La promozione della pace in ambito sanitario.
Quali ostacoli da superare?

Pirous Fateh-Moghadam1

1Osservatorio epidemiologico, Dipartimento di Prevenzione Azienda provinciale per i servizi sanitari, Trento.

Pervenuto su invito il 23 luglio 2024. Non sottoposto a revisione critica esterna alla redazione della rivista.

Riassunto. Le strategie, gli armamenti e le tecnologie militari moderni fanno sì che al giorno d’oggi ogni guerra sia caratterizzata, per sua intrinseca natura, da un impatto deleterio su tutti i determinanti della salute, con effetti diretti e indiretti che provocano sofferenze fisiche, mentali e sociali della popolazione esposta e che tipicamente si estendono molto oltre la durata dei combattimenti. La promozione della pace e la prevenzione della guerra rientrano quindi pienamente tra i compiti professionali di chi lavora in sanità, almeno al pari della prevenzione di altri fattori di rischio della salute pubblica. Ciononostante, le attività di promozione della pace e di contrasto alle guerre stentano a decollare e a diffondersi nel settore sanitario. Nell’articolo vengono esaminati due possibili fattori che si posizionano come ostacoli tra la constatazione del maleficio della guerra, condivisa da tutti, e l’impegno concreto a favore del disarmo e della pace, praticato da pochi. Il primo di questi ostacoli è rappresentato dalla divergenza di pareri sui metodi da adottare per prevenire i conflitti. Nonviolenza e disarmo o deterrenza militare? L’ipotesi discussa è che la teoria della deterrenza goda tuttora di una certa credibilità anche nel mondo scientifico medico, benché sia tutt’altro che una strategia basata su evidenze scientifiche. Il secondo ostacolo esaminato è il timore dei professionisti e delle loro associazioni di essere accusati di “fare politica”. Essendo la guerra sempre una catastrofe di sanità pubblica, quando operatrici e operatori sanitari si oppongono alla guerra, cercano di fermarla o prevenirla, fanno solo il proprio mestiere. È tuttavia senz’altro vero che la prevenzione della guerra implica anche scelte politiche, ma questo è il caso in ogni altro ambito di sanità pubblica, che senza il ricorso a strumenti politici e di regolamentazione non potrebbe assolvere al proprio compito. Infine, viene presentato un esempio concreto di intervento di promozione della pace da parte di diverse società scientifiche italiane di area sanitaria che hanno predisposto una dichiarazione congiunta a favore della pace e contro la guerra, aperta alla sottoscrizione anche di altre società scientifiche, riviste, associazioni e fondazioni di area sanitaria.

Promoting peace in the healthcare sector. What obstacles to overcome?

Summary. Modern military strategies, armaments and technologies imply that every war today has a deleterious impact on all determinants of health, with direct and indirect effects that cause physical, mental and social suffering of the exposed population, that extends far beyond the duration of the conflict. The promotion of peace and the prevention of war is therefore clearly one of the professional tasks of health professionals, at least as much as the prevention of other public health risks. Nevertheless, peace promotion and anti-war activities are struggling to take off and spread in the health sector. The article examines two possible factors that stand as obstacles between the realisation of the evil of war, shared by all, and the actual commitment to disarmament and peace, practised by a few. The first of these obstacles is the divergence of views on the methods to choose to prevent conflict. Nonviolence and disarmament or military deterrence? The hypothesis discussed is that the deterrence theory still enjoys a certain credibility even in the medical scientific world although it is far from being an evidence-based strategy. The second obstacle examined is the fear of professionals and their associations of being accused of ‘playing politics’. Since war is always a public health catastrophe, when health professionals oppose war, they are only doing their job. However, it is undoubtedly true that preventing war also involves political choices, but this is the case in every other area of public health, which without the use of political and regulatory instruments could not fulfil its task. Lastly, a concrete example of an intervention to promote peace is presented, promoted by several Italian scientific societies in the health field who have succeeded in drawing up a joint declaration in favour of peace and against war, open for subscription also by other scientific societies, journals, associations and foundations in the health sector.

