsamo (Milano).

Le porte automatiche si aprono con un cigolio che dà fastidio alle orecchie, la barella passa veloce, c’è sopra un uomo e intorno a lui si affannano in tanti a cercare di rianimarlo. Passa l’uomo spogliato sulla barella e il tempo rallenta tutto intorno, come se un’onda facesse vibrare l’aria insieme al tempo e allo spazio. Saranno venti metri per la sala urgenza, possono essere lunghissimi. L’uomo gira la testa verso di me e mi saluta, e questo è davvero strano.

Butta lo sguardo alla prima porta dove c’è la sala pediatrica, dove c’era la sala pediatrica, solo che ora non c’è più, il pediatra lo hanno trasferito ad un’altra sede, ma ci sono ancora i pupazzetti per far giocare i bambini e al muro ci sono le tabelle per il dosaggio dei farmaci in base al peso. Ha un che di abbandonato come dopo un terremoto con i locali lasciati in fretta e furia. Dentro, seduta sulla barella, c’è una ragazza tutta tatuata con un dolore al petto da stamane che è aumentato mentre andava al lavoro in bici, ha un ecg strano, forse solo da ventenne, ripolarizzazione precoce, senz’altro niente di che, ma una troponina la facciamo lo stesso.

La barella passa davanti al bancone, ci sono Mattia, con i capelli biondi tinti, e Nicola, abbronzato appena tornato dal mare. Lui guarda anche loro.

È molto strano perché è morto.

Questo è un mondo di zombi, come quelle facce nei dipinti di Francis Bacon che si liquefanno, non bisogna farci caso, la vita e la morte stanno vicine.

C’è gente che ha paura di morire ma è solo un attacco di panico, gente che non respira da tre giorni ma fino adesso non aveva trovato il tempo per venire perché aveva altre cose da fare, asmatici sibilanti o peggio in silenzio respiratorio, cardiopatici troppo giovani con la paura di un altro infarto che per fortuna non hanno, anemici che vengono a trasfondere come se prelevassero allo sportello.

Scazzottati, accoltellati, ubriachi, assuntori incongrui di sostanze a scopo ricreativo, o suicidario.

Tentati suicidi con farmaci buttati giù come caramelle, forse solo dimostrativi ma tocca fare la lavanda gastrica, somministrare carbone attivo, dare sale inglese o robe simili, e poi tenerli in osservazione, perché qualche volta il QT si allunga con tutti quegli antidepressivi e antpsicotici e allora sono cazzi cioè… aritmie ventricolari. Domani lo psichiatra dirà se era una cosa seria, se merita un ricovero in Spdc o se lo dimetteremo e se ne andrà a faccia bassa e con le ciabattine di casa che strisciano sul pavimento in linoleum.

Gente che ha fatto la doccia ed è svenuta, ma era monossido di carbonio non un detergente troppo aggressivo. È andata bene in fin dei conti, lo mettiamo su un’ambulanza e lo spediamo in camera iperbarica in attesa di aggiornamenti.

Accumulatori seriali ritrovati sotto cumuli di oggetti e rifiuti, gli sollevi i pantaloni e sotto hanno ulcere delle gambe con i vermi, senza inventarmi niente.

Anziani soli o male accompagnati da figli e nipoti che vogliono solo tornare a casa a farsi i cazzi loro ma anche accompagnati da familiari troppo amorevoli che li conservano come mummie, vegetativi ma vivi, ultracentenari diafani che non hanno l’energia per morire e che stanno al mondo solo per compiacerli.

Disidratati d’estate che innaffi generosamente come gerani al sole.

Tanti perché: “Perché non è venuto prima?” “Perché è venuto così presto?” “Perché è venuto qui?”.

E nella tua testa: “Perché continuo a fare questo lavoro?”.

Ce lo chiediamo abbastanza spesso in questo luogo di confine, sempre di più negli ultimi tempi da quando tutto sembra perdere senso come acqua che gocciola da radiatori bucati.

Gli estetisti, gli influencer, gli agenti immobiliari guadagnano molto di più.

Gli evasori fiscali che reclamano cure gratis come per tutti gli altri se la passano molto meglio.

E niente notti, niente festivi, niente zombi, niente dolore, niente facce devastate dopo un turno pesante. Ditelo a Salvatore, detto Salvo, che vorrebbe tornare a casa a giocare con i suoi bambini ma si vede lontano un miglio che crollerà sulla prima sedia o sul divano, almeno fino all’ora di pranzo, altro che giochi.

Ti fai domande senza fermarti a pensare alle risposte.

C’è l’allergico gonfio come un pesce palla che sgonfi con una puntura di antistaminico e cortisone.

La giovane donna con un dolore addominale che potrebbe essere tutto e invece è niente.

C’è il codice bianco che aspetta da 365 minuti, come un piccolo anno passato qui con noi che ti verrebbe voglia di stappare una bottiglia di spumante.

Quello che si allontana che dovresti essere contento, uno in meno, e invece avresti voluto vederlo ed essere sicuro che non avesse niente.

E fibrillazioni atriali a mazzi, a ogni turno, tanto che il cardiologo non vuole più neanche sentirle nominare, gli viene una crisi isterica, una fibrillazione nervosa. Ed ora ci sono pure apparecchi che la predicono la fibrillazione atriale e ti fanno precipitare in PS con il sorriso a 32 denti per il livello di tecnologia di cui disponi. “Sto per avere una fibrillazione atriale me lo ha detto l’iPhone”.

Silenzio, non sai cosa dire. “Ma che cazzo ti ridi?”.

Una donna scrive alla direzione lamentandosi perché gli hai dimesso il padre che aveva il Covid ma stava benone e nel post scriptum aggiunge che fanno bene quelli che prendono a pugni i sanitari, la direzione ti chiede di presentare una relazione dettagliata.

Come? Ma non dovremmo denunciarla? No, qui si incassa in silenzio, come se fossimo sempre in colpa. Il cliente ha sempre ragione. “Sì, va be’”, forse al ristorante, forse in hotel.

Fuori c’è un tempo che non sapresti, non vedi il cielo, qui è sempre neon ed aria condizionata.

È un luogo senza tempo atmosferico dipende dall’impianto di climatizzazione, i tecnici degli impianti decidono per noi, qui fa caldo e freddo secondo i loro umori, proprio come in quel film, “Dio esiste e vive a Bruxelles”, in cui Dio esisteva ma era molto sciocco e infantile e giocava con gli esseri umani come con un plastico di trenini elettrici. Chissà che non sia così davvero, ogni tanto mi viene da pensarlo.

Flusso di pensiero, di pazienti, di ore, di giorni, fino alle prossime ferie, fino alla pensione.

Che lavoro ho fatto io oggi? È servito a qualcosa?

Ho il fine settimana libero, se trovo tempo mi rispondo.