Ritratto di Paolo Vineis:
a cena con Taylor Swift




Lavoro e formazione professionale

quali persone hanno più influenzato il suo modo di fare il medico?

Non ho mai realmente praticato la medicina, ma una persona mi ha influenzato nella mia primissima carriera come medico, Adriano Vitelli, che ha in realtà ispirato un’intera generazione. Partigiano, imprigionato per motivi politici durante il fascismo e medico di Primo Levi1. Mi dedicai invece alla ricerca grazie soprattutto a Benedetto Terracini, che introdusse la cancerogenesi sperimentale e l’epidemiologia a Torino, ma citerei anche l’anatomo-patologo Giacomo Mottura e naturalmente Lorenzo Tomatis.

Uno dei temi al centro della sua attività di ricerca è la relazione tra ambiente e salute: come cambierà la salute delle popolazioni nei prossimi anni?

Spesso dimentichiamo che dal secondo dopoguerra la salute della popolazione mondiale è sostanzialmente migliorata, perfino negli ultimi decenni nell’Africa sub-sahariana. Ma adesso vediamo gravi segni di squilibrio: il riprendere della povertà su larga scala, specie dopo covid-19; lo spettro delle guerre; la riduzione della speranza di vita in Usa (le “morti da disperazione”) e in UK; e soprattutto l’impatto del cambiamento climatico. Anche per la salute, come in molti altri campi, il periodo di relativa stabilità, di pace, di diffusione di un certo benessere, sembra tramontato.

È possibile migliorare il dialogo tra la scienza e la politica?

Certo, con buona volontà da entrambe le parti. Negli scienziati (con significative eccezioni, come Giorgio Parisi) noto una certa riluttanza ad abbandonare uno stile comunicativo tecnico se non esoterico, che non facilita il rapporto con la popolazione e i politici. Per quanto riguarda i politici, hanno un assoluto bisogno di buoni consulenti. Mi riferisco alle esperienze (soprattutto inglesi) di “Science media centres”, organismi qualificati che mediano tra la scienza, gli organi di informazione e la politica. In generale, i politici devono imparare che la scienza non fornisce soluzioni da utilizzare a scatola chiusa, ma piuttosto indicazioni che devono essere messe a confronto con i valori che la politica dovrebbe incarnare (come impegno civile e solidarietà). Tra due soluzioni tecniche il politico dovrebbe imparare a scegliere quella che massimizza la realizzazione dei valori in cui crede: per esempio, ridurre le emissioni di gas clima-alteranti ha un impatto sia sul cambiamento climatico sia sulla salute di tutti, e dunque esercita anche una spinta egualitaria; invece la cattura e l’immagazzinamento del carbonio non ha gli stessi benefici. Questo è il tipo di scelta che il politico dovrebbe saper fare in un clima di democrazia deliberativa e con il supporto della scienza. Purtroppo i politici tendono ad affidarsi in modo acritico a tecnici di fiducia; per esempio adesso la parola d’ordine del governo per il cambiamento climatico sembra essere il nucleare, che non è certamente risolutivo.

Lettura, scrittura, aggiornamento

Nella terra di mezzo della sanità pubblica – in cui si incrociano conoscenze sanitarie, economiche, climatologiche, antropologiche… – come suggerirebbe a un giovane ricercatore di mantenersi aggiornato?

Oggi è fondamentale ampliare il raggio delle proprie letture, e dunque non limitarsi alla tradizionale lettura delle riviste mediche. Bisogna tenere d’occhio anche Science, Nature e alcuni libri. Suggerisco per esempio (anche se per certi versi criticabile, ma comunque molto utile) “Non è la fine del mondo” di Hannah Ritchie. E poi siti influenti: per cambiamento climatico e sanità pubblica per esempio “Carbon brief”.

Ha una sua rivista scientifica preferita? Se sì, quali caratteristiche la rendono tale?

Alla fine il buon vecchio Lancet fa un ottimo lavoro con le sue tante Commissioni che hanno avuto un’enorme influenza (si pensi alla Rockefeller Commission, a Lancet Countdown, a Pathfinder, e alle riviste associate come Lancet Planetary Health).

Come potrebbe cambiare in meglio la letteratura scientifica?

Ci sono tante cose da fare. Come ha rilevato John Ioannidis, i “mega-journals” stanno cambiando il panorama delle pubblicazioni mediche, non necessariamente in meglio. La qualità delle revisioni degli articoli è in peggioramento, così come è difficile trovare revisori. Credo che gli editori biomedici dovrebbero investire i loro mega profitti in attività di formazione dei potenziali revisori, e il lavoro di revisione dovrebbe essere apprezzato accademicamente e nelle carriere. Inoltre la proliferazione di tante riviste in concorrenza tra loro abbassa necessariamente il livello generale: se esistono sei riviste sullo stesso argomento, un articolo rifiutato dall’una potrà sempre essere accettato dall’altra, aumentando gli sforzi collettivi (dei revisori e dello staff) e aumentando l’entropia complessiva. Ma queste sono solo poche indicazioni, ci sarebbe molto più da dire.

