Paziente affetto da linfoma B diffuso a grandi cellule:
un buon esempio di network nella cura

Maria Chiara Tisi1

1UO Ematologia, Ospedale San Bortolo, Vicenza.

Pervenuto il 29 settembre 2024. Accettato il 18 ottobre 2025.

Riassunto. Il trattamento con cellule T del recettore chimerico dell’antigene (chimeric antigen receptor T-cells - CAR-T) ha rivoluzionato la prognosi dei pazienti affetti da linfoma B diffuso a grandi cellule (diffuse large B-cell lymphoma - DLBCL). L’esito del trattamento CAR-T è condizionato dall’early referral al centro di trattamento, dall’infusione delle cellule CAR-T in tempi rapidi e da un ridotto burden di malattia. Di seguito descriviamo la storia di un paziente con una diagnosi di linfoma B ad alto grado con riarrangiamento di MYC e Bcl6, trasformato da linfoma marginale splenico, che veniva riferito al nostro centro in uno stato di chemiorefrattarietà e malattia rapidamente progressiva. Il paziente riceveva un trattamento “holding” al fine di stabilizzare la malattia prima della linfocitoaferesi e successivamente veniva sottoposto a terapia bridge combinata, ottenendo una remissione metabolica prima dell’infusione CAR-T. A 21 mesi dall’infusione persiste la remissione completa di malattia. Questo caso rappresenta un esempio di adeguato referral e una costante e piena collaborazione tra centri.

Parole chiave. CAR-T, early referral, linfoma diffuso a grandi cellule B, terapia bridge.

Patient with diffuse large B-cell lymphoma: a good example of network in care.

Summary. Chimeric Antigen Receptor T cell (CAR-T) therapy has revolutionized prognosis of patients with diffuse large B-cell lymphoma (DLBCL). Success of CAR-T treatment heavily relies on early referral to the CAR-T center, on a short time of infusion of CAR-T cells from the lymphocyte collection and on a reduced burden of disease. Here we describe the case of a patient with diagnosis of High-grade B-cell lymphoma with MYC and BCL6 rearrangements, transformed from marginal zone lymphoma, referred with a refractory and rapidly progressive disease. The patient received holding therapy, with the aim to control the disease before apheresis, and subsequently treated with a combined bridging therapy, achieving a metabolic complete remission. Patient is still in complete remission at 21 months from infusion. This report represents a case of a correct referral and a full collaboration between centers.

Key words. Bridging therapy, CAR-T, DLBCL, early referral.

Introduzione

La terapia con cellule T del recettore chimerico dell’antigene (chimeric antigen receptor T-cells - CAR-T) ha modificato la storia clinica dei pazienti affetti da linfoma diffuso a grandi cellule B (diffuse large B-cell lymphoma - DLBCL), riuscendo a indurre risposta e portare in remissione malattie chemiorefrattarie o recidivate ai precedenti trattamenti, e inducendo quadri di risposta duraturi nel tempo1. Perché la terapia abbia successo è fondamentale che vengano rapidamente identificati da parte degli esperti di linfoma i pazienti che possono beneficiare di questo trattamento, e che tali pazienti vengano riferiti e presi in carico in tempi rapidi nei centri di trattamento CAR-T. Il burden di malattia all’infusione del CAR-T, lo stato infiammatorio e una buona risposta alla terapia bridge impattano la prognosi di questi pazienti, oltre che il tasso di tossicità legata al trattamento2,3. Una buona interazione tra il centro referral e il centro di trattamento CAR-T permette una migliore gestione di questi aspetti, conferendo maggiori probabilità di successo della terapia. È stato inoltre recentemente dimostrato come il timing tra la linfocitoaferesi e l’infusione (vein to vein time), rappresenti un ulteriore fattore prognostico4, per il quale in futuro sarà sempre più importante ampliare la capacità di trattamento dei centri di riferimento CAR-T.

Descriviamo di seguito il caso di un paziente affetto da linfoma B ad alto grado con riarrangiamento di MYC e Bcl6, trasformato da linfoma marginale splenico, chemiorefrattario alla seconda linea di terapia, con un andamento rapidamente progressivo e bulky di malattia, sottoposto a trattamento con axicabtagene ciloleucel (axi-cel).

Caso clinico

Un uomo di 54 anni giungeva all’attenzione del nostro centro nel settembre 2022, per la valutazione dell’idoneità al trattamento CAR-T.

In anamnesi patologica remota veniva segnalata exeresi di basaliomi cutanei nel 2006 e nel 2013; assenza di ulteriori patologie mediche concomitanti. Non assumeva terapia domiciliare, nessuna allergia a farmaci. Non fumatore.

