“Corsia d’emergenza”




Con un libro di storia di medicina tra le mani, non si sa quanto al progresso delle conoscenze abbiano contributo, in fin dei conti, caso e biologia. Prendiamo gli ultimi duecento anni, per esempio: sin dall’inizio, un profilo di malattie via via sempre più numeroso, poi l’entrata in scena, in sequenza, di medici, chirurghi, ginecologi, professionisti che anticipavano la comparsa della figura dell’infermiere. Poi gli ospedali, altre figure specialistiche e gli “studi medici”. Le cose sono cambiate, però, a cavallo tra Ottocento e Novecento, quando accanto ai primi vaccini iniziarono ad apparire le prime novità chimico-terapeutiche. Questo forse ha promosso una rivoluzione per la medicina con la comparsa del pronto soccorso (Ps). Parliamo di un «servizio adibito all’immediata assistenza medica dei feriti, malati e simili»1, così descritto da Luigi Pirandello agli inizi del ventesimo secolo. Una rivoluzione culturale che la società dimostra di non sapere ancora come gestire.

Se un reparto ospedaliero ospita malati con problemi riferibili a un organo o a una funzione, il Ps di quell’ospedale accoglie persone con disturbi o danni diversi. Se i reparti sono monofunzionali, i Ps sono multi-funzionali. Mentre negli Stati Uniti e in altri Paesi di lingua anglosassone nasce la formula emergency medicine, espressione usata anche nel 1978 da Judith Tintinalli editor del volume “Emergency medicine”2, è pur vero che nel “Goldman-Cecil Medicine” le due parole compaiono solo nei titoli di tre paragrafi3. In un contesto complesso, non è facile saper cogliere l’insieme, essendo capaci di allargare lo sguardo con la consapevolezza delle motivazioni della necessità di «reintrodurre a pieno titolo la storia della medicina nella storia della cultura»4 come scriveva Umberto Eco nel 1988.

Nel suo ultimo libro, Daniele Coen fa almeno tre operazioni. La prima è presentarsi: l’autore racconta i suoi passaggi professionali, da Rho a Parma al Niguarda, uno dei maggiori ospedali italiani e il più grande di Milano, dove Daniele ha diretto il Ps per 15 anni. Così, forse proprio all’incontro con i malati si sono moltiplicati libri, incontri di studio, dibattiti, seminari. Scopriamo come l’autore sia riuscito a mettere in piedi un’alfabetizzazione progressiva delle “squadre” di operatori con cui ha lavorato. Forse ha ragione Daniele nell’osservare che «[…] il medico di Pronto soccorso (e gli infermieri con lui/lei) deve sempre preoccuparsi di due malati: quello che ha davanti in quel momento e il grande malato per antonomasia, cioè il Pronto soccorso».

La seconda operazione trasparente è la descrizione e proposta di un risultato. Se il Niguarda, per esempio, raccoglie circa 800 traumi maggiori ogni anno, ne «ha dimezzato la mortalità secondaria evitabile […], portandola dal 42 al 3 per cento e ha dimezzato i decessi per sanguinamento». Per quanto riguarda i ricoveri, se il loro numero era di uno ogni quattro accessi nel 2001 (quando Coen era appena arrivato), «quando me ne sono andato ne ricoveravamo una ogni sette» scrive. La terza operazione è di denuncia. Il Ps non può andare avanti senza l’aiuto numerico e professionale di medici e infermieri di cui descrive l’importanza. Coen è amareggiato dalla situazione attuale dei Ps. Da anni si vive il curioso paradosso che mentre la qualità dei Ps (medica, infermieristica e in generale del personale) aumenta progressivamente, diminuiscono sia il numero dei dipendenti sia la stima di cui il Ps gode presso larghi strati di popolazione.

Per capire il livello culturale dell’autore, basta considerare il fatto che propone un ottimo capitolo sugli errori e nessuna menzione degli informatori medici. Gli errori devono essere stati e sono un’ossessione per lui, che al tema ha riservato un altro volume5. E, a un caso del genere capitato in Ps, dedica lo spazio dovuto. La persona arrivata in Ps non aveva la cosiddetta “sciatalgia” come credevano Coen (dopo una visita in Ps) e un ortopedico, ma un aneurisma dell’arteria ipogastrica che provocò il decesso poche ore dopo. Nel ritornare alla sorpresa amara di quei momenti osserva: «Mi è costato fatica ammettere che l’errore è un aspetto ineludibile della pratica medica […]». Mi è sembrato di cogliere il suo sguardo mentre scriveva parole tanto emotivamente faticose quanto intellettualmente ineludibili. Se nel Ps di un ospedale di medie dimensioni come Viterbo viene ricoverato il 15 per cento delle persone e l’85 per cento di queste torna a casa, in un grande ospedale si può ipotizzare l’opzione evocata dal Nice – ottobre 2024 – secondo la quale le tecnologie IA «potrebbero migliorare la rilevazione delle fratture mediante raggi X in [Ps] senza aumentare il rischio di diagnosi errate»6.

Ho nella mente Daniele Coen e la parola “calma” mentre riporto quanto ha scritto: «Le persone hanno bisogni, preoccupazione, piccole o grandi sofferenze che, per le più varie ragioni, a un certo punto diventano per loro urgenze da risolvere immediatamente». Non è un libro di memorie, ma di speranze per il domani.

Bibliografia

1. Cortellazzo Z, Zolli P. Dizionario etimologico della lingua italiana (l’etimologico minore). Bologna: Zanichelli, 2003.

2. Tintinalli JE, Stapczyski SJ, Ma OJ, Yealy DM, Meckler GD, Cline DM (eds). Emergency Medicine. A Comprehensive Study Guide. New York: McGraw-Hill, 2016.

3. Goldman L, Schafer AI. Goldman-Cecil Medicine. Philadelphia: Elsevier, 2021.

4. Eco U. Prefazione. In: La scuola medica di Bologna. Settecento anni di medicina. Bologna: Farmitalia Carlo Erba, 1988, p. 13 [fuori commercio].

5. Coen D. Margini di errore. Milano: Mondadori, 2019.

6. Kmietowicz Z. AI could help diagnose fractures in urgent care, says NICE. BMJ 2024387: q2320.