Beta-bloccanti cronici dopo un’ischemia cardiaca acuta: meno ricoveri, ma nessun effetto su mortalità ed eventi cardio- o cerebrovascolari maggiori

Continuous beta-blockers after acute myocardial infarction: fewer hospitalizations, but no effect on mortality or major cardiovascular or cerebrovascular events.

Viviana Forte1, Mark H. Ebell2, Peter K. Kurotschka3

1Dipartimento di Scienze mediche e sanità pubblica, Università di Cagliari, Italia; 2Department of Epidemiology and biostatistics, the University of Georgia, Athens, Georgia, Usa; 3Department of General practice, University Hospital Würzburg, Germany.

Domanda clinica. Dopo un infarto miocardico acuto (Ima), i beta-bloccanti devono essere continuati a lungo termine o sospesi?

Punto chiave. Questo studio in singolo cieco ha dimostrato una riduzione dei ricoveri ospedalieri nei pazienti che, dopo un Ima, assumevano a lungo termine farmaci beta-bloccanti, ma non ha dimostrato alcuna riduzione dei tassi di mortalità cardiovascolare, né di altri eventi cardiovascolari come Ima o ictus. Non ci sono state differenze nella qualità di vita riferita tra il gruppo di intervento e quello di controllo.

Assegnazione ai gruppi (allocazione): nascosta.

Finanziamento: pubblico.

Disegno dello studio: studio randomizzato controllato (Rct) in singolo cieco.

Livello di evidenza: 1b.

Setting: ambulatoriale (qualsiasi).

Sinossi. La durata appropriata del trattamento con beta-bloccanti dopo un Ima è sconosciuta e i dati sulla sicurezza e sull’efficacia dell’interruzione del trattamento a lungo termine sono limitati; inoltre, le evidenze sulla durata della terapia con beta-bloccanti nei pazienti che hanno fatto la riperfusione coronarica, che assumono terapie con antiaggreganti piastrinici, o che assumono antidislipidemici in prevenzione secondaria sono anch’esse limitate1,2. A oggi, i beta-bloccanti sono farmaci di prima linea negli eventi di Ima e questa terapia in genere viene presa a vita: gli autori di questo studio3 si sono chiesti se, considerando gli interventi coronarici percutanei e i numerosi altri progressi della cardiologia, questo loro utilizzo prolungato sia ancora pienamente appropriato. Da un totale di 49 centri clinici, i ricercatori hanno reclutato 3698 pazienti che avevano avuto un Ima 6 mesi prima o più e che assumessero un beta-bloccante. Sono stati esclusi i pazienti con insufficienza cardiaca, frazione di eiezione <40%, un altro evento cardiovascolare recente o un’indicazione per la terapia con beta-bloccanti diversa dall’Ima. I partecipanti sono stati randomizzati nei seguenti due gruppi: il gruppo d’intervento ha sospeso il beta-bloccante mentre il gruppo di controllo ha continuato l’assunzione del beta-bloccante già in terapia, mantenendo la stessa dose. L’età media dei partecipanti era di 62 anni, il 67% aveva avuto un Ima con innalzamento del tratto ST, il 95% aveva una storia di rivascolarizzazione e il tempo mediano dall’Ima alla randomizzazione era di 2,9 anni. I gruppi erano, quindi, ben bilanciati. Le analisi di questo Rct sono state condotte secondo il principio intention to treat*, il gold standard in questo tipo di studi. Si trattava di un Rct di non inferiorità con un margine di non inferiorità prefissato al 3%**. L’esito clinico primario era composito, e comprendeva:

ictus non fatale;

altro Ima non fatale;

morte cardiovascolare o ricovero ospedaliero per evento cardiovascolare.

Globalmente, la sospensione del beta-bloccante è stata giudicata non-inferiore, ovvero egualmente efficace, della continuazione della terapia (risk difference*** 2,8% a favore della continuazione della terapia; IC 95% 0,1-5,5%). Per quanto riguarda gli esiti clinici presi singolarmente (il risultato appena mostrato era quello relativo all’esito composito), i benefici relativi dei beta-bloccanti derivavano da un minore numero di ospedalizzazioni cardiovascolari, senza alcuna differenza in termini di morte cardiovascolare, Ima o ictus. Inoltre, non si sono riscontrate differenze nella qualità della vita tra i gruppi. Anche l’analogo studio REDUCE-MI4 non ha riscontrato differenze in termini di Ima o morte cardiovascolare, ma non ha valutato l’impatto sulle ospedalizzazioni.