Introduzione

Le strategie, gli armamenti e le tecnologie militari moderni fanno sì che al giorno d’oggi ogni guerra sia caratterizzata, per sua intrinseca natura, dalla mancanza di limiti spaziali, temporali e giuridici; dall’assenza di discriminazione tra obiettivi militari e civili (compresi ospedali, scuole, infrastrutture dell’approvvigionamento idrico e alimentare ecc.); dalla violazione delle più elementari norme della legislazione umanitaria internazionale; da effetti indiretti e a lungo termine, dovuti alla distruzione delle infrastrutture civili e dell’ambiente, che provocano sofferenze fisiche, mentali e sociali, che tipicamente si estendono molto oltre la durata dei combattimenti; e dalla sempre possibile evoluzione in guerra nucleare. A questi aspetti vanno aggiunti altri effetti più generici e trasversali, come l’aumento delle disuguaglianze sociali, il caos generale, l’interruzione delle attività scolastiche, universitarie e culturali, la distruzione di posti di lavoro, l’emigrazione di massa.

Questi effetti si possono osservare praticamente in tutti i conflitti tra Stati, che nel 2023 erano 59, il numero più alto registrato dal 1946, secondo la più recente analisi del Peace research institute di Oslo (Prio)1. Lo stesso vale per tutte le guerre maggiori degli ultimi decenni, da quella condotta dalla Nato contro la ex Jugoslavia, a quelle della coalizione anglo-statunitense in Afghanistan e Iraq fino a quelle condotte dalla Russia in Cecenia e Siria. E si sta verificando, tutti i giorni*, nelle guerre in Ucraina e a Gaza. Sempre secondo il Prio, gli ultimi tre anni sono stati i più violenti degli ultimi tre decenni.

La guerra compromette tutti i determinanti della salute, nessuno escluso, ed è evidente che nessun fine genuinamente umanitario può servirsi di un tale “mezzo”. L’unica postura possibile nei confronti della guerra, per chi pone il diritto umanitario e il diritto alla salute al centro dei propri ragionamenti, è quella dell’opposizione e della prevenzione. Questo principio viene enfatizzato anche dalla Carta di Ottawa2, uno dei documenti fondamentali della promozione della salute. Nella Carta vengono elencati tutti i prerequisiti della salute e “la pace”, non a caso, si trova al primo posto. La promozione della pace rientra quindi pienamente tra i compiti professionali di chi lavora in sanità.

Quindi dov’è il problema? Perché non vediamo un movimento più esteso per la pace e il disarmo, animato proprio dagli operatori sanitari? Nel testo che segue vorrei soffermarmi su due degli ostacoli che credo siano da esplicitare e mettere in discussione per poter abbozzare una risposta a questa domanda.

Come promuovere la pace?
Disarmo o deterrenza militare?

Il primo ostacolo è collegato alla questione della scelta della modalità con cui promuovere la pace. Tutti concordano in linea di massima con quanto affermato nel paragrafo precedente, tutti sono contro la guerra e vorrebbero prevenirla e rafforzare la pace. Non tutti però concordano su come raggiungere questo obiettivo. Non tutti ritengono, per esempio, che l’obiettivo della pace debba essere perseguito solo con mezzi altrettanto pacifici. Anche tra i lettori di questo articolo ci sarà probabilmente chi ritiene che «weapons they are the way to peace», per riprendere le parole di Jens Stoltenberg3 che insieme ai leader politici europei ha riproposto la deterrenza militare come strategia di conservazione e promozione della pace, in perfetta continuità con l’antico slogan latino Si vis pacem, para bellum. “Se vuoi la pace, prepara la guerra”4 è una delle frasi contenute nel libro III dell’Epitoma rei militaris di Vegezio, opera composta alla fine del IV secolo che poi divenne enormemente celebre nel Medioevo dopo la prima stampa nel 1473-1474. Da allora questa massima informa la politica governativa e gode di notevole popolarità quando si tratta di promuovere il militarismo dichiarando fini pacifici. Abbiamo quindi parecchi secoli di sperimentazione alle spalle per valutarne l’efficacia in termini di prevenzione delle guerre. Il numero esorbitante di conflitti avvenuti e i milioni di morti militari e civili dovrebbero essere più che sufficienti per togliere qualsiasi pretesa di efficacia a questa massima, che invece, paradossalmente, gode ancora di una certa popolarità. Anche nella sua variante particolarmente pericolosa della teoria dell’equilibrio del terrore, legata agli armamenti nucleari. Questa teoria si basa sull’assunzione che l’impiego di armi nucleari sia un suicidio in ogni caso (chi le usa per primo muore per secondo). Quindi nessuno sano di mente vorrà compiere tale scelta e per questa ragione il possesso di queste armi sarebbe una garanzia per la pace. Uno sguardo ai personaggi politici che popolano la scena ai massimi livelli di potere mondiale dovrebbe essere più che sufficiente per dare ragione a Günther Anders quando afferma come non ci sia «nulla di più irrazionale che speculare sulla ragionevolezza» di chi detiene il potere sull’uso di queste armi5. Occorre inoltre considerare che quando questa teoria è stata concepita esistevano solo due superpotenze atomiche, mentre oggi la situazione è totalmente mutata con ben nove Stati in possesso di questi dispositivi di sterminio. Quindi, anche chi fosse convinto che sia possibile raggiungere un “equilibrio” tra due attori dovrebbe chiedersi se questa teoria possa ancora essere valida nella situazione attuale, sapendo inoltre che anche uno scontro regionale limitato avrebbe conseguenze deleterie sul resto del mondo. Va aggiunto che sia Russia sia Stati Uniti non limitano alla deterrenza la loro giustificazione del possesso delle armi nucleari. Entrambi non ne escludono l’uso in attacco (in “difesa preventiva”), qualora ritengano che esista un grave rischio per il proprio Paese. Per tacere del fatto che oltre all’uso intenzionale c’è sempre il rischio di un incidente catastrofico. E gli incidenti capitano. Infine, è vero: dopo Hiroshima e Nagasaki le bombe atomiche non sono più state utilizzate in un contesto bellico, ma questa non può essere una prova a favore dell’efficacia della teoria della deterrenza. Viceversa l’assenza di prova di efficacia non equivale a una prova di inefficacia (absence of evidence is not evidence of absence). In assenza di prove incontrovertibili a favore o contro, affidarsi all’equilibrio del terrore significa, nella migliore delle ipotesi, consegnare alla fortuna la sopravvivenza dell’umanità. Infine, può essere chiamata “pace” una situazione nella quale ci si terrorizza a vicenda con la continua minaccia della guerra e dello sterminio di intere popolazioni?

