Attività di sacituzumab govitecan nelle metastasi cutanee: descrizione di un caso

Giandomenico Di Menna1

1Medical Oncology, Breast & GYN Unit, Irccs Istituto romagnolo per lo studio dei tumori (Irst) “Dino Amadori”, Meldola (Forlì-Cesena).

Pervenuto il 21 aprile 2024. Accettato il 10 maggio 2024.

Riassunto. Il carcinoma mammario cosiddetto triplo negativo in fase avanzata è caratterizzato da una prognosi severa e scarsa risposta alle terapie convenzionali e pone molteplici sfide per l’oncologo medico. Tuttavia, recenti sviluppi nella ricerca molecolare e nella terapia mirata stanno aprendo nuove prospettive, con risultati incoraggianti per il trattamento di questa malattia aggressiva. Il caso condiviso ne vuole essere un esempio: discuteremo la storia di una donna di 54 anni con estese localizzazioni metastatiche in ambito cutaneo, che ha ottenuto un’importante risposta clinica alla terapia con sacituzumab govitecan, un anticorpo farmaco coniugato approvato per il trattamento di pazienti adulti con carcinoma mammario triplo negativo metastatico.

Parole chiave. Carcinoma mammario, sacituzumab govitecan, triplo-negativo.

Activity of sacituzumab govitecan in skin metastases: description of a case.

Summary. Advanced triple-negative breast cancer is characterized by a severe prognosis, poor response to conventional therapies and poses multiple challenges for the medical oncologist. However, recent developments in molecular research and targeted therapy are opening up new perspectives with encouraging results for the treatment of this aggressive disease. The shared case wants to be an example: we will discuss the story of a 54 years old woman with extensive metastatic localizations in the skin that has obtained an important clinical response to therapy with sacituzumab govitecan, a conjugate antibody approved for the treatment of adult patients with metastatic triple negative breast cancer.

Key words. Breast cancer, sacituzumab govitecan, triple-negative.

Introduzione

Il carcinoma mammario triplo negativo (TNBC) rappresenta un sottotipo aggressivo di tumore al seno caratterizzato dalla mancanza di espressione dei recettori per estrogeni, progesterone e di HER2. La sua incidenza è relativamente bassa rispetto ad altri sottotipi di carcinoma mammario1, ma la sua aggressività e la mancanza di specifici bersagli terapeutici lo rendono una sfida significativa nella pratica clinica. La fase avanzata del TNBC è caratterizzata dalla presenza di metastasi a distanza, condizione clinica estremamente complessa e spesso associata a prognosi sfavorevole con limitate opzioni terapeutiche e la cui gestione richiede un approccio multidisciplinare e personalizzato. Le terapie oggi disponibili per il TNBC in fase avanzata includono la chemioterapia citotossica, l’immunoterapia e, in alcuni casi selezionati, l’utilizzo di terapie mirate. Tuttavia, nonostante gli sforzi per migliorare le opzioni terapeutiche, il TNBC in fase avanzata resta una sfida clinica significativa, e la ricerca continua a focalizzarsi sull’identificazione di nuovi bersagli terapeutici e sull’ottimizzazione delle strategie di trattamento esistenti. Descriviamo il caso di una donna con metastasi cutanee trattata efficacemente con uno dei nuovi farmaci a disposizione, il sacituzumab govitecan (SG).

Caso clinico

A febbraio 2022 si presentava nel nostro ambulatorio una donna di 54 anni, dopo riscontro eco-mammografico e RM di eteroplasia mammaria destra per cui era già stata sottoposta ad agobiopsia con diagnosi di carcinoma infiltrante della mammella di tipo non speciale (no special type - Nst) di grado 3, Ki67 25%, sottotipo tumorale triplo-negativo; era presente adenopatia ascellare omolaterale risultata all’agoaspirato sede di cellule tumorali di carcinoma mammario. All’esame obiettivo la malattia si presentava con quadro clinico coerente con mastite carcinomatosa, adenopatia ascellare palpabile, dura e fissa. Veniva sottoposta a stadiazione di malattia mediante Tac total-body con mezzo di contrasto, RM whole-body e scintigrafia ossea, dalla quale non si evidenziava malattia secondaria in ambito viscerale, ma presenza di multipli secondarismi scheletrici. Eseguite le determinazioni dello stato di PD-L1 (nessuna espressione), dei geni BRCA 1/2 (risultati privi di varianti geniche), considerando il buon performance status e l’assenza di comorbilità rilevanti, si decideva di avviare una terapia di prima linea standard rappresentata dall’associazione di doxorubicina liposomiale e ciclofosfamide, oltre al trattamento con denosumab 120 mg ogni 28 giorni. Dopo i primi 3 cicli di chemioterapia la rivalutazione di malattia descriveva una stabilità sullo scheletro; tuttavia i segni di diffusione cutanea sembravano più accentuati, emergendo qualche papula di consistenza duro-lignea; si decideva pertanto di eseguire ulteriori 2 cicli, rivalutando a breve. In poco tempo, di fronte a un quadro di ulteriore franco peggioramento dell’interessamento secondario cutaneo, si decideva di interrompere il trattamento con doxorubicina e ciclofosfamide e di avviare una seconda linea di terapia con paclitaxel, ma, dopo poche somministrazioni settimanali del suddetto farmaco, veniva constatata ancora una volta una progressione della malattia a livello cutaneo con maggiore estensione dell’area patologicamente coinvolta a quasi tutto l’emitorace destro anteriormente e posteriormente (figure 1 e 2).







