Sacituzumab govitecan nel trattamento delle pazienti anziane con carcinoma mammario metastatico

Marta Perachino1,2,3, Matteo Lambertini1,2

1UO Clinica di Oncologia medica, Irccs Ospedale Policlinico San Martino, Genova; 2Dipartimento di Medicina interna e specialità mediche (DiMI), Scuola di Medicina e Chirurgia, Università di Genova; 3Medical Oncology Service, Vall d’Hebron University Hospital and Vall d’Hebron Institute of Oncology, Barcellona, Spagna.

Pervenuto su invito il 6 ottobre 2024. Non sottoposto a revisione critica esterna alla redazione della rivista.

Introduzione

Il tumore mammario nelle pazienti anziane rappresenta un problema sanitario in aumento a causa dei cambiamenti demografici conseguenti all’allungamento dell’aspettativa di vita. È noto infatti che più del 50% delle diagnosi di tumore si realizza nella popolazione over 65 anni1. La presentazione in età avanzata è gravata, oltre che dalla presenza frequente di altre comorbilità, anche dalle possibilità terapeutiche più limitate2. Questa popolazione, infatti, meno frequentemente viene candidata a trattamenti standard a causa della ridotta aspettativa di vita, dell’ipotesi che il decorso della malattia sia più indolente, del timore della farmacotossicità, oltre che da ragioni economiche e culturali. A questo proposito, le decisioni sul trattamento spesso sono fondate sull’età cronologica, che tuttavia non sempre riflette l’eterogeneità di questa popolazione. Diverse evidenze suggeriscono che il processo decisionale dovrebbe basarsi sulla funzionalità del paziente piuttosto che sull’età cronologica, sottolineando l’importanza di distinguere tra età biologica ed età anagrafica3.

Le linee guida per la gestione del tumore mammario in questa popolazione raccomandano una valutazione geriatrica multidimensionale prima dell’avvio di una terapia sistemica oncologica3. In particolare, sottolineano come il paziente anziano andrebbe valutato all’interno di un team multidisciplinare per identificare criteri di pre-fragilità o fragilità; in questi casi, infatti, i trattamenti oncologici potrebbero avere effetti negativi sulla qualità di vita (QoL) o sulla sopravvivenza e pertanto è cruciale adattare l’offerta terapeutica sulla base di tale rischio.

Una ulteriore problematica del tumore mammario in età avanzata è la diagnosi tardiva, dovuta a diversi fattori: esclusione di questa popolazione dai protocolli di screening (che solitamente terminano con il compimento dei 69 anni d’età), ritardo della paziente di giungere all’attenzione medica, maggiore prevalenza di una visione fatalistica, minore consapevolezza della diagnosi oncologica, paura e ansia del trattamento.

Più spesso, il tumore mammario nelle pazienti anziane si caratterizza per l’espressione dei recettori ormonali (HR positivo) e la negatività di espressione di HER2 (HER2 negativo). L’obiettivo di qualsiasi trattamento, e particolarmente in queste pazienti, è sempre controllare il tumore ma preservando il performance status e la QoL4. Considerato il maggior rischio di tossicità da chemioterapia nelle pazienti anziane, alcuni strumenti (per esempio CARG e CRASH) possono essere d’aiuto per definire la dose e stratificare l’eleggibilità della paziente al trattamento sistemico chemioterapico5.