Siamo professionisti, non facciamo politica

Formulare delle proposte concrete su come prevenire la guerra richiede necessariamente anche di indagare ed esprimersi sulle cause e le responsabilità dei conflitti, e comporta quindi un certo posizionamento a favore o contro le diverse scelte politiche e proposte normative possibili, per esempio relative alla limitazione degli armamenti, al commercio delle armi, alle spese militari e al ruolo del settore militare e del militarismo nella società. A questo livello si colloca il secondo ostacolo all’impegno più convinto della sanità nella promozione della pace: il timore dei colleghi di fronte alla possibilità di essere accusati di “fare politica”. Credo che questo timore non sia giustificato per una serie di ragioni. Ci possono essere motivazioni politiche, economiche, di potere geopolitico a favore della partecipazione a una guerra, ma, date le caratteristiche e le conseguenze delle guerre moderne, mai una ragione sanitaria o umanitaria. La guerra è sempre una catastrofe di sanità pubblica. Quindi, quando operatrici e operatori sanitari si oppongono alla guerra, cercano di fermarla o prevenirla, fanno solo il proprio mestiere. È paradossale che a loro venga rivolta l’accusa di strumentalizzare politicamente la propria professione. È tuttavia senz’altro vero che la prevenzione della guerra implica anche scelte politiche, ma questo è sempre il caso in sanità pubblica. Nonostante sia bene ricordarlo, non occorre scomodare necessariamente Rudolf Virchow a difesa di questa affermazione. È sufficiente esaminare la realtà dei fatti da tutti condivisa. La protezione della salute dei lavoratori implica scelte politiche e normative in termini di tutela della sicurezza sui luoghi di lavoro; lo stesso vale per la promozione della sana alimentazione, per il contrasto della mortalità per fumo di tabacco o per incidenti stradali, per le norme sulla qualità dell’acqua e dell’aria e per le numerose misure anti-pandemia, ecc. Sono tutti aspetti di sanità pubblica che implicano scelte politiche e normative. In questo contesto, alla parte sanitaria è affidato il compito di evidenziare e rappresentare il punto di vista della difesa della salute di fronte ai rischi, e in questo senso la sanità pubblica è sempre partigiana. Per quale motivo questo principio dovrebbe essere valido per le pandemie, per i rischi professionali o per quelli derivanti da sostanze nocive e per tutti gli altri ambiti in cui la salute è minacciata, ma non nel campo dei conflitti armati#?

La dichiarazione in favore della pace delle società scientifiche sanitarie

Nel 2023 il Gruppo di lavoro dell’Associazione italiana di epidemiologia (Aie) ha promosso un percorso partecipato di predisposizione di una dichiarazione a favore della pace condivisa con altre società e associazioni scientifiche di aria biomedica, svolto attraverso una serie di webinar e di incontri informativi e di riflessione comune, a cui sono state invitate circa 450 associazione scientifiche. Date le premesse e gli ostacoli appena descritti, emersi e discussi anche durante il percorso, è significativo che oltre 30 società scientifiche di area sanitaria e 5 riviste scientifiche, tra cui Recenti progressi in medicina, siano riuscite a predisporre e firmare un testo che evidenzia le ragioni dell’impegno a favore della pace e contro le guerre da un punto di vista professionale. La dichiarazione7 è stata pubblicata e diffusa alla fine di ottobre e ha attirato una certa attenzione a livello nazionale8 e internazionale9. Il documento rimane aperto alla sottoscrizione anche di altre società scientifiche, riviste, associazioni e fondazioni di area sanitaria che non hanno partecipato alla stesura§ e anche di singoli professionisti che desiderano dare il proprio sostegno ma appartengono a società non firmatarie. Le associazioni firmatarie intendono la pubblicazione della dichiarazione non solo come importante risultato conseguito ma anche come il punto di partenza per un comune lavoro da portare avanti nel futuro. Insieme ad altri aspetti, anche gli ostacoli qui descritti dovranno essere affrontati per riuscire ad allargare ulteriormente i consensi e la visibilità nel dibattito pubblico allo scopo di far riflettere la popolazione e i decisori sulla necessità e l’urgenza di sostenere e implementare efficaci strategie di promozione della pace e contrasto alle guerre e al militarismo.

Conflitto di interessi: l’autore dichiara l’assenza di conflitto di interessi.

Note

*“Tutti i giorni” è intitolata una poesia di Ingeborg Bachman del 1952 che credo rispecchi fedelmente le sensazioni di chi nel 2024 segue le notizie dai diversi fronti di guerra. La guerra non viene più dichiarata/ ma proseguita. L’inaudito/ è divenuto quotidiano. L’eroe/ resta lontano dai combattimenti. Il debole/ è trasferito nelle zone del fuoco/ La divisa di oggi è la pazienza, medaglia la misera stella/ della speranza, appuntata sul cuore. […] Viene conferita/ per la diserzione dalle bandiere,/ per il valore di fronte all’amico,/per il tradimento di segreti obbrobriosi/ e l’inosservanza di tutti gli ordini.

# Per una discussione più approfondita di questo aspetto rimando al libro “Guerra o salute. Dalle evidenze scientifiche alla promozione della pace”6, in particolare le pagine 101-106 di cui ripropongo in questo paragrafo le parti centrali.

§ Attraverso una mail a: direzione.aie.ep@inferenze.it

Bibliografia

1. Prio. New data shows record number of armed conflicts. (10 June 2024). Disponibile su: https://lc.cx/P4D44N [ultimo accesso 29 luglio 2024].

2. Who. The Ottawa Charter for Health Promotion. (1986). Disponibile su: https://lc.cx/K8CXkm [ultimo accesso 29 luglio 2024].

3. Nato. Remarks, by NATO Secretary General Jens Stoltenberg during the panel discussion, Restoring Security and Peace, at the annual meeting of the World Economic Forum. (2023). Disponibile su: https://lc.cx/S0QHl7 [ultimo accesso 29 luglio 2024].

4. Wikipedia. Si vis pacem, para bellum. Disponibile su: https://lc.cx/CsniTH [ultimo accesso 29 luglio 2024].

5. Anders G. Die atomare Drohung. München: C.H. Beck, 2003; p. 21.

6. Fateh-Moghadam P. Guerra o salute. Dalle evidenze scientifiche alla promozione della pace. Roma: Il Pensiero Scientifico Editore, 2023.

7. Dichiarazione in favore della pace delle società scientifiche sanitarie. Disponibile su: https://lc.cx/vTJzWk [ultimo accesso 29 luglio 2024].

8. Nuove guerre, vecchie ferite. Ne parliamo a Radio3 Scienza. Disponibile su: https://lc.cx/G-OJ4j [ultimo accesso 29 luglio 2024].

9. Ancona A, Forastiere F, Fateh-Moghadam P. The universal right to health requires peace and rejects war. Lancet 2024; 403: 1140.