Si decideva collegialmente e dopo condivisione con la paziente, psicologicamente provata dagli insuccessi terapeutici, di intraprendere (a fine 2022) un trattamento, da poco disponibile anche in Italia, con dimostrata efficacia nel sottotipo tumorale triplo-negativo: il sacituzumab govitecan. Questo farmaco rappresentava una vera e propria speranza per il nostro team medico e soprattutto per la paziente: la letteratura in tal senso rinforzava l’indicazione, ma la paziente in questione era tra le prime a poterne fruire. Il SG era supportato infatti dai risultati dello studio ASCENT2 di fase III, condotto in aperto e randomizzato, che ha arruolato oltre 500 pazienti, affette da TNBC non operabile, in stadio localmente avanzato o metastatico e i cui risultati erano stati presentati al Congresso American society of clinical oncology (Asco) 2022. In tale occasione erano stati descritti i risultati dello studio: miglioramento della sopravvivenza mediana libera da progressione rispetto a diversa chemioterapia (4,8 vs 1,7 mesi; HR: 0,41; p<0,0001) e il prolungamento della sopravvivenza globale mediana (OS) di quasi cinque mesi (11,8 vs 6,9 mesi; HR: 0,51; p<0,0001) nella popolazione intent-to-treat (Itt). Inoltre, il tasso di sopravvivenza globale (OS) a due anni era del 20,5% (CI 95%: 15,4-26,1) nel braccio di trattamento SG, rispetto al 5,5% (IC 95%: 2,8-9,4) del gruppo sottoposto a chemioterapia e, rispetto ad altro trattamento, era stato evidenziato un sensibile miglioramento della qualità della vita correlata alla salute (health-related quality of life - HRQoL) in pazienti in terapia con SG2.

Il quadro clinico all’avvio del suddetto trattamento era contrassegnato da un importante coinvolgimento cutaneo secondario da parte della malattia; a questo segno si associava il dolore di tipo “compressivo” e lo sconforto riportati dalla paziente. Le condizioni generali permanevano nel complesso discrete, gli esami ematochimici si mantenevano in equilibrio. Iniziamo la terapia alla dose di 10 mg/kg di peso corporeo somministrata per via endovenosa. Dopo il terzo ciclo di trattamento, constatiamo una modesta, ma ben visibile risposta alla terapia, osservando infatti un’importante attenuazione del colore delle lesioni cutanee disposte sull’emitorace destro della paziente; la stessa confermava una riduzione del senso di “tensione” precedentemente riportato e una complessiva buona tolleranza, non riportando disturbi rilevanti, eccetto un leggero grado di edema declive monolaterale destro e anemia di grado moderato. In accordo con la paziente decidiamo pertanto di proseguire la terapia con SG, constatando nel corso del follow-up una progressiva e significativa risposta sul sito cutaneo, giungendo a un risultato molto significativo, con assenza di nuove lesioni viscerali e la parallela risposta anche sull’altro noto sito di localizzazioni secondarie, ovvero lo scheletro. La paziente confermava durante i periodici confronti di aver recuperato una buona qualità di vita, la ripresa delle proprie attività lavorative e di svago, attenuandosi significativamente il grado di avvilimento e preoccupazione precedentemente riportati. La paziente ha proseguito la terapia con SG, mantenendo una risposta al trattamento tanto sul sito cutaneo quanto su quello scheletrico e in particolare la propria qualità di vita per 16 mesi, dopo i quali purtroppo è stata evidenziata progressione di malattia per comparsa di metastasi epatiche ed encefaliche.