Con l’ampiamento dell’armamentario terapeutico per il tumore mammario metastatico, con l’introduzione di immunoterapia e anticorpi farmaco coniugati (ADC), si è reso necessario definirne le modalità d’impiego anche per il trattamento di sottogruppi di pazienti più fragili, incluse quelle con età avanzata. Parlando di ADC, in Italia è approvato nel setting avanzato per il trattamento della malattia triplo-negativa (TN) il farmaco sacituzumab govitecan (SG), prescrivibile a progressione da due linee di terapia sistemica (incluso un taxano), di cui almeno una per la malattia metastatica. L’approvazione è avvenuta sulla scorta dei risultati dello studio ASCENT, che ha dimostrato la superiorità di SG rispetto alla terapia a scelta dello sperimentatore (capecitabina, eribulina, vinorelbina, gemcitabina) nel ridurre il rischio di progressione e morte in questa popolazione di pazienti altamente pretrattate6. Tra le pazienti incluse nel trial, l’età mediana era 54 anni e circa il 20% aveva età superiore o uguale a 65 anni: in particolare, di queste, 44/235 (19%) hanno ricevuto SG nel braccio sperimentale mentre 46/233 (20%) hanno ricevuto chemioterapia nel braccio di controllo. Anche in questo sottogruppo di pazienti è stato osservato un beneficio dall’impiego di SG sia in termini di sopravvivenza libera da progressione (progression-free survival - PFS mediana 7,1 mesi vs 2,4 mesi, HR, 0,22; 95% CI, 0,12-0,40) sia di sopravvivenza globale (overall survival - OS mediana 15,3 mesi vs 8,2 mesi; HR, 0,37; 95% CI, 0,22-0,64)7. La terapia con SG ha determinato un tasso più alto di risposte obiettive sia nelle pazienti più anziane che in quelle più giovani (50% vs 0% e 31% vs 6%, rispettivamente). Da ultimo, le pazienti ≥65 anni trattate con SG rispetto alla chemioterapia standard hanno presentato equiparabile frequenza di eventi avversi. Lo studio ASCENT ha quindi sancito il beneficio in sopravvivenza dell’impiego di SG anche in questa popolazione di pazienti, dimostrando inoltre un profilo di tossicità accettabile, seppur rimarcando la necessità di un monitoraggio proattivo e stretto in questo sottogruppo di pazienti, al fine di individuare con anticipo eventuali eventi avversi.

SG è stato inoltre valutato, all’interno del trial TROPiCS-02, nel trattamento delle pazienti con malattia HR-positiva/HER2-negativa avanzata che hanno avuto una progressione di malattia ad almeno una linea di terapia endocrina e 2 linee di terapia sistemica per la malattia metastatica. Il trial ha dimostrato un beneficio statisticamente significativo rispetto alla terapia a scelta dello sperimentatore (capecitabina, vinorelbina, gemcitabina o eribulina) in OS e in PFS8,9. Considerando le pazienti di età superiore a 65 anni, il beneficio osservato è risultato mantenuto con una PFS mediana di 6,7 mesi versus 3,5 mesi e una OS mediana di 14,9 mesi versus 10,1 mesi. Le pazienti di età superiore a 65 anni in trattamento con SG, tuttavia, hanno manifestato un maggior numero di eventi avversi che hanno portato a riduzione della dose e a interruzione del trattamento rispetto alla chemioterapia, sebbene il rischio di sviluppare eventi di grado ≥3 fosse sovrapponibile in entrambi i gruppi di età e più elevato nel braccio di terapia sperimentale.

Entrambi i trial hanno dimostrato un beneficio in termini di efficacia di SG rispetto alla chemioterapia standard, indipendentemente dall’età delle pazienti, con profilo di sicurezza gestibile e favorevole anche nelle pazienti anziane. A oggi, in Italia, sono stati trattati circa 1700 pazienti con tumore mammario TN metastatico con SG.

In questo numero sono riportati tre casi clinici che mostrano il beneficio dell’impiego della terapia con SG nelle pazienti anziane, con un’attenzione particolare a tossicità ed efficacia.

Casi clinici

Il primo caso (Cardalesi)10 riguarda una paziente di 68 anni. In anamnesi, la paziente presentava una storia oncologica di tumore mammario operato nel 2010, con istologia di tumore duttale infiltrante pT1c (18 mm) pN3a (16/16), luminal-B like (ER 40% PgR 0% Ki67 30% HER2 0), trattata con chemioterapia adiuvante, radioterapia adiuvante e terapia endocrina proseguita per 7 anni totali.

A 10 anni dalla prima diagnosi, la paziente presentava una ricaduta linfonodale, confermata dalla biopsia che ha mostrato una localizzazione di origine mammaria, con biologia di neoplasia TN Ki67 30%, HER2 2+, FISH non amplificata. L’indagine genetica non rilevava la presenza di varianti patogenetiche a carico dei geni BRCA. La paziente è stata avviava ad aprile 2020 a trattamento di prima linea con antraciclina liposomiale. Successivamente, per progressione di malattia linfonodale, eseguiva capecitabina di seconda linea, a fallimento dalla quale è stato deciso di ritipizzare la malattia con conferma di una biologia da neoplasia TN (HER2 2+ FISH non amplificata). La paziente veniva candidata quindi dapprima a monochemioterapia con carboplatino e in seguito a eribulina per progressione linfonodale e ossea. Da gennaio 2023 la paziente è stata candidata a terapia con SG, che risulta tuttora in corso, con discreta tolleranza (attualmente a dosaggio ridotto per neutropenia G3 e diarrea G3) e risposta parziale.