La storia clinica della malattia del paziente aveva inizio nel 2013, quando veniva posta la diagnosi di linfoma B splenico della zona marginale (SMZL), con interessamento midollare e basso tumor burden, con sierologie negative per infezioni da HCV in atto o pregresse, per cui era stato assunto un atteggiamento di osservazione e il paziente era stato sottoposto a controlli periodici nel tempo (wait and watch).

Nel luglio 2020, per progressivo incremento dimensionale delle linfoadenomegalie superficiali, il paziente veniva sottoposto a biopsia di linfonodo ascellare sinistro, il cui esame istologico documentava: «[…] Linfoma non Hodgkin B diffuso a grandi cellule, non GCB secondo algoritmo di Hans (CD20+, CD5-, CD10-, Bcl2+, Bcl6+, MUM1+), Ki67> 80%»; all’analisi FISH, presente riarrangiamento di MYC e di Bcl6, Bcl2 non riarrangiato. Si concludeva per linfoma di alto grado con riarrangiamento di MYC e Bcl6, trasformato da SMZL, sec. WHO 20175. La tomografia assiale computerizzata (Tac) e la tomografia a emissione di positroni (Pet-Tac) con 18FDG di stadiazione mostravano un interessamento splenico (milza di 25 cm), numerose linfoadenomegalie sopra e sottodiaframmatiche fino a 7 cm, localizzazioni di malattia pancreatica, del rinofaringe e della parete addominale. La biopsia osteomidollare mostrava una popolazione di blasti compatibili con localizzazione di linfoma ad alto grado, e una concomitante popolazione residua del preesistente SMZL. Il paziente presentava inoltre sintomatologia sistemica, con febbre, sudorazioni notturne e calo ponderale (stadio Ann Arbor IVB, R-IPI 3 – alto rischio, CNS IPI 3 – rischio intermedio).

Dal luglio 2020 al novembre 2020 il paziente veniva trattato presso il centro referral, con terapia di prima linea di tipo CHOP-like intensificato (MACOD-R6, comprendente rituximab, ciclofosfamide, adriamicina, vincristina e metothrexate), di cui completava 4 cicli; al termine venivano somministrati altri 2 cicli di rituximab. La rivalutazione radiologica al termine del trattamento mostrava una remissione completa metabolica al trattamento; la biopsia osteomidollare risultava esente da localizzazione di malattia.

Nel marzo 2021, dopo 4 mesi dal termine del trattamento di prima linea, si assisteva a una ripresa di malattia, con nuova comparsa di linfoadenomegalie laterocervicali, alla stadiazione si concludeva per stadio Ann Arbor IIIA. Il paziente veniva quindi rapidamente sottoposto a trattamento chemio-immunoterapico con 2 cicli R-DHAOX7, al termine dei quali veniva eseguita staminoaferesi (totale cellule CD34+ raccolte pari a 9x10^6/kg). Ottenuta la remissione metabolica, nel giugno 2021, il paziente veniva sottoposto a trapianto autologo di cellule staminali (ASCT) con reinfusione di 3,7x10^6/kg di cellule CD34+, previo condizionamento secondo schema BEAM (BCNU o carmustina, etoposide, citarabina, melfalan).

La remissione veniva mantenuta per 13 mesi dal trapianto autologo, fino al luglio 2022, quando, per nuovo riscontro autopalpatorio di linfoadenomegalie superficiali laterocervicali, il paziente veniva nuovamente sottoposto a biopsia escissionale di linfonodo laterocervicale destro, che documentava recidiva del noto linfoma ad alto grado (riarrangiamento MYC e Bcl6, non GCB secondo algoritmo di Hans, Ki67 70%).

La Pet-Tac con 18FDG del settembre 2022 (figura 1a) confermava la presenza di una massa bulky laterocervicale destra (adenopatia delle dimensioni di 14×7 cm, SUV 37) e captazioni linfonodali sovradiaframmatiche con SUV massimo, in regione ascellare, di 41,8.

In considerazione del carico di malattia, veniva intrapreso ciclo di debulking con desametasone 20 mg/die per 4 giorni VCR 2 mg ev in bolo, e in data 20 settembre 2022 veniva valutato presso il nostro centro.

