Preprint e archivi aperti e social network.
A ciascuno il suo

Valeria Scotti1

1Servizio di documentazione scientifica, Fondazione Irccs Policlinico San Matteo, Pavia.

Pervenuto il 28 ottobre 2024. Non sottoposto a revisione critica esterna alla redazione della rivista.

Riassunto. L’articolo esplora il tema dei preprint e il loro crescente utilizzo nella comunità scientifica. I preprint sono manoscritti scientifici completi che gli autori caricano su repository pubblici prima di essere sottoposti alla revisione paritaria (peer review). Questo processo permette una diffusione quasi immediata dei risultati di ricerca, consentendo agli autori di ottenere un feedback precoce dalla comunità scientifica. I preprint rappresentano una delle pratiche chiave dell’Open Science, che punta a rendere la ricerca più accessibile e trasparente. I vantaggi della pubblicazione di preprint sono numerosi: i ricercatori possono diffondere rapidamente i loro risultati, ricevere critiche costruttive in tempi brevi e incrementare la visibilità dei loro lavori, soprattutto per i giovani studiosi. Il lavoro descrive inoltre i vari server di preprint disponibili, e spiega la differenza tra repository istituzionali e social network accademici. I repository istituzionali, gestiti da università o enti pubblici, sono sicuri e garantiscono la conservazione a lungo termine dei dati scientifici. Al contrario, i social network accademici, come ResearchGate, sono piattaforme commerciali che possono comportare rischi legati alla violazione del diritto d’autore. Infine, il documento affronta anche il dibattito sull’efficacia del sistema tradizionale di peer review, spesso criticato per la sua lentezza e la mancanza di trasparenza. I preprint offrono una via complementare alla pubblicazione tradizionale, permettendo una diffusione più rapida e aperta delle scoperte scientifiche, ma devono essere utilizzati con cautela, soprattutto in settori in cui la revisione paritaria è essenziale per garantire l’affidabilità dei risultati.

Parole chiave. Archivi, peer review, preprint, repository, social network.

Preprints and open archives and social networks. To each his own.

Summary. The article explores the topic of preprints and their growing use within the scientific community. Preprints are complete scientific manuscripts that authors upload to public repositories before undergoing peer review. This process allows for the near-immediate dissemination of research findings, enabling authors to receive early feedback from the scientific community. Preprints represent one of the key practices of Open Science, which aims to make research more accessible and transparent. The benefits of publishing preprints are numerous: researchers can quickly share their results, receive constructive criticism in a short time, and increase the visibility of their work, particularly for early-career scholars. The work further outlines the various preprint servers available and explains the difference between institutional repositories and academic social networks. Institutional repositories, managed by universities or public entities, are secure and ensure the long-term preservation of scientific data. In contrast, academic social networks, such as ResearchGate, are commercial platforms that may pose risks related to copyright violations. Finally, the document addresses the debate over the effectiveness of the traditional peer review system, which is often criticized for its slowness and lack of transparency. Preprints offer a complementary path to traditional publishing, allowing for faster and more open dissemination of scientific discoveries. However, they should be used cautiously, particularly in fields where peer review is essential to ensure the reliability of results.

Key words. Archive, peer review, preprint, repository, social network.

Introduzione ai preprint e agli archivi

Con l’avvento della scienza moderna gli studiosi cercano un confronto con i propri pari e sentono la necessità di condividere le proprie scoperte. Il manoscritto scientifico, un tempo inviato per posta, poi per mail ai propri colleghi, rappresenta il prototipo di quella tipologia documentale che successivamente prende il nome di preprint.

Come possiamo definire tale prodotto della ricerca?

Un preprint è un manoscritto scientifico completo che ancora non è stato sottoposto alla peer review, che l’autore può caricare su un archivio o repository pubblico per una fruizione gratuita e/o presentare a una rivista per la pubblicazione.

Una volta sottoposta alla valutazione, la versione del documento comprensiva delle modifiche fatte dai revisori scientifici prende il nome di post-print. Terminato il processo editoriale, la versione in veste editoriale (con impaginazione e grafica nel formato previsto dall’editore) del documento, pronto per essere pubblicato, prende il nome di Published Version o Version of Record.

Perché il preprint nel corso degli anni ha assunto sempre maggiore importanza fino a occupare il centro del dibattito odierno?

Con internet e le nuove tecnologie i tempi di pubblicazione vengono quasi annullati e la condivisione delle conoscenze diventa molto veloce grazie ai nuovi canali di diffusione come i blog e i social network.

I preprint sembrano la risposta più a portata di mano per far fronte alle nuove esigenze, e a molti studiosi appaiono sin dall’inizio come l’elemento base per costruire una via alternativa all’editoria tradizionale in molti casi insostenibile e vessatoria.