Il secondo caso clinico (Mulas, Mascia)11 è relativo a una paziente di 73 anni, diagnosticata con neoplasia mammaria localizzata nel 2017 (mpT1c, pN3), con alta espressione dei recettori ormonali, sottoposta a chemioterapia, radioterapia e terapia endocrina adiuvanti. A tre anni circa dall’inizio del trattamento anti-ormonale, la paziente ha presentato ricaduta di malattia a livello linfonodale, confermata istologicamente con evidenza di una biologia TN, PD-L1 positiva (3%). La paziente è stata candidata a chemio-immunoterapia di prima linea con nab-paclitaxel in associazione ad atezolizumab, con ottenimento di risposta completa di malattia. Dopo 4 mesi dall’avvio del mantenimento con sola immunoterapia, tuttavia, la paziente ha presentato progressione di malattia su diverse sedi ossee; veniva quindi prescritta una terapia di seconda linea con carboplatino + gemcitabina.

A fronte del precoce fallimento della seconda linea (PFS 4 mesi), si candidava poi la paziente a terza linea con SG, che ha consentito l’ottenimento di una risposta metabolica completa a fronte di discreta tossicità ematologica (neutropenia G2/G3) e gastrointestinale.

L’ultimo caso (Nunzi)12 riguarda una paziente di 73 anni con storia oncologica di tumore mammario precoce nel 2016, pT1c pN0i+, biologia TN (HER2 1+). La paziente aveva ricevuto in seguito trattamenti adiuvanti con chemioterapia e radioterapia. Nel gennaio 2021, quando la paziente aveva 78 anni, è stata evidenziata una recidiva di malattia in sede linfonodale, ossea ed epatica, quest’ultima confermata a livello istologico come localizzazione di carcinoma GATA3+, negativo per l’espressione di recettori ormonali, PD-L1 negativo. Il test genetico non rivelava la presenza di varianti patogenetiche dei geni BRCA. Dopo esecuzione di valutazione multidimensionale geriatrica, la paziente aveva ricevuto una terapia prima linea con paclitaxel e carboplatino, a dose ridotta, ottenendo una risposta metabolica completa dopo 6 cicli di trattamento.

Per nuova ripresa di malattia su tutte le sedi, è stata eseguita terapia di seconda linea con eribulina. Dopo l’ottenimento di un’iniziale buona risposta clinica, in seguito a ulteriore progressione di malattia, la paziente ha avviato terapia di terza linea con SG, con dosaggio ridotto al 70%. La paziente ha tollerato il trattamento discretamente (con un ricovero per tossicità gastrointestinale ed ematica), che è stato proseguito per 12 mesi totali, ottenendo una risposta metabolica completa come migliore risposta.

Conclusioni

SG ha dimostrato negli studi clinici e nella pratica clinica di essere un trattamento efficace e sicuro anche nelle pazienti anziane affette da neoplasia mammaria TN metastatica, pretrattate. Rimane mandatorio, tuttavia, per questa popolazione di pazienti, eseguire una valutazione geriatrica multidimensionale prima della prescrizione di un qualsiasi trattamento sistemico, al fine di stratificare ulteriormente le pazienti sulla base del rischio di tossicità.

Conflitto di interessi: MP non riporta alcun conflitto d’interessi. ML riporta advisory role per Roche, Lilly, Novartis, AstraZeneca, Pfizer, Seagen, Gilead, MSD, Menarini ed Exact Sciences; speaker honoraria da Roche, Lilly, Novartis, Pfizer, Sandoz, Libbs, Daiichi Sankyo, Knight, Menarini e Takeda; travel grant da Gilead, Daiichi Sankyo e Roche; research support (al suo Istituto) da Gilead; ha inoltre percepito diritti d’autore da Il Pensiero Scientifico Editore – soggetto portatore di interessi commerciali in ambito medico scientifico.

Acknowledgements: l’open access del documento è stato reso possibile grazie al contributo non condizionante di Gilead.

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