La combinazione delapril-indapamide nel trattamento dell’ipertensione arteriosa: implicazioni pratiche alla luce delle nuove linee guida

Paolo Verdecchia1,2, Fabio Angeli2

1Fondazione Umbra Cuore e ipertensione - Onlus, Perugia; 2Dipartimento di Cardiologia, Ospedale Santa Maria della Misericordia, Perugia; 3Dipartimento di Medicina e Innovazione tecnologica (DiMIT), Università dell’Insubria, Varese; 4Dipartimento di Medicina e Riabilitazione Cardiopolmonare, Istituti Clinici e di Ricerca Maugeri, Irccs Tradate.

Pervenuto il 26 giugno 2024. Accettato il 10 luglio 2024.

Riassunto. Le recenti linee guida sull’ipertensione arteriosa (IA) emesse dalla European Society of Hypertension hanno ribadito che il grado di controllo dell’IA resta subottimale in tutto il mondo. Allo scopo di aumentare la quota di pazienti ben controllati, oltre alle misure non farmacologiche è necessario migliorare per quanto possibile l’implementazione della terapia farmacologica. La terapia iniziale dovrebbe essere quasi sempre basata sulla combinazione, libera o fissa, tra farmaci ACE-inibitori, o inibitori diretti dell’angiotensina II (sartani) e diuretici (tiazidici o simil tiazidici) o calcio-antagonisti alle massime dosi raccomandate e ben tollerate. La combinazione tra il diuretico simil-tiazidico indapamide con l’ACE inibitore delapril ha dimostrato, sulla base di numerosi studi clinici e di meta-analisi, ottimi risultati in termini di efficacia antipertensiva, tollerabilità e prevenzione o regressione del danno d’organo. L’indapamide è un diuretico simil-tiazidico dotato anche di effetto vasodilatatore diretto e di lunga durata di azione. Una meta-analisi di 19 studi clinici randomizzati ha dimostrato una maggiore riduzione dell’incidenza degli eventi cardiaci, dell’ictus cerebrale e dello scompenso cardiaco con i diuretici simil-tiazidici rispetto a quelli tiazidici. Il delapril è un farmaco ACE-inibitore non sulfidrilico con elevata affinità per l’enzima di conversione a livello cardiaco, polmonare e vascolare periferico. Essendo fortemente lipofilico, il delapril inibisce l’enzima ACE a livello tissutale in maniera più potente rispetto ad altri ACE-inibitori. Una caratteristica peculiare del delapril è il suo debole effetto di potenziamento della bradichinina, dovuto alla maggiore affinità per il sito C rispetto al sito N dell’ACE, con conseguente minore incidenza di tosse ed edema angioneurotico rispetto ad altri ACE-inibitori. In alcune meta-analisi, la riduzione pressoria è risultata statisticamente, maggiore con la combinazione delapril-indapamide rispetto a combinazioni tra idroclorotiazide e ACE-inibitori. La combinazione è composta da compresse divisibili contenenti 30 mg di delapril e 2,5 mg di indapamide e le sue proprietà farmacologiche e cliniche non sono influenzate dalla contemporanea assunzione di cibo. L’efficacia antipertensiva della combinazione, così come dei suoi componenti, persiste per le intere 24 ore. Le recenti segnalazioni sull’incidenza di cancro cutaneo in corso di trattamento con idroclorotiazide dovrebbero orientare verso la scelta preferenziale di un diuretico simil-tiazidico come l’indapamide rispetto all’idroclorotiazide.

Parole chiave. ACE-inibitori, cancro, clortalidone, delapril, idroclorotiazide, indapamide, ipertensione arteriosa.

The delapril-indapamide combination in treatment of arterial hypertension: practical implications in light of the new guidelines.

Summary. The recent guidelines issued by the European Society of Hypertension reaffirmed that the degree of control of hypertension remains suboptimal worldwide. In order to increase the proportion of well-controlled patients, in addition to nonpharmacological measures, it is necessary to improve the implementation of drug therapy in the clinical practice as much as possible. Initial therapy should almost always be based on the combination, free or fixed, between ACE inhibitor drugs, or direct angiotensin II inhibitors (‘sartans’) and diuretics (thiazide or thiazide-like) or calcium channel blockers at the maximum recommended and well-tolerated dose. The combination of the thiazide-like diuretic indapamide with the ACE inhibitor delapril has shown, based on numerous clinical trials and meta-analyses, very good results in terms of antihypertensive efficacy, tolerability, and prevention or regression of organ damage. Indapamide is a thiazide-like diuretic also endowed with direct vasodilator effect and long duration of action. A meta-analysis of 19 randomized clinical trials demonstrated a greater reduction in the incidence of cardiac events, stroke and heart failure with thiazide-like diuretics than with thiazide diuretics. Delapril is a non-sulfhydryl ACE-inhibitor with high affinity for converting enzyme at the cardiac, pulmonary, and peripheral vascular levels. Being strongly lipophilic, delapril inhibits the ACE enzyme at the tissue level more potently than other ACE inhibitors. A peculiar feature of delapril is its weak bradykinin-enhancing effect due to its higher affinity for the C site than the N site of ACE, resulting in a lower incidence of cough and angioneurotic edema compared with other ACE inhibitors. In some meta-analyses, the pressor reduction was statistically, greater with the delapril-indapamide combination than with combinations between hydrochlorothiazide and ACE inhibitors. The combination consists of divisible tablets containing 30 mg delapril and 2.5 mg indapamide, and its pharmacological and clinical properties are not affected by simultaneous food intake. The antihypertensive efficacy of the combination, as well as its components, persists for the entire 24 hours. The recent alarming reports on the incidence of skin cancer during treatment with hydrochlorothiazide should also be a guide in clinical practice toward the preferential choice of a thiazide-like diuretic such as chlorthalidone or indapamide to replace hydrochlorothiazide.