«Le proposte vanno dal realizzare una propria home page con i reprint delle proprie pubblicazioni, a costruire un sito con i preprint di un settore disciplinare, fino a realizzare un periodico solo elettronico. Tuttavia non hanno avuto molto successo tra i colleghi, ancora riluttanti a seguire il loro esempio. Per quali motivi? Quali barriere si frappongono a questa rivoluzionaria trasmissione della comunicazione scientifica? Probabilmente il maggiore ostacolo è tutto il lavoro che c’è da fare. Non è cosa da poco predisporre un periodico elettronico o anche solo un proprio sito Web e per di più questo lavoro si aggiunge alle normali attività di studio e didattica. Inoltre l’auto-pubblicazione richiede una buona familiarità con il calcolatore. Un secondo ostacolo, connesso strettamente al primo, è che il lavoro pubblicato in rete non è considerato alla stregua della produzione a stampa nei concorsi per gli avanzamenti di carriera. Così il tempo speso nelle attività editoriali è sottratto ad attività ben più remunerative. Un terzo ostacolo, questo più sostanziale dei precedenti, è la perdita della peer review, che è invece essenziale per gli studiosi»1.

Con l’affermazione del movimento open access (OA)2, i preprint diventano lo strumento chiave per praticare la via verde (green road). Per promuovere l’accesso aperto alla conoscenza, il movimento raccomanda di pubblicare su riviste aperte (gold road); in alternativa a questa opzione, quando non percorribile, chiede all’autore, che opta per la pubblicazione ad accesso chiuso, di autoarchiviare una copia del proprio lavoro.

L’autoarchiviazione consente di diffondere rapidamente nuove scoperte e risultati di ricerca e accelerare il processo di condivisione delle conoscenze. Rendendo pubblici i propri manoscritti, gli autori promuovono la trasparenza nella ricerca e incoraggiano la replicabilità degli studi e possono stimolare la collaborazione tra ricercatori e favorire lo scambio di idee e critiche costruttive3.

La pubblicazione di preprint, oltre a consentire una diffusione quasi immediata4, consente anche un feedback scientifico nelle prime fasi del processo di “pubblicazione” che potrebbe costituire il prototipo di un nuovo sistema di valutazione, aperto e trasparente, che in molti oggi ritengono uno degli elementi cruciali per l’affermazione della scienza aperta.

La revisione tra pari è considerata time consuming e spesso la qualità della revisione paritaria è dibattuta nella comunità scientifica con esempi di frodi e processi di revisione non sempre trasparenti5. Da qui sono nate esigenze differenti a cui, ancora una volta, i preprint e la valutazione pre-pubblicazione, in essi insita, sembrano rispondere adeguatamente.

Un aspetto, di non secondaria importanza, su cui riflettere è capire se l’autoarchiviazione è un diritto (di chi?) o una concessione (da parte di chi?). È possibile autoarchiviare tutte le versioni (preprint, post-print, versione editoriale) dell’articolo scientifico se gli autori non cedono in modo esclusivo il copyright. In genere, quando si sottopone un articolo a un editore per la pubblicazione ad accesso chiuso, è prassi comune cedere tutti i propri diritti (copyright transfer). In questo caso sarà possibile autoarchiviare la versione prevista dall’editore e solo se questi lo concede. Oggi il cambiamento culturale, a cui tutti siamo chiamati a partecipare, chiede di conservare i diritti che naturalmente l’autore acquisisce quando crea un’opera6. Cedere solo alcuni dei diritti d’autore consente di usufruire liberamente del proprio articolo e molte sono le azioni a livello nazionale, europeo e internazionale sorte a sostegno di questa scelta responsabile e necessaria per un modello di comunicazione più equo.

Dopo un ventennio di tanto inchiostro impiegato per sviscerare il tema dell’autoarchiviazione, molte delle problematiche che ostacolano l’affermazione di questa pratica sono ancora da risolvere, ma molte sono state risolte.

Depositare in un archivio aperto è importante per i ricercatori, che così ottengono la certificazione della paternità intellettuale associata a una data certa, visibilità e maggiore diffusione dei propri contenuti per l’intera comunità scientifica che ha accesso al testo completo dei risultati della ricerca gratuitamente, nonché garanzia di recupero di dati depositati anche molto tempo prima.

Depositare in un archivio aperto è importante perché un archivio o «un repository è una piattaforma digitale con cui è possibile raccogliere, gestire e conservare articoli scientifici, dati, software, note di laboratorio o qualsiasi altro prodotto della ricerca. In sostanza è uno dei principi fondamentali della scienza aperta ed è tra i principali strumenti dell’open access». Altro aspetto importante è «la sua interoperabilità, cioè l’uso di tecnologie e standard che ne permettono il collegamento e gli scambi con altri archivi virtuali»7.