Contesto italiano. Le linee guida ESC 20231 per le sindromi coronariche acute (Acs), tradotte e pubblicate anche in Italia5, evidenziano alcune controversie sulla terapia a lungo termine con beta-bloccanti. Mentre nei pazienti con frazione d’eiezione (FE) <40% il beneficio dei beta-bloccanti è supportato da evidenze solide, le evidenze appaiono meno chiare nelle persone con FE >40%, specialmente dopo un Acs non complicata. Infatti, gli studi offrono risultati contrastanti: alcuni confermano un beneficio indipendentemente dalla frazione d’eiezione, altri no5; ulteriori evidenze nei prossimi anni potrebbero chiarire i dubbi.

Attualmente i beta-bloccanti sono completamente rimborsati dal Servizio sanitario nazionale (Ssn) per i pazienti post-Ima.

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Note

* Il principio dell’intention to treat prevede che i partecipanti a uno studio clinico vengano analizzati nel gruppo a cui sono stati inizialmente randomizzati, indipendentemente dal fatto che abbiano seguito effettivamente il trattamento assegnato. Al contrario, l’analisi per protocollo considera solo i partecipanti che hanno aderito completamente al protocollo dello studio.

L’analisi per intention to treat è considerata il gold standard negli Rct perché mantiene i benefici della randomizzazione, evitando bias introdotti da cambiamenti nei gruppi e riflette meglio l’efficacia del trattamento nel “mondo reale”, dove l’aderenza non è sempre perfetta.

** Gli Rct di non inferiorità valutano se un nuovo trattamento è “non peggiore” di uno standard per un margine predefinito, detto “margine di non inferiorità”. Questo margine definisce quanto il nuovo trattamento può essere meno efficace rispetto al trattamento standard, pur rimanendo accettabile (per esempio, se ha meno effetti collaterali o altri vantaggi). A differenza degli studi di superiorità, che cercano di dimostrare che un trattamento è migliore di un altro, gli studi di non inferiorità vogliono verificare che il nuovo trattamento sia almeno equivalente in modo clinicamente rilevante.

*** La risk difference (differenza di rischio) è una misura epidemiologica che confronta il rischio assoluto di un evento tra due gruppi. Si calcola sottraendo la proporzione di eventi tra gli esposti al fattore in studio da quella nel gruppo di controllo. Per esempio, se l’evento si verifica nel 10% dei pazienti esposti e nel 15% dei non esposti, la risk difference è -5%, indicando una riduzione del rischio assoluto del 5%. È utile per capire l’impatto assoluto di un intervento e differisce dalle misure relative come il rischio relativo (relative risk).

Bibliografia

1. Byrne RA, Rossello X, Coughlan JJ, et al.; ESC Scientific Document Group. 2023 ESC Guidelines for the management of acute coronary syndromes. Eur Heart J 2023; 44: 3720-826.

2. Virani SS, Newby LK, Arnold SV, et al.; Peer Review Committee Members. 2023 AHA/ACC/ACCP/ASPC/NLA/PCNA Guideline for the management of patients with chronic coronary disease: a report of the American Heart Association/American College of Cardiology Joint Committee on Clinical Practice Guidelines. Circulation 2023; 148: e9-e119.

3. Silvain J, Cayla G, Ferrari E, et al., for the ABYSS Investigators of the ACTION Study Group. Beta-blocker interruption or continuation after myocardial infarction. N Engl J Med 2024; 391: 1277-86.

4. Yndigegn T, Lindahl B, Mars K, et al.; REDUCE-AMI Investigators. Beta-Blockers after myocardial infarction and preserved ejection fraction. N Engl J Med 2024; 390: 1372-81.

5. Vrints C, Andreotti F, Koskinas KC, et al. Linee guida ESC 2024 per la gestione delle sindromi coronariche croniche. G Ital Cardiol 2024; 25 (12 Suppl. 1): e1-e132.