Discussione

Il TNBC in stadio avanzato si caratterizza come detto per una cattiva prognosi, anche in ragione delle risorse terapeutiche limitate9. Più di recente, oltre alla chemioterapia (solitamente una combinazione di sali di platino e paclitaxel o di antraciclina con o senza altri farmaci) in genere selezionata in base all’eventuale chemioterapia (neo)adiuvante eseguita nonché all’intervallo libero da malattia, sono stati introdotti la combinazione di immunocheckpoint inhibitors (ICI), atezolizumab e pembrolizumab, con chemioterapici nei casi di malattia con espressione del Programmed Death-Ligand 1 (PD-L1)3,4,5,6 e l’impiego di inibitori della Poli-ADP Ribosio Polimerasi (PARP), come olaparib o talazoparib, nelle pazienti con mutazione germinale di BRCA7,8. L’armamentario terapeutico si è ulteriormente arricchito grazie ai risultati decisamente convincenti arrivati dalla ricerca sul SG2, un immunoconiugato first-in-class composto da un anticorpo anti Trop-2 (Trophoblast Cell-Surface antigen 2) legato al chemioterapico SN-38 (un inibitore della topoisomerasi I). ll SG è un immunoconiugato composto da un anticorpo anti-Trop-2 legato al chemioterapico SN-38, il metabolita attivo dell’irinotecan, attraverso uno specifico linker idrolizzabile. Trop-2 è un trasduttore transmembrana del segnale del calcio, altamente espresso in diversi tipi tumorali incluso il carcinoma mammario (>90%). A seguito della somministrazione, l’anticorpo monoclonale anti-Trop-2 lega Trop-2 espresso sulla superficie della cellula tumorale e consente il rilascio di SN-38 a livello delle cellule tumorali.

Nel caso presentato, dopo il fallimento di due linee di chemioterapia convenzionale, in assenza di target terapeutici (la paziente era risultata PD-L1 e BRCA 1/2 negativa), in coerenza con quanto evidenziato dallo studio registrativo del farmaco (ASCENT)2, abbiamo proposto alla paziente il trattamento con SG. In questo studio infatti tutte le pazienti avevano ricevuto due o più terapie sistemiche, di cui una con taxano, prima di iniziare la terapia con SG e vi era una numerica ridotta di donne con metastasi encefaliche. Ciò che ha contraddistinto l’esperienza clinica riportata è stata l’importante efficacia sperimentata sulle localizzazioni metastatiche insorte a livello cutaneo. L’incidenza esatta delle metastasi cutanee da carcinoma mammario può variare in base a diversi fattori, tra cui il tipo di carcinoma mammario, lo stadio della malattia e altri fattori di rischio individuali. Tuttavia, si stima che le metastasi cutanee si verifichino nel 20-30% dei casi di carcinoma mammario metastatico10. La loro gestione clinica è spesso ardua e il trattamento è frutto di un’integrazione di terapie, da quelle locali, come la chirurgia e la radioterapia o l’elettrochemioterapia11, a quelle sistemiche, a seconda della situazione individuale della paziente. Altro aspetto estremamente importante è l’impatto emotivo che una malattia visibile può creare su una donna indotta a confrontarsi con la propria malattia in modo più tangibile. Nel nostro caso, infatti, la paziente ha affrontato l’ulteriore complessità legata da una parte alla scarsa efficacia della chemioterapia standard somministrata e dall’altra a tutte le sequele di questa condizione clinica come, solo per citarne alcune, l’ansia, la paura, la depressione, i disturbi dell’immagine corporea.

Conclusioni

Le metastasi cutanee nel TNBC rappresentano una complicanza significativa che spesso aggrava la gestione clinica di una condizione oncologica decisamente complessa e a prognosi infausta. Gli anticorpi farmaco coniugati (ADC) rappresentano una valida opzione per il trattamento del tumore della mammella in stadio IV, offrendo spesso un maggiore controllo della malattia. Naturalmente la loro efficacia nel trattamento delle metastasi cutanee nel carcinoma mammario dipende da una serie di fattori, come lo stato di avanzamento della malattia e le caratteristiche specifiche della paziente nonché il tempismo terapeutico opportuno. Gli studi clinici, le ricerche osservazionali nonché le esperienze cliniche che si vanno cumulando nella real-world practice indicano che gli ADC possono fornire benefici significativi, inclusa una potenziale riduzione del carico tumorale, un miglioramento della sopravvivenza e una migliore qualità di vita per le pazienti affette da metastasi cutanee da carcinoma mammario. È importante considerare anche gli effetti collaterali e la tollerabilità degli ADC nel contesto del trattamento complessivo della paziente; nel caso qui descritto, si è riusciti a somministrare una terapia efficace da una parte e molto ben tollerata dall’altra, combinazione tutt’altro che comune tra le terapie mediche oncologiche. Esempi come questo, oltre a rappresentare un ulteriore tassello d’esperienza clinica rispetto all’efficacia di trattamenti relativamente più recenti come gli ADC, invitano a concentrarsi su ulteriori ricerche al fine di migliorare il trattamento delle metastasi cutanee nel carcinoma mammario.

Conflitto di interessi: l’autore ha percepito diritti d’autore da Il Pensiero Scientifico Editore – soggetto portatore di interessi commerciali in ambito medico scientifico.

Dichiarazioni: questo lavoro è stato realizzato con un contributo non vincolante di Gilead.

Bibliografia

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