Alla prima visita presso l’ambulatorio CAR-T del nostro centro, il paziente appariva in buone condizioni generali, ECOG PS=0. Non presentava sintomi sistemici. All’esame obiettivo si rilevava ingombro da parte di voluminosa massa laterocervicale destra, di 14x7 cm. Gli esami ematochimici, eseguiti in corso di terapia steroidea, mostravano leucocitosi neutrofila (GB 16100/mmc, neutrofili 15200/mmc, linfociti 400/mmc), Hb 12,8 g/dl, Plts 316000/mmc; fibrinogeno 707 mg/dl, funzionalità renale nella norma (cr clearance 109 ml/min), AST 28 U/l (v.n. 0-45), ALT 90 U/l (v.n. 0-50), fosfatasi alcalina 214 U/l (v.n. 43-115), gamma-GT 199 (v.n. <56), LDH 383 (v.n. <210), PCR 14,2 mg/l (v.n. <5), ferritina 579 µg/L (v.n. 18-250). Le sierologie per HBV, HCV e HIV risultavano negative per infezioni in atto o pregresse, quantiferon negativo. Il paziente aveva inoltre di recente eseguito un EcoCG che documentava una FE pari a 67%, in assenza di alterazioni funzionali dell’attività cardiaca, e una Rmn encefalo con mdc che risultava nella norma (non evidenza di segni suggestivi di linfoma o alterazioni di altra natura).

In considerazione del bulky di malattia, del trattamento steroideo in corso, necessario per il controllo dei sintomi e della massa, e dell’urgenza di un trattamento, si decideva per iniziare rapidamente trattamento di debulking con uno schema chemioterapico “CHOP-like”, R-VEMP8 (rituximab, mitoxantrone, ciclofosfamide, etoposide, metilprednisolone), definito anche come holding therapy9 (bridge a linfocitoaferesi). Il paziente veniva quindi rivalutato presso il nostro centro in giornata +13 post-chemioterapia: alla visita presentava una netta riduzione della nota massa laterocervicale, conta linfocitaria pari a 700/mmc, in wash out da terapia steroidea da 7 giorni.

Alla luce del buon controllo di malattia, si procedeva rapidamente a linfocitoaferesi per axi-cel, che veniva organizzata a +21 giorni dal precedente ciclo di chemioterapia, il 18 ottobre 2022. Il giorno successivo alla linfocitoaferesi veniva intrapresa terapia bridge con PolaBR10 (polatuzumab, bendamustina, rituximab), ottenendo netta riduzione della massa linfonodale laterocervicale (6x6 cm). A partire dalla giornata +15 dopo il ciclo di terapia bridge si somministrava RT sulla massa laterocervicale (totale 20 Gy in 5 frazioni). La Pet-Tac con 18FDG post-terapia bridge mostrava un quadro di risposta metabolica completa: veniva segnalata captazione nelle parti molli del collo a destra con SUV 3,6, diametro 20-25 mm, Deauville Score 3 (figura 1b). La sacca CAR-T veniva consegnata presso il centro di trattamento a 28 giorni dalla linfocitoaferesi, e 8 giorni dal termine della RT il paziente veniva ricoverato per il trattamento CAR-T. Il CAR-HEMATOTOX score11 calcolato al ricovero risultava low-risk (1 point). Dal 19 al 21 novembre 2022 veniva sottoposto a chemioterapia linfodepletiva con fludarabina/ciclofosfamide secondo scheda tecnica12, e in data 24 novembre veniva sottoposto a infusione di axi-cel (37 giorni dopo la linfocitoaferesi). La figura 2 riassume il patient journey. Il trattamento veniva complicato in acuto da sindrome da rilascio di citochine (CRS)13 di grado 1 di durata di 4 giorni a partire dal giorno + 9 post-infusione. Non si evidenziava tossicità neurologica (ICANS).




Per la gestione della tossicità14 venivano somministrate 2 dosi di tocilizumab, i giorni +10 e +11 post-infusione (figura 3).




Il paziente presentava inoltre, nella fase acuta, tossicità ematologica, in particolare neutropenia g4 secondo CTCAE v5.0, recuperata il giorno +8 post-infusione con la somministrazione di fattore di crescita granulocitario, anemia g3 per cui riceveva supporto con 2U di globuli rossi concentrati, mentre non presentava piastrinopenia. Le citopenie si risolvevano entro i 30 giorni, e non si è assistito successivamente a fabbisogno trasfusionale né a necessità di terapia di supporto con fattori di crescita. Il paziente presentava inoltre ipogammaglobulinemia severa per cui riceveva supporto con infusione di immunoglobuline ev (per valori di IgG <400 mg/dl). Il saggio citofluorimetrico di espansione delle cellule CAR-T documentava un picco di espansione massima pari a 34,83 CAR-T cells/uL, registrato in giornata +13 (figura 3). In giornata +20 post-infusione il paziente veniva dimesso dalla degenza, in buone condizioni generali, ECOG=0, apiretico, con il seguente emocromo: Hb 9,1 g/dl, Plts 155000/mmc, GB 3100/mmc, N 2000/mmc, L 400/mmc; la funzionalità epatica e renale era nella norma, i valori di LDH erano normalizzati. L’assetto linfocitario al giorno +14 dall’infusione di CAR-T era il seguente: linfociti T CD3+ 321 cells/µL, CD3+CD4+ 93 cells/µL, CD3+CD8+ 222 cells/µL, linfociti B CD19+ 0 cells/µL, linfociti NK CD3-CD56+ 70 cells/µL.

La Pet-Tac di rivalutazione a un mese dall’infusione documentava una remissione completa di malattia (figura 1c), che si confermava agli esami radiologici eseguiti successivamente nel follow-up (Pet-Tac a 3 e a 6 mesi).




Nel follow-up a lungo termine il paziente proseguiva supplementazione periodica di Ig ev con l’obiettivo di mantenerne i valori di IgG superiori a 400 mg/dl14, senza necessità di ulteriore supporto trasfusionale né di fattori di crescita. Le rivalutazioni radiologiche eseguite mediante Tac a 12 e 18 mesi post-infusione confermavano la remissione completa di malattia. Il paziente non presentava citopenie tardive né eventi infettivi nel follow-up.

Discussione

Il trattamento CAR-T ha migliorato la prognosi dei pazienti con diagnosi di DLBCL. La prima indicazione approvata da Fda, Ema e Aifa, riguardava i pazienti recidivati/refrattari dopo almeno due linee di terapia. Nonostante i buoni tassi di risposta, e la durata della risposta confermata nel tempo1, la quota di pazienti non responsivi al trattamento è ancora importante. Il caso descritto rappresenta, per biologia (linfoma ad alto grado trasformato da indolente e con associata traslocazione MYC/Bcl6), per burden tumorale e per rapidità di progressione clinica, uno dei casi più difficili da prendere in carico.

Gli step più complessi del trattamento CAR-T sono infatti costituiti da:

1. Timing della linfocitoaferesi, con particolare attenzione a un adeguato wash out dai trattamenti precedenti (in particolare almeno 7 giorni dallo steroide), al fine di ottenere un prodotto cellulare di partenza adeguato e di ridurre il rischio di fallimento della produzione della sacca CAR-T. I pazienti con importanti masse tumorali, infatti, spesso arrivano alla valutazione per il trattamento CAR-T in corso di terapia steroidea per il controllo dei sintomi, rendendo difficile l’organizzazione della linfocitoaferesi. Nel caso di questo paziente è stato fatto un tentativo di holding therapy, allo scopo di ridurre il carico di malattia e rendere il paziente indipendente dallo steroide per procedere precocemente alla raccolta dei linfociti. In questo caso la rapidità di intervento è stata possibile anche grazie alla buona comunicazione e alla collaborazione tra centro referral e centro CAR-T.

2. Bridging therapy. È stato ormai dimostrato in diverse esperienze real life che la risposta al bridge garantisce una maggiore probabilità di successo del trattamento CAR-T3. Uno degli schemi sempre più spesso utilizzati è lo schema PolaBR. Nel caso di masse bulky, malattia localizzata e malattie chemiorefrattarie, si è ritagliato un ruolo il trattamento radiante15, dimostrando di avere una buona efficacia e permettendo inoltre di ridurre la tossicità ematologica.

3. Vein to vein time. Sebbene rimanga fondamentale la riduzione del carico di malattia, è anche cruciale infondere il paziente in tempi adeguati, in modo tale da evitare un’ulteriore progressione di malattie già chemiorefrattarie. Nel caso descritto, la malattia del paziente si presentava biologicamente e clinicamente molto aggressiva, per cui un tempo di attesa eccessivo prima dell’infusione avrebbe comportato il rischio di perdita della risposta al bridge, e quindi peggioramento delle condizioni cliniche del paziente. Questo caso conferma il potenziale curativo di axi-cel in un subset di pazienti con linfoma B aggressivo.

4. Tossicità a lungo termine non direttamente legate alla malattia. Con l’aumento del numero dei pazienti trattati con CAR-T e con le esperienze real life, sono stati messi in evidenza alcuni aspetti importanti da monitorare nel lungo termine, in particolare le citopenie prolungate (>30 giorni dall’infusione) e gli eventi infettivi. Nel caso del nostro paziente, nonostante il numero di trattamenti precedenti, comprensivi anche di ASCT, le tossicità a breve e lungo termine sono state molto limitate, risultando il trattamento con axi-cel oltre che efficace, anche sicuro.

Conclusioni

Abbiamo qui descritto la storia di un paziente con malattia aggressiva, che si presentava alla candidatura a CAR-T con una malattia chemiorefrattaria e di difficile controllo. Questa esperienza ha documentato un buon esito del trattamento, dovuto anche a un adeguato timing di presa in carico del paziente e a una costante e piena collaborazione tra centro referral e centro di trattamento CAR-T.

Conflitto di interessi: l’autrice ha percepito diritti d’autore da Il Pensiero Scientifico Editore – soggetto portatore di interessi commerciali in ambito medico scientifico.

Acknowledgments: questo lavoro è stato realizzato con un contributo non condizionante di Gilead.

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