Per tutti gli argomenti esposti, gli archivi aperti potrebbero consentire, con la collaborazione di tutti, la restituzione del controllo della scienza agli scienziati.

Tipologie di archivi e un po’ di storia

Esistono vari tipi di archivi digitali che si differenziano per:

tipo di contenuto che ospitano (archivi tematici, di dati o generalisti);

chi li gestisce o li usa (repository istituzionali, repository di livello nazionale, di una comunità scientifica specifica o di una infrastruttura di ricerca).

È possibile depositare in più di un repository, ma è fondamentale utilizzare sempre lo stesso Pid (persistent identifier), come il Doi.

Per orientarsi può essere utile consultare:

OpenDoar: è una directory di riferimento per gli Open Data Repositories, che raccoglie repository di pubblicazioni OA accuratamente selezionati e conformi a standard di qualità certificata (“quality-assured”). Si tratta di una risorsa autorevole e riconosciuta a livello mondiale, ideale come punto di partenza per chiunque desideri accedere a banche dati ad accesso aperto;

Roar: registro dei repository OA;

Re3data: registro principalmente sui repository di dati della ricerca.

I principali tipi di repository sono:

Istituzionali, curati da singole istituzioni. In genere raccolgono e rendono disponibili online solo i lavori dei ricercatori affiliati all’istituzione a cui fa riferimento l’archivio; se consentito è possibile depositare anche in un archivio disciplinare.

Tematici o disciplinari. Ospitano i risultati della ricerca di argomenti specifici. Appartengono a questa tipologia ArXiv e Europe PubMed Central (Europe Pmc). Per depositare non è richiesta una specifica affiliazione né una provenienza geografica. Il deposito di un lavoro in un repository tematico non sostituisce quello nel repository istituzionale, se l’istituzione di appartenenza lo permette.

Di letteratura. Raccolgono le pubblicazioni scientifiche (quindi testi).

Di dati. Specializzati nella conservazione di dati e metadati.

Generalisti (catch all). Accolgono tutti i prodotti della ricerca (presentazioni, poster, immagini, dati, articoli). Utilizzati se non esiste un repository di riferimento. Zenodo, tra i generalisti più conosciuti, non richiede l’uso di formati, dimensioni, licenze e ha metadati generici.

Tra i server più conosciuti possiamo elencare8:

arXiv (1991): è stato fondato per preprint di fisica, ma l’adozione in altri campi è stata meno veloce;

E-LIS (2003): con un focus sulla Library Information science;

PeerJ Preprint (2013): archivio multidisciplinare;

ASAPbio (2015): è stato avviato per promuovere l’uso dei preprint;

SocArxiv (2016): repository di articoli di scienze sociali;

Nih e Europe Pmc (2017-2018): hanno iniziato a supportare rispettivamente l’uso di prestampe e l’indicizzazione di preprint;

bioRxiv (2013): dedicato alla biologia e alle scienze della vita;

medRxiv (2019): è stato sviluppato nel contesto delle scienze mediche cliniche e della salute.

Qualche numero chiarirà meglio quanti manoscritti “transitano” su tali server. Dal 2018, Europe Pmc4 ha reso disponibili 737.048 preprint e versioni post-print e articoli pubblicati su riviste. Europe Pmc è un archivio ad accesso aperto che contiene milioni di lavori di ricerca biomedica offrendo accesso gratuito a pubblicazioni, preprint, protocolli e altri documenti scientifici. Con Europe Pmc è possibile cercare e leggere 44,8 milioni di pubblicazioni, preprint e altri documenti arricchiti da link a dati di supporto, recensioni, protocolli e altre risorse rilevanti. Se un preprint è stato pubblicato in una rivista indicizzata in Europe Pmc, il preprint e l’articolo pubblicato sono collegati. L’indicizzazione dei preprint insieme agli articoli pubblicati su riviste li rende più rilevabili. Come si può evincere dalla figura 1, la pandemia da Covid-19 ha dato un forte impulso al loro utilizzo attestandosi successivamente su numeri sempre molto considerevoli.




Questo è dovuto anche al fatto che ormai nelle banche dati bibliografiche tradizionali (PubMed, Embase) così come in quelle considerate citazionali (Scopus, Web of Science), si trovano lavori pubblicati su tali repository come risultato di ricerche bibliografiche o nei profili dei ricercatori. Per entrambe le tipologie di banche dati, il sistema fornisce il collegamento al repository di provenienza e al relativo pdf, avvertendo che l’articolo non è stato sottoposto alla peer review, lasciando al ricercatore la possibilità di utilizzare e citare o meno i dati e l’articolo in tale versione.

Tra i server elencati nella figura 1, si sottolinea il sito ASAPbio in quