Competenza o talento: cosa è più importante in un medico?

Francesca Alvau, Luca De Fiore2

1Alma Mater Studiorum, Università di Bologna; 2Il Pensiero Scientifico Editore, Roma.

Pervenuto il 19 luglio 2024. Non sottoposto a revisione critica esterna alla redazione della rivista.

Riassunto. Gli autori si chiedono se, per “vivere da medico”, sia più importante un talento innato o disporre di competenze professionali acquisite. L’articolo pone l’accento su una combinazione di tratti personali, come compassione, intelligenza emotiva e capacità di lavorare in squadra, che hanno una grande importanza e completano le competenze tecniche. Gli autori sottolineano l’importanza di saper prendere decisioni rapide e fornire supporto emotivo in situazioni critiche, in particolare nella medicina d’emergenza. Inoltre, è molto importante che un insieme di professionisti disponga di una varietà di talenti: questa può essere la premessa di un’assistenza più inclusiva. La pazienza, citata da Roger Federer in un discorso alla Dartmouth university, è una dote essenziale per i professionisti sanitari in anni in cui la sanità attraversa una profonda crisi di finanziamento. Infine, si sottolinea la necessità di adattabilità e crescita continua in un contesto sanitario in evoluzione.

Expertise or talent: what is more important in a doctor?

Summary. The authors question whether having an innate talent or possessing acquired professional skills is more important for “living as a physician.” The article emphasizes a combination of personal traits, such as compassion, emotional intelligence, and teamwork skills, which are highly significant and complement technical competencies. The authors highlight the importance of being able to make quick decisions and provide emotional support in critical situations, especially in emergency medicine. Furthermore, it is crucial that a group of professionals has a variety of talents, as this can be the basis for more inclusive care. Patience, cited by Roger Federer in a speech at Dartmouth University, is an essential quality for healthcare professionals during years when the healthcare system is experiencing a profound funding crisis. Finally, it is essential for a physician to be adaptable and committed to continuous cultural growth in an evolving healthcare environment.

«Sì, il talento conta. Non starò qui a dirvi che non è così. Ma il talento ha una definizione ampia. Il più delle volte non si tratta di avere un dono. Si tratta di avere grinta. Nel tennis, avere un grande dritto con una velocità pazzesca può essere definito un talento. Ma nel tennis, come nella vita, anche la disciplina è un talento. Così come la pazienza. Avere fiducia in sé stessi è un talento. Abbracciare il percorso, amarlo è un talento. Gestire la propria vita, gestire sé stessi… anche questi possono essere talenti. Alcune persone nascono con questi talenti. Tutti devono lavorarci».

Roger Federer

Il discorso di Roger Federer agli studenti della Dartmouth university nel giugno 2024 ha fatto il giro del mondo. Il grande tennista svizzero ha parlato del talento, una caratteristica della persona che quasi sempre è considerata una dote innata che permette di eccellere in qualche attività o in una professione. Nelle culture antiche la parola “talento” significava un carico portato dall’uomo. Da qui, la trasformazione di questo peso in una responsabilità, raccontata chiaramente nella parabola del vangelo di Marco (25:14-30). Si era allora in un’epoca e in un contesto in cui il talento aveva anche un valore di moneta, equivalente a circa 25 chili d’argento. Tornando al significato di cui dicevamo – la dote innata di una persona –, il talento è considerato un dono. Può beneficiarne una persona e non un’altra.

In un momento in cui ci si interroga sul futuro della professione di medico, sulla necessità di motivare i giovani a scegliere questo lavoro e sulle caratteristiche che dovrebbe avere un bravo professionista, può venire spontaneo domandarsi: per vivere da medico occorre talento? E, nel caso, come lo immagineremmo? Davvero come qualcosa di innato o invece come un insieme finito di competenze tecniche? E se fosse la sintesi di tratti di personalità quali il rispetto per gli altri, l’attenzione, l’intelligenza emotiva e le capacità comunicative di base, la capacità di lavorare in un gruppo, fino all’esperienza che può consentire di governare l’ansia1?