Le capita ancora di sfogliare l’edizione cartacea di una rivista o consulta la letteratura solo su internet?

Ormai molto raramente mi capita di leggere l’edizione cartacea, con l’eccezione di Epidemiologia e prevenzione e una rivista cui sono abbonato (Perspectives in Biology and Medicine). Poi leggo su carta Musica Jazz…

Legge articoli scientifici sullo smartphone?

Sì, ma preferisco il computer.

La medicina basata sulle evidenze è ancora attuale?

Assolutamente sì! Se ne sente profondamente l’esigenza, specie dopo il covid-19. Però l’Ebm deve rinnovarsi, per esempio affrontare il tema dell’interazione con i valori. C’è una parte scientifica, nelle decisioni mediche e di sanità pubblica, che è imprescindibile; ma c’è anche una parte valoriale, che fa sì che un certo dato osservativo, nel momento in cui viene adottato nella pratica, richieda una traduzione che tiene conto del contesto anche valoriale. L’Ebm è imprescindibile ma lo sono anche le scienze umane.

Cosa rende difficile che l’Ebm sia alla base della didattica nelle facoltà di medicina?

Tenderei a pensare che l‘Ebm è stretta tra due tendenze, e non ne soddisfa nessuna delle due. Da un lato c’è la medicina molecolare (la “medicina di precisione”) che esercita un grande fascino ma promette molto più di quanto non mantiene. L’Ebm qui tende a gettare acqua sul fuoco, perché richiama alla dura realtà delle prove sotto forma di trial randomizzati. L’altra tendenza è quella umanistica, della medicina al letto del paziente (ma un discorso simile vale per la sanità pubblica) dove contano la soggettività, il rapporto medico-paziente e altri aspetti non facilmente oggettivabili. Pensiamo a quante sono le patologie sfumate e aspecifiche cui oggi non siamo in grado di dare risposta (incluse sindromi come la fibromialgia, la “chronic fatigue”, ecc.). Ecco, l’Ebm deve cimentarsi con tutto questo.

Passione e tempo libero

in cucina preferisce stare ai fornelli o a tavola?

A tavola, ma mi piace cucinare quando invitiamo amici. Non sono un grande cuoco ma me la cavo.

Fa attività sportiva?
Ha uno sport preferito?

Ora la mia vista è cattiva, ma in passato ho praticato molto sci (e sci alpinismo). Un tempo avevo una piccola barca a vela. In questi anni passeggiate in montagna.

Ha libri sul comodino?

Vediamo un po’: “L’uomo con lo scandaglio” di Patrick Svensson (bellissimo libro sulle esplorazioni del mare), “Estasi e terrore” di Daniel Mendelssohn…







Ricorda l’ultimo libro che ha regalato?

“Un mondo senza confini” di William Atkins, a mia moglie.

Se dovesse scegliere un romanzo e un film che un giovane ricercatore dovrebbe conoscere, quali sarebbero?

Mi pare che in un’intervista Giorgio Parisi abbia detto che la migliore formazione per uno scienziato viene dalla lettura dei romanzi. Sono assolutamente d’accordo (ammesso che l’abbia detto). Però i suggerimenti che posso dare sono del tutto soggettivi: a me è piaciuto L’uomo senza qualità di Musil, perché è un ironico tentativo di descrivere le grandi trasformazioni in atto agli inizi del Novecento con una mescolanza di saggismo e letteratura, romanzo, scienza, tecnologia, filosofia, etica e politica. Ma mi rendo conto che può non piacere a tutti! Come film direi Rashomon di Kurosawa, perché insegna che di ogni fatto si possono dare diverse versioni, insomma insegna lo spirito critico.

Potendo invitare a cena una persona molto nota, chi sceglierebbe?

Non ci crederà, ma mi piacerebbe invitare Taylor Swift. Io amo molto la musica (quasi ogni genere musicale) e sono veramente incuriosito dal fatto che una cantante che canta canzoni banalissime abbia un successo strabiliante, tanto da muovere decine di migliaia di persone dagli Stati Uniti all’Europa per ogni suo concerto, e da influenzare le elezioni presidenziali. Mi interessa come fenomeno di costume che dice molto sulla società in cui viviamo. Ovviamente non verrà mai a casa mia, ma mi piacerebbe conversare con lei per un paio d’ore.

Immagini di poter avere in regalo un’opera d’arte anche molto famosa e di valore: quale le piacerebbe avere?

Mi piacerebbe un grande quadro che ritrae la casa di Pierre Bonnard (mi servirebbe prima di invitare Taylor Swift…).

Se le piace andare al cinema o vederli in tv, qual è l’ultimo film che ha visto?

Racconto di due stagioni, del regista turco Ceylan. Lo raccomando decisamente.

Dove trascorre le vacanze?

In parte a Camogli, in parte in montagna a passeggiare.

Qual è la città italiana dove va più volentieri?

Difficilissimo rispondere! Ci sono molte candidate, sulla base di simpatie e criteri diversi. Direi Roma, dove vado spesso e che mi piace sempre molto. Ma anche Ferrara, Mantova, Milano… Direi anche Venezia, se non fosse assediata dal turismo.

Bibliografia