“Quando muori resta a me”

di Laura Dalla Ragione




“Quando muori resta a me” è il libro più recente di Zerocalcare; un lungo viaggio all’interno della famiglia che cambia, ma che in realtà resta comunque la stessa. Con gli adulti sempre un po’ bugiardi e i figli costretti a slalom giganti per sopravvivere a rocambolesche infanzie e adolescenze. Non a caso il libro specifica all’inizio che i fatti narrati (o meglio disegnati) sono veri ma non riconoscibili per proteggere i sopravvissuti. E dentro c’è tutto il mondo familiare che cambia, genitore 1 e genitore 2, con la difficoltà della famiglia contemporanea a rimanere la necessaria matrice dell’individuo. In fondo in questo viaggio con il padre, che è il filo conduttore della storia, alla ricerca delle proprie radici, si declinano tutte le emozioni adolescenziali, paura, ansia, rabbia ma soprattutto sensi di colpa che, come dice Zerocalcare, nessuno ci ha insegnato a riconoscere e gestire.

Un padre idealizzato come un supereroe e poi crollato nella realtà dell’età adulta del figlio, dove nessuno alla fine ti ha spiegato nulla, dove le domande sono rimaste senza risposta, semplicemente perché tutti hanno smesso di farsele. E il viaggio, che doveva essere l’occasione per risolvere l’enigma di una giornata di 35 anni prima, il cosiddetto “giorno di Merman”, in cui proprio questa figura paterna si è rivelata eroica agli occhi del figlio bambino, ma inevitabilmente sfuggente, diventa un intreccio di versioni discordanti che confondono invece di chiarire.

È un ingresso delicato, drammatico ed esilarante nello stesso tempo, nell’intimità di una famiglia, specifica certo, ma universale e trasversale nei suoi movimenti, che ci fa comprendere perché Zerocalcare sia così intensamente amato, o meglio idolatrato da tutte le generazioni. Ci sono relazioni immutabili all’interno del mondo familiare. Possiamo partire per anni ma al nostro rientro, da qualunque parte ritorniamo e qualunque sia il ruolo che ricopriamo, “torniamo sempre e comunque a casa” (come ci dice Novalis), cerchiamo tracce del nostro passato, della nostra vecchia camera (che nella storia invece è stata smontata e distrutta dal padre).

La storia di questo viaggio con il padre, nel paese delle Dolomiti dove non prende il telefono (sic), si intreccia con flashback di un altro viaggio drammatico dei primi anni del secolo scorso, durante la prima Guerra mondiale. Una storia delle proprie origini, quelle lontane nel tempo, ma vicine nella contemporaneità eterna del dolore, della perdita, della fine dei sogni e della speranza. Le due storie corrono parallele ma i temi sembrano intrecciarsi senza discontinuità .

Si parla della paternità e del patriarcato ma anche della maternità, della fine delle ideologie, degli schemi sociali, di una certa cultura di massa, e tutto questo Zerocalcare lo fa attraverso quella empatia comica e drammatica che è davvero la sua cifra, e ci coinvolge a qualunque latitudine o in qualunque età della vita. Le generazioni si confondono nella storia, adolescenti che si occupano dei loro genitori e adulti che rimangono congelati in una eterna adolescenza, a rimarcare la fine di quei confini generazionali cosi protettivi e rassicuranti. I temi del disagio giovanile, la depressione, il bullismo, la solitudine ci sono tutti e rappresentati con delicatezza e senza retorica.

Ognuno si salva da solo e per caso, ci viene da pensare alla fine di questa lettura. Nonostante le famiglie, nonostante i genitori e nonostante il mondo circostante. Ma stranamente non chiudiamo il libro con angoscia, ma anzi con la sensazione che alla fine, se la vita guarisce la vita, anche i ragazzi che ci circondano troveranno la loro strada, nonostante tutto.