In molti ambiti dell’assistenza – pensiamo per esempio alla Medicina d’emergenza – occorre essere in grado di prendere decisioni rapide e appropriate in situazioni difficili, spesso disponendo di informazioni incomplete. Occorre essere in grado di lavorare in modo efficace con altri professionisti e allo stesso tempo fornire un supporto emotivo ai pazienti e alle loro famiglie nel momento di maggiore sconforto. Una formazione scientifica, chiaramente indispensabile per il professionista, potrebbe dunque non essere sufficiente. E, quindi, quali dovrebbero essere i talenti che qualificano un medico? La capacità di provare compassione, di imparare l’arte della comunicazione efficace, del lavoro di squadra, di prendere delle decisioni di cura rapide che siano adeguate e personalizzate per il paziente. Che non vadano mai a ledere l’identità e la dignità della persona che ha bisogno di cura.

Però, una definizione eccessivamente precisa del talento rischierebbe di disegnare medici troppo simili tra loro. Se il talento è un dono, che sia una sorpresa allora. Potremmo immaginare che ogni medico abbia in sé un pacchetto da scartare che contenga un insieme molto vario di cose positive. Perché la cura ha bisogno di diversità per essere inclusiva: non può esserci un solo modo di avere talento e la comunità curante dovrebbe essere lo specchio della molteplicità della comunità che ha bisogno di cura. L’unico modo per fornire un’assistenza adeguata a pazienti di ogni provenienza è quello di essere capaci di relazionarsi con persone di diverse culture2. Quando ci si accorgesse di non riuscire nell’obiettivo di prendersi carico in modo adeguato dei bisogni di cura, bisognerebbe avere il talento di fermarsi, di fare un passo indietro per ragionare e valutare la necessità di un aiuto. Da parte del collega del box vicino o da parte di un altro specialista.

Come sviluppare queste competenze? Sono sufficienti le lezioni teoriche e la formazione pratica che accompagnano chi studia Medicina per 11 (e più) anni della vita? Oppure l’imprinting ricevuto da quel medico o da quel docente incontrato all’inizio o alla fine della formazione? Qualunque sia il percorso formativo, serve un talento capace di adattarsi a un mondo in divenire, a contesti in continuo e rapidissimo cambiamento. In definitiva, mentre il talento e l’attitudine possono fornire un vantaggio iniziale, la natura complessa e molteplice della cura richiede una combinazione di caratteristiche innate – compreso il talento di saper proteggere la propria integrità – e di una curiosità che spinga a crescere sempre. Per vivere da medico, un misto di talento innato e competenze acquisite sembra essere la ricetta più efficace. Tutto ciò non ci basta, ma di sicuro aiuta ad avere una visuale complessiva della persona malata; facilita la comunicazione con gli altri colleghi e favorisce una collaborazione più efficace e la presa in carico multidisciplinare dei pazienti.

Quel che sappiamo è che è terribilmente difficile mettere tutte queste cose insieme quando si è stressati, quando si ha l’ansia dell’attesa, quando si sa che spesso i mezzi a disposizione in pronto soccorso sono limitati. In un passaggio del proprio discorso, Roger Federer cita la capacità di avere pazienza come componente del talento. Poche doti come questa sono sollecitate a un costante allenamento sia nei professionisti che lavorano nel Servizio sanitario nazionale (Ssn) sia nei cittadini che cercano cura e assistenza. Pazienza nei riguardi del generale disinteresse della politica per la sanità del nostro Paese. Che non è soltanto – per quanto importante – un problema di definanziamento. I professionisti che lavorano nel Ssn e chi lavora nella comunicazione e nella formazione degli operatori sono infatti testimoni di una cosa di cui non si parla quasi mai: ogni medico o infermiere o dirigente sanitario demotivato, frustrato o sconfortato che lascia un reparto ospedaliero o un ambulatorio pubblico è una perdita enorme anche in termini di conoscenza. Il Ssn è un laboratorio che ogni giorno genera saperi e competenze: deve allevare talenti, proteggerli e gratificarli.

Lasciamo a Federer anche la conclusione: «Il più delle volte non si tratta di avere un dono. Si tratta di essere determinati».

Conflitto di interessi: gli autori dichiarano l’assenza di conflitto di interessi.

Ringraziamenti: grazie a Fabio De Iaco per aver reso possibile la collaborazione tra i due autori.

Bibliografia

1. Finn GM, Mwandigha L, Paton LW, et al. The ability of ‘non-cognitive’ traits to predict undergraduate performance in medical schools: a national linkage study. BMC Med Educ 2018; 18: 93. 

2. Sorensen J, Norredam M, Dogra N, et al. Enhancing cultural competence in medical education. Int J Med Educ 2017; 8: 28-30.