Key words. ACE-inhibitors, arterial hypertension, cancer, chlortalidone, delapril, hydrochlorothiazide, indapamide.

Introduzione

L’ipertensione arteriosa (IA) è il più importante fattore di rischio per gravi complicanze cardiache, cerebrovascolari e per mortalità in età prematura1-4. Rispetto ad altri fattori di rischio cardiovascolari (fumo, diabete, dislipidemia, etc.), l’impatto avverso dell’IA sulla mortalità è passato dalla quarta posizione nell’anno 1990 alla prima posizione nell’anno 20101. È stato stimato che l’impatto avverso dell’ipertensione sia analogo nei Paesi ad alto reddito e in quelli a più basso reddito5. Nel mondo esistono più di un miliardo di pazienti ipertesi, dei quali oltre 150 milioni residenti in Europa6, con una prevalenza tra i soggetti adulti europei variabile tra il 20% e il 50%7.

Relazione tra pressione arteriosa e rischio cardiovascolare

La relazione diretta tra pressione arteriosa (PA) e rischio cardiovascolare inizia a valori di PA notevolmente bassi, intorno ai 115/70 mmHg8 o anche più bassi (100-110/60-62 mmHg)9,10 ed è presente a tutte le età, sebbene l’entità dell’aumento del rischio con l’aumentare della PA tenda a diminuire nelle età più avanzate8.

In particolare, a ogni incremento di 20 mmHg di PA sistolica (PAS), l’incremento di rischio è maggiore per l’emorragia cerebrale, l’emorragia subaracnoidea, l’ictus ischemico e la cardiopatia ischemica, e meno rilevante per l’aneurisma dell’aorta addominale e per l’attacco ischemico transitorio11.

Uno dei fattori più importanti che giustificano un costante interesse per l’IA è il fatto che la relazione tra PA e rischio cardiovascolare è “bidirezionale”. In altri termini, la relazione non è solo “diretta” (ossia, il rischio è maggiore nei soggetti con PA più elevata), ma anche “inversa” (ossia, seguendo i valori pressori di questi soggetti nel tempo si nota che il rischio diminuisce in misura maggiore nei soggetti nei quali si riesce, con la terapia, a ridurre la PA rispetto a quelli nei quali la PA si riduce in misura minore).

Numerosissimi studi clinici controllati, riassunti in varie meta-analisi hanno dimostrato che la riduzione per effetto del trattamento, farmacologico e/o non farmacologico, dei valori di PA causa un’importante riduzione del rischio di eventi cardiovascolari maggiori e di mortalità tanto maggiore quanto maggiore è il calo pressorio12-14.

L’importanza delle linee guida

Le principali società scientifiche producono periodicamente linee guida (LG) aggiornate alla letteratura più recente. Tuttavia, poiché l’interpretazione dei medesimi dati della letteratura non è sempre univoca tra i vari comitati di esperti che redigono le LG, queste differiscono tra loro sotto alcuni aspetti3,4,15,16.

Tra le più importanti e recenti LG, vanno menzionate quelle pubblicate nel 2023 dalla European Society of Hypertension2, precedute da quelle della European Society of Cardiology/European Society of Hypertension17 e da quelle dell’American College of Cardiology (ACC), dall’American Heart Association (AHA) congiuntamente con altre società scientifiche americane18.

Le LG europee definiscono l’IA per valori di PA misurata in ambiente clinico ≥140/90 mmHg. Le LG nordamericane, abbassando l’asticella diagnostica a 130/80 mmHg, comportano un aumento dei pazienti formalmente diagnosticabili come «affetti da IA»19. D’altra parte, i pazienti con PA compresa tra 130/80 mmHg e 140/90 mmHg necessitano essenzialmente di misure non farmacologiche (riduzione del peso corporeo, abolizione del fumo di sigaretta, ecc.) nella stragrande maggioranza dei casi20.

Quando iniziare un trattamento farmacologico?

Come è riportato nella tabella 1, sia le LG nordamericane che quelle europee consigliano l’inizio di una terapia farmacologica dell’IA in tutti i pazienti con PA ≥140/90 mmHg nonostante l’adozione delle misure non farmacologiche.




Nel caso delle LG europee ESH 2023 questa raccomandazione si applica ai pazienti di età compresa tra i 18 e i 79 anni.

Le LG europee ESH 2023 aggiungono che tale raccomandazione è valida dopo 3-6 mesi di misure non farmacologiche solo se coesistono tutte le seguenti condizioni: IA di grado 1 (140-159/90-99 mmHg), PA <150/95 mmHg, assenza di danno d’organo, basso rischio cardiovascolare.

Nel caso dei pazienti con PA compresa tra i 130/80 e 140/90 mmHg, le LG nordamericane consigliano la terapia farmacologica come prevenzione primaria se il rischio di eventi cardiovascolari maggiori a 10 anni è alto (≥10%), ovvero in prevenzione secondaria in tutti i pazienti. La posizione nordamericana sulla terapia farmacologica nei pazienti con PA >130/80 mmHg è condivisa dalle LG ESH 2023 (raccomandazione I A).

Più nel dettaglio, le LG ESH 2023 consigliano la terapia farmacologica nei pazienti di età >80 anni solo se la pressione arteriosa è ≥160 mmHg (raccomandazione I B) o 140-160 (raccomandazione II C) mmHg. Inoltre, la scelta sull’inizio della terapia farmacologica è del tutto individualizzata nei pazienti fragili.

In sintesi:

1. LG nordamericane: consigliano la terapia farmacologica: a) in tutti i pazienti con PA ≥140/90 mmHg; b) nei pazienti con PA compresa tra 130/80 e 140/90 mmHg solo se in prevenzione secondaria o ad alto rischio cardiovascolare.

2. LG ESH 2023: esprimono una posizione non molto diversa, introducendo tuttavia valori soglia diversi per l’inizio della terapia farmacologica sulla base dell’età, stadio di ipertensione, rischio cardiovascolare e fragilità del paziente.

Fino a quali livelli ridurre la pressione arteriosa?

Come si vede nella tabella 2, le LG nordamericane sono molto semplici e pragmatiche sui cosiddetti “target” pressori (livelli di PA da raggiungere con il trattamento).




Praticamente in tutti i pazienti dovremmo cercare di ridurre la PA al di sotto dei 130/80 mmHg indipendentemente dall’età del paziente, dal livello di rischio cardiovascolare e dai fattori di rischio concomitanti18. È ovvio che accanto al raggiungimento del target pressorio dobbiamo porre molta attenzione alla tollerabilità del trattamento stesso, evitando fenomeni nocivi come per esempio l’ipotensione ortostatica, i disturbi del quadro elettrolitico o il deterioramento importante e persistente della funzione renale18.

Al contrario, le LG ESH 2023 (tabella 3) hanno un’impostazione più complessa e articolata, suggerendo target pressori diversi, e con diversa forza della raccomandazione, sulla base dell’età del paziente e della presenza, o assenza, di ipertensione sistolica isolata2.




Per i pazienti “fragili” la definizione del target pressorio da raggiungere resta individualizzata al singolo paziente. Un’indicazione importante delle LG ESH 2023 è quella di non ridurre intenzionalmente la PA al di sotto dei 120/70 mmHg, dal momento che meta-analisi e studi clinici controllati hanno mostrato una tendenza all’aumento degli episodi di ipotensione e di altri effetti indesiderati al di sotto dei 120/70 mmHg2,21.

L’argomento è tuttavia dibattuto. Secondo la evidence-based medicine è chiaro che la definizione non di uno specifico trattamento, ma di un obiettivo pressorio dovrebbe risultare essenzialmente da studi clinici controllati che abbiano messo a confronto obiettivi pressori diversi.

Abbiamo recentemente completato una meta-analisi di 16 studi clinici controllati randomizzati che hanno messo a confronto target pressori diversi, per un totale di 60.870 pazienti seguiti per circa 4 anni. In media, la PA sistolica è risultata di 7,7 mmHg più bassa nel gruppo di controllo pressorio più intensivo rispetto a quello meno intensivo22. Come si vede nella figura 1, il target pressorio più intensivo (obiettivo pressorio definito su valori più bassi) ha comportato una riduzione significativa della morte cardiovascolare del 19%, dell’infarto miocardico del 19%, dello scompenso cardiaco del 27% e dell’ictus cerebrale del 21%22.




Tuttavia, negli studi randomizzati “di strategia”, gli obiettivi pressori (target) e le caratteristiche della popolazione per rischio cardiovascolare basale erano estremamente variabili (eterogenei) da studio a studio. Alcuni studi erano basati sulla PA diastolica, altri sulla PA sistolica, in altri casi i valori target di PA sistolica e diastolica variavano da studio a studio22. Pertanto, si può concludere che se adottare una strategia più intensiva è premiante, da un punto di vista prognostico, la definizione di target ben precisi (i.e., <140 mmHg, <130 mmHg, etc.) in raccomandazioni formali (LG) non appare del tutto supportata dall’evidenza.

Secondo l’autorevole opinione di Valentin Fuster23, e di altri24, il più basso livello pressorio ben tollerato dal paziente potrebbe essere un ragionevole e universale target da perseguire. In altri termini, se il trattamento è ben tollerato (assenza ipotensione ortostatica, nessun peggioramento funzione renale, assenza di disturbi elettrolitici, etc.), una PA “raggiunta” anche <120/70 mmHg non comporterebbe, in sé stessa, una prognosi peggiore. In altri termini, qualsiasi obiettivo target da non eccedere verso il basso non risulterebbe supportato da evidenze, risultanti da studi clinici randomizzati, che dimostrino che il rischio eccede il beneficio.

Come impostare la terapia farmacologica?

La figura 2 mostra come andrebbe impostata la terapia farmacologica dell’IA secondo le più recenti LG ESH 2023.




 Un punto fondamentale resta l’inizio della terapia con l’associazione di due diverse classi farmacologiche nella maggior parte dei pazienti. Soltanto in pochi casi può essere opportuno iniziare con una sola classe farmacologica (ipertensione a basso rischio e con PA <150/95 mmHg, pressione normale-alta e rischio molto alto, pazienti fragili e/o di età avanzata). Si tratta in ogni caso di indicazioni essenzialmente di natura soggettiva, non supportate da ampi studi randomizzati basati su eventi cardiovascolari maggiori.

Pertanto, la terapia iniziale dovrebbe essere quasi sempre basata sulla combinazione, libera o fissa, tra farmaci ACE-inibitori, o inibitori diretti dell’angiotensina II (sartani) e diuretici (tiazidici o simil tiazidici) o calcio-antagonisti alle massime dosi raccomandate e ben tollerate (Step 1). In questo modo è possibile riuscire a portare a target circa il 60% dei pazienti ipertesi.

Se la combinazione a due farmaci non risultasse totalmente efficace occorrerebbe ricorrere alla combinazione, libera o fissa, tra 3 classi farmacologiche (ACE inibitori o sartani + diuretici tiazidici o simil-tiazidici + calcio-antagonisti). In questo modo è possibile portare a target circa il 90% dei pazienti ipertesi (Step 2).

Se anche la combinazione a tre farmaci non risultasse ancora efficace, il paziente andrebbe avviato, con diagnosi di “ipertensione arteriosa resistente”, a Centri specializzati per la diagnosi e il trattamento dell’IA (Step 3).

Esiste una vasta letteratura a supporto di questa impostazione. Solo per fare un esempio, la figura 3 mostra i risultati di una vasta meta-analisi di autori inglesi che dimostra che mentre il raddoppio della dose della monoterapia aumenta, in media, di solo 1 mmHg l’effetto antipertensivo, la combinazione tra classi diverse lo aumenta di ben 4 mmHg rispetto alla monoterapia iniziale25.




Il risultato non ha solo valenza accademica, ma anche prognostica. Infatti, la combinazione tra due classi farmacologiche diverse porta a una riduzione della cardiopatia ischemica di circa il 40%, e dell’ictus cerebrale di circa il 54%, rispetto alla monoterapia iniziale (riduzione della cardiopatia ischemica di circa il 25%, e dell’ictus cerebrale di circa il 35%)25.

Diuretici tiazidici e simil-tiazidici

I diuretici tiazidici e simil-tiazidici sono farmaci che, a distanza di oltre 80 anni dalla loro scoperta, continuano a svolgere un ruolo centrale nel trattamento dell’ipertensione arteriosa. La loro identificazione è avvenuta casualmente nel 1937 a seguito dell’osservazione dell’effetto diuretico esercitato da alcuni farmaci antibiotici sulfanilamidici in corso di studio26. Studi successivi hanno permesso di distinguere i farmaci dotati di anello benzotiadiazinico (clorotiazide, idroclorotiazide, bendroflumetazide), detti appunto “diuretici tiazidici”, e farmaci non dotati di anello benzotiadiazinico (clortalidone, indapamide), detti “diuretici simil-tiazidici”24.

La tabella 4 mostra alcune importanti caratteristiche farmacologiche dei principali diuretici tiazidici e simil-tiazidici. L’idroclorotiazide, per esempio, ha un’emivita di eliminazione di 2-15 ore e una durata dell’effetto antipertensivo di 16-24 ore.




Viene eliminato per il 50-70% per via renale. I due diuretici simil-tiazidici più utilizzati, l’indapamide e il clortalidone, hanno caratteristiche farmacologiche e farmacodinamiche non molto dissimili. Entrambi hanno un’emivita superiore rispetto all’idroclorotiazide, accanto a una maggiore durata d’azione che copre interamente le 24 ore27. Una differenza sta nel tipo di metabolismo, per il 50-74% renale nel caso del clortalidone ed essenzialmente epatico per l’indapamide26,28,29. I diuretici simil-tiazidici, clortalidone e indapamide, sono più potenti e hanno una durata d’azione più lunga rispetto all’idroclorotiazide, anche se in alcuni studi è stata segnalata una maggiore incidenza di effetti collaterali per il clortalidone2.

Vari studi clinici e in animali da esperimento hanno dimostrato che l’indapamide esercita anche un effetto vasodilatatore diretto, evidenziabile già alla dose di 2,5 mg, cui segue l’effetto diuretico, ben dimostrabile alla dose di 5 mg e localizzato nel segmento prossimale del tubulo distale del nefrone30-32. L’effetto vasodilatatore diretto dell’indapamide è stato ben documentato nell’animale da esperimento da Mironneau et al.33. A livello vascolare, l’indapamide ha indotto una chiara inibizione delle correnti di calcio dall’esterno all’interno della cellula, e delle correnti di potassio dall’interno all’esterno della cellula33. D’altra parte, in pazienti anefrici in trattamento emodialitico, l’indapamide alla dose di 2,5 mg ha indotto un calo pressorio significativo chiaramente non dovuto all’azione diuretica ma verosimilmente all’effetto vasodilatatore diretto34.

La lunga durata di azione dell’indapamide è stata accuratamente documentata mediante monitoraggio intra-arterioso ambulatoriale nelle 24 ore in un gruppo di pazienti ipertesi, che hanno ripetuto il monitoraggio prima e dopo 4 mesi di follow-up35. Accanto all’effetto antipertensivo, lo studio ha documentato una riduzione della massa ventricolare sinistra ecocardiografica in corso di trattamento con indapamide35. Questi risultati sono stati confermati in una meta-analisi di 6 studi indipendenti, che ha mostrato una riduzione della massa ventricolare sinistra del 13,3% in corso di trattamento con indapamide36.

Da segnalare anche il minore calo della potassiemia con indapamide e idroclorotiazide rispetto al clortalidone a dosi diuretiche equivalenti27,37. In una Cochrane Database of Systematic Reviews, Musini et al. hanno confermato che l’idroclorotiazide e l’indapamide mostrano, rispetto al placebo, un minore calo della potassiemia e un minore incremento della glicemia rispetto a quanto osservabile con clortalidone38.

In un altro studio eseguito in pazienti con insufficienza renale cronica e velocità di filtrazione glomerulare (VFG) stimata (clearance della creatinina endogena) tra 32 e gli 80 ml/min/1,73 m2, l’indapamide si è associata a un aumento del 28% della VFG, contro un calo del 17% con idroclorotiazide39.

Queste e altre caratteristiche dell’indapamide hanno indotto Norman M. Kaplan a titolare un Commentary su Hypertension: “Indapamide. Is the better diuretic for hypertension?”40. In effetti, una vasta meta-analisi di 14 studi randomizzati aveva dimostrato che il calo pressorio con indapamide e clortalidone è significativamente maggiore (in media di 5/4 mmHg) rispetto a quello osservabile con idroclorotiazide27. Anche uno studio eseguito con monitoraggio pressorio ambulatoriale non invasivo nelle 24 ore aveva dimostrato la maggiore efficacia del clortalidone rispetto all’idroclorotiazide41. In generale, quindi, l’indapamide appare farmacologicamente e clinicamente più simile al clortalidone che all’idroclorotiazide40.

Inoltre il National Institute for Health and Care Excellence (NICE) raccomanda che qualora si inizi o si modifichi un trattamento diuretico per l’ipertensione arteriosa, la scelta di un diuretico simil-tiazidico come l’indapamide sia preferibile rispetto a quella di un diuretico tiazidico convenzionale come idroclorotiazide (Raccomandazione 1.4.38)42.

Resta in discussione l’impatto prognostico specificamente legato alle differenze tra i vari farmaci diuretici in termini di durata di azione. Per esempio, un’analisi post hoc del Multiple Risk Factor Intervention Trial aveva dimostrato una maggiore riduzione del rischio di eventi cardiovascolari maggiori con il clortalidone rispetto all’idroclorotiazide, seppure in presenza di un maggiore calo della potassiemia e a un maggiore aumento dell’uricemia43. D’altra parte, uno studio pragmatico randomizzato tra clortalidone e idroclorotiazide non è riuscito a dimostrare la superiorità del primo rispetto al secondo in termini di incidenza di eventi cardiovascolari maggiori nel corso di un follow-up medio di 2,4 anni44.

È possibile ipotizzare che piccole differenze tra farmaci diversi in termini di durata dell’effetto antipertensivo nelle 24 ore potrebbero non comportare drastiche differenze fra i trattamenti in termine di incidenza di eventi cardiovascolari maggiori. Si tratta di un’area ancora molto aperta alla ricerca.

Tuttavia, il punto più importante in un’ottica clinica, è quello relativo alla riduzione degli eventi cardiovascolari maggiori in corso di trattamento con diuretici tiazidici o simil-tiazidici. Poiché i risultati disponibili in letteratura sono diffusi e “polverizzati” in ricerche cliniche diverse, le meta-analisi potrebbero avere un ruolo importante.

Una meta-analisi di 19 studi clinici randomizzati di confronto tra diuretici tiazidici o simil-tiazidici versus placebo o diverso trattamento attivo (figura 4) ha mostrato una più spiccata riduzione dell’incidenza degli eventi cardiaci, dell’ictus cerebrale e dello scompenso cardiaco con i diuretici simil-tiazidici rispetto ai tiazidici, con livelli altamente significativi dei valori della p per interazione (p<0,001)45. Spicca la riduzione del rischio di scompenso cardiaco, di ben il 43% con i diuretici simil-tiazidici contro il 29% con i tiazidici (p<0,001)45.




Questi risultati sono stati confermati in un’altra vasta meta-analisi di 21 studi randomizzati su un totale di 480.000 pazienti, che ha dimostrato un’incidenza significativamente più elevata di eventi cardiovascolari complessivi e di scompenso cardiaco con diuretici tiazidici rispetto ai diuretici simil-tiazidici46. Un’altra meta-analisi, che non aveva riscontrato differenze significative di outcome tra diuretici tiazidici e similtiazidici, è criticabile sulla base dell’inclusione in alcuni studi del diuretico amiloride in combinazione con idroclorotiazide, ma non con i diuretici simil-tiazidici, con conseguente potenziamento dell’effetto antipertensivo dell’idroclorotiazide47.

La combinazione tra diuretici e ACE-inibitori

Come discusso in precedenza, le recenti LG ESH 2023 raccomandano, nella maggior parte dei pazienti, l’inizio della terapia antipertensiva con combinazioni libere o fisse tra diuretici e ACE-inibitori, così come tra altre combinazioni farmacologiche (diuretici e inibitori diretti dell’angiotensina II [sartani], diuretici e calcio-antagonisti, o calcio-antagonisti con diuretici o ACE-inibitori). Non sono invece consigliate le combinazioni tra ACE-inibitori e sartani a seguito dei risultati dello studio ONTARGET2,48.

Va considerato che questa strategia consente non soltanto di raggiungere un grado di controllo ottimale della PA in un numero maggiore di pazienti rispetto alla monoterapia25, ma permette anche di raggiungere l’obiettivo più rapidamente e pressoché sempre in assenza di reazioni indesiderate di tipo ipotensivo anche in pazienti con ipertensione arteriosa di grado 12.

Il raggiungimento del controllo pressorio ottimale in un più breve periodo di tempo può comportare, a cascata, vari effetti positivi quali la correzione della cosiddetta “inerzia terapeutica” del medico all’adeguamento progressivo della terapia49, il miglioramento dell’aderenza del paziente alla terapia prescritta50,51 e, in ultima analisi, la riduzione delle complicanze cardiovascolari maggiori52. In un vasto gruppo di pazienti ipertesi che avevano presentato un’ospedalizzazione per varie ragioni nel corso del primo anno di follow-up, l’ospedalizzazione è risultata significativamente meno frequente tra quelli che avevano iniziato la terapia con una combinazione farmacologica piuttosto che con una monoterapia53. Purtroppo, non disponiamo di studi clinici controllati randomizzati che abbiano messo direttamente a confronto l’inizio del trattamento con una monoterapia rispetto a una terapia iniziale di combinazione2.

In particolare, le combinazioni tra diuretici e ACE-inibitori, così come tra diuretici e sartani, sono giustificate da numerose considerazioni di natura farmacologica e clinica.

Il meccanismo di azione delle due classi farmacologiche è differente e sinergico, permettendo una notevole flessibilità nel dosaggio di entrambe le classi. La combinazione tra diuretici e ACE-inibitori è efficace anche a basse dosi, con conseguente migliore tollerabilità di entrambe le classi. Numerose rassegne della letteratura hanno concluso che le dimostrazioni cliniche dell’efficacia delle combinazioni tra diuretici e ACE-inibitori sono valide e ben documentate2,54.

Dal punto di vista dell’impatto prognostico, va ricordato che gli ACE-inibitori sono risultati più efficaci di altre classi farmacologiche nella riduzione dello scompenso cardiaco e della cardiopatia ischemica mentre i diuretici sono risultati più efficaci nella riduzione dell’ictus cerebrale47,54. Da segnalare il ben noto effetto protettivo esercitato dagli ACE-inibitori sull’ipopotassiemia indotta dai farmaci diuretici55,56.

Il delapril

Tra gli ACE-inibitori, il delapril è un composto non sulfidrilico che presenta un’elevata affinità per i siti di legame dell’enzima di conversione a livello cardiaco, polmonare e vascolare periferico57,58. Grazie alla sua spiccata lipofilicità, dovuta alla porzione indanil-glicina, il delapril è in grado di inibire l’enzima ACE a livello tissutale in maniera più potente rispetto al captopril e all’enalapril57,59. Con i dati attualmente a nostra disposizione, si può ipotizzare che i due siti dell’enzima ACE tendano a essere alla base dei principali effetti degli ACE-inibitori in modo differenziato. Come si vede nella figura 5, l’enzima ACE presenta due siti attivi, C ed N, che svolgono funzioni simili, ma con diversa specificità. Il sito C (c-ACE), situato più in vicinanza dell’estremità carbossilica COOH, è maggiormente specifico per la conversione dell’angiotensina I in angiotensina II. Il sito N (n-ACE), situato più in vicinanza dell’estremità aminica NH2, è più specifico per la degradazione della bradichinina e della sostanza P oltre ad altre azioni catalitiche.




Il blocco prevalente del sito C (c-ACE) giustifica un effetto più specifico sull’inibizione della sintesi di angiotensina II, con conseguente effetto antipertensivo, mentre un blocco prevalente del sito N (N-ACE) può indurre, d’altra parte, una maggiore frequenza di reazioni avverse indotte dall’accumulo di bradichinina (tosse secca, alterazioni del gusto, edema della glottide). Una caratteristica peculiare del delapril è il suo debole effetto di potenziamento della bradichinina rispetto ad altri ACE-inibitori, dovuto alla maggiore affinità per il sito C rispetto al sito N dell’ACE57,60,61. Questa peculiarità può spiegare la minore incidenza di tosse in corso di trattamento con delapril rispetto ad altri ACE-inibitori60,62. Anche l’edema angioneurotico, probabilmente la complicanza più temibile del blocco della degradazione della bradichinina, è risultato meno frequente con delapril che con altri farmaci ACE-inibitori (figura 6)63.




Sia da solo che in combinazione con indapamide, il delapril viene rapidamente assorbito a livello intestinale, in assenza di effetto interferente da parte del cibo59,64. Gli antiacidi potrebbero ridurre l’assorbimento intestinale del delapril64. Poco più della metà della dose di delapril ingerita viene eliminata con le urine entro 24 ore sotto forma del metabolita delaprilat, in assenza di accumulo durante somministrazione cronica59.

Studi con monitoraggio pressorio ambulatoriale hanno mostrato la persistenza dell’effetto antipertensivo nelle 24 ore in corso di somministrazione cronica di delapril65,66. In uno studio di Omboni et al., 50 pazienti ipertesi sono stati sottoposti a monitoraggio ambulatoriale della PA prima e dopo 8 settimane di trattamento67. Il delapril, alla dose di 30 mg, ha ridotto di 15/11 mmHg la PA ambulatoriale media durante le ore diurne, e di 10/7 mmHg la PA ambulatoriale media durante le ore notturne67. L’effetto antipertensivo del delapril è massimale dopo 2-4 settimane di trattamento e si mantiene tale nel corso del follow-up68.

Il delapril ha mostrato anche potenzialità antiaritmiche. Uno studio eseguito su animali di laboratorio sottoposti a infarto miocardico sperimentale ha dimostrato che il delapril è in grado di ridurre le correnti di potassio dall’esterno verso l’interno della cellula miocardica a loro volta mediate dall’accumulo intracellulare di calcio, quest’ultimo inibito dal delapril69. Come risultato, il delapril ha prevenuto l’incremento di durata della ripolarizzazione tardiva, a sua volta fortemente correlata all’insorgenza di aritmie cardiache69.

La combinazione delapril e indapamide

Varie ricerche cliniche controllate hanno messo a confronto la combinazione tra delapril e indapamide con il placebo, con i singoli componenti e con altri trattamenti farmacologici68,70-72.

In una meta-analisi è stata messa a confronto la combinazione tra delapril e indapamide con varie altre combinazioni tra ACE-inibitori e idroclorotiazide. Sono stati esaminati tutti gli studi pubblicati tra il 1974 e il 2010. In totale sono stati trattati 643 pazienti con la combinazione delapril-indapamide e 629 pazienti con la combinazione tra vari ACE-inibitori e idroclorotiazide. La combinazione delapril-indapamide si è associata a una più alta incidenza di pazienti normalizzati (PA diastolica ≤90 mmHg) o responder (riduzione della PA diastolica di almeno 15 mmHg a 1 mese o di almeno 10 mmHg a 3 mesi) rispetto alla combinazione tra vari ACE-inibitori e idroclorotiazide (rispettivamente, +32%, p=0,024 e +58%, p=0,002). L’incidenza di eventi indesiderati di entità tale da indurre la sospensione del trattamento è stata del 2,3% nel gruppo delapril-indapamide, contro il 4,8% con ACE-inibitori-idroclorotiazide73.

La figura 6 mostra i risultati di un confronto tra la combinazione delapril-indapamide e captopril-idroclorotiazide in termini di efficacia antipertensiva. Il calo pressorio è risultato statisticamente maggiore con la combinazione delapril-indapamide a 60 e a 180 giorni di trattamento sia per la PA sistolica che per la PA diastolica68.

Generalmente, la combinazione tra delapril e indapamide alla dose di una compressa/die (30 mg + 2,5 mg) è efficace nella maggior parte dei pazienti con ipertensione di grado 2 o 3, mentre il dosaggio dimezzato (mezza compresa, ovvero 15 mg + 1,25 mg) è generalmente efficace nei pazienti con ipertensione di grado 164. La combinazione è controindicata nei pazienti con grave insufficienza renale, stenosi dell’arteria renale, insufficienza epatica severa, gravidanza e allattamento, feocromocitoma, iperaldosteronismo primario, oppure iposodiemia o ipopotassiemia refratterie64.

Idroclorotiazide e cancro

Da quasi 50 anni si discute sulla possibilità che l’ipertensione arteriosa in sé stessa possa essere associata a una maggiore incidenza di cancro74. Più recentemente, una vasta analisi del Metabolic Syndrome and Cancer Project, eseguita su ben 577.799 soggetti di età media di 44 anni e seguiti per 12 anni, ha permesso di raccogliere 22.184 nuovi casi di cancro tra i maschi e 14.744 nuovi casi di cancro tra le femmine. Lo studio, il più vasto mai pubblicato su questo argomento, ha chiaramente dimostrato una relazione diretta e indipendente tra valori di PA e rischio di cancro a livello orale, colorettale, nei polmoni, nella vescica e nei reni, e di melanoma e di cancro alla pelle non melanoma nei maschi. Inoltre, i maschi appartenenti al quinto quintile di distribuzione della PA avevano un rischio più alto del 49% di morire per cancro rispetto a quelli del primo quintile. Tra i soggetti di sesso femminile, il rischio di mortalità era del 24% più alto nel quinto quintile rispetto al primo quintile75. Si tratta ovviamente di dati epidemiologici che non forniscono informazioni sui potenziali meccanismi patogenetici attraverso i quali l’IA potrebbe indurre l’insorgenza di cancro.

Che la terapia antipertensiva possa essere in qualche modo coinvolta, con alcuni tipi di farmaci, sta emergendo in alcuni studi. Per esempio, alcune ricerche hanno suggerito un’associazione tra assunzione cronica di idroclorotiazide e aumentato rischio di cancro alle labbra76 e di melanoma cutaneo (+22%)76. Il rischio di neoplasie cutanee di tipo non melanoma in corso di trattamento con idroclorotiazide è risultato aumentato del 29%77. Un altro studio ha riscontrato un’associazione tra idroclorotiazide e rischio di melanoma, ma solo nel sesso femminile78. Nonostante questi risultati, le ultime LG ESH 2023 hanno suggerito di non considerare, per ora, il rischio di cancro come controindicazione alla somministrazione di idroclorotiazide2.

Tuttavia, è anche noto che l’International Agency for Research on Cancer ha classificato l’idroclorotiazide come possibile farmaco carcinogenico79 e pertanto i pazienti dovrebbero essere informati su tale rischio79. L’uso dell’idroclorotiazide andrebbe inoltre riconsiderato nei pazienti con storia di carcinoma cutaneo o alle labbra79.

La European medicines agency (Ema) ha preso una posizione molto chiara su questo aspetto, anche se forse non sufficientemente pubblicizzata e in buona parte disattesa. In una seduta risalente già a 6 anni fa, il Pharmacovigilance risk assessment committee (Prac) dell’Ema ha stabilito testualmente che «[...] esiste un meccanismo biologicamente plausibile a supporto dell’aumentato rischio di cancro cutaneo non melanoma a seguito dell’assunzione cumulativa di alte dosi di idroclorotiazide […]». Nello stesso documento, l’Ema ha raccomandato testualmente: «I pazienti che assumono idroclorotiazide dovrebbero essere informati sui rischi di cancro cutaneo non melanoma e dovrebbero controllarsi periodicamente la cute per vedere se nascono nuove lesioni e consultare il medico per qualsiasi nuova lesione sospetta […]». Infine, «[…] le nuove lesioni cutanee sospette dovrebbero essere prontamente esaminate anche mediante biopsia ed esame istologico». L’Ema conclude che «l’uso dell’idroclorotiazide dovrebbe essere riconsiderato in pazienti con storia di cancro cutaneo non melanoma»80.

Le indicazioni dell’Ema sono state riprese dall’Agenzia italiana del farmaco (Aifa)81. Anche la Food and drug administration (Fda) nordamericana ha preso più recentemente un’analoga posizione sul rischio di cancro associato all’idroclorotiazide82.

Diuretici simil-tiazidici come il clortalidone o l’indapamide, per i quali non esiste questo tipo di rischio, dovrebbero essere quindi presi in considerazione in alternativa all’idroclorotiazide. Da questo punto di vista, uno studio eseguito su linfociti umani ha mostrato che l’indapamide non esercita effetti genotossici diretti83.

Una recente meta-analisi sul potenziale effetto cancerogeno di idroclorotiazide, bendroflumetazide e indapamide ha concluso che il rischio di cancro cutaneo non melanoma è aumentato con idroclorotiazide nelle popolazioni non asiatiche, mentre bendroflumetazide e indapamide non hanno mostrato un’associazione significativa con tali tipi di cancro84.

Conclusioni

La presente rassegna ha preso in esame le numerose evidenze, in particolare quelle più recenti, sull’impiego terapeutico della combinazione tra delapril e indapamide nel trattamento dell’ipertensione arteriosa, particolarmente alla luce delle LG ESH pubblicate nel 20232. Tale combinazione è inclusa tra quelle raccomandabili dalle LG ESH come trattamento di prima scelta nei pazienti con ipertensione arteriosa. Di fatto, i tre effetti farmacologici della combinazione tra delapril e indapamide (ACE-inibizione, effetto diuretico ed effetto vasodilatatore diretto) tendono ad allineare questa combinazione allo step 2 delle più recenti LG ESH 2023 (combinazione tra 3 principi attivi). In particolare, l’indapamide, diuretico simil-tiazidico a lunga durata di azione e a effetto vasodilatatore diretto indipendente da quello diuretico, presenta caratteristiche peculiari nel panorama dei farmaci diuretici40. D’altra parte, il delapril ha anche un ruolo peculiare nel panorama dei farmaci ACE-inibitori disponibili85. La sua elevata lipofilia e lo scarso effetto di potenziamento sulle chinine giustificano la sua intensa azione inibitoria sull’ACE tissutale e, nello stesso tempo, il minore effetto stimolante sulla tosse. La combinazione tra questi due farmaci permette di massimizzare l’effetto antipertensivo anche a dosi relativamente più basse, con miglioramento della tollerabilità85. Anche le recenti segnalazioni sull’incidenza di cancro cutaneo in corso di trattamento con idroclorotiazide76-78 dovrebbero essere di orientamento nella pratica clinica verso la scelta preferenziale di un diuretico simil-tiazidico come clortalidone o indapamide in sostituzione dell’idroclorotiazide.

Conflitto di interessi: l’autore ha percepito diritti d’autore da Il Pensiero Scientifico Editore – soggetto portatore di interessi commerciali in ambito medico-scientifico.

Acknowledgements: l’open access del documento è stato reso possibile grazie al contributo non condizionante di Chiesi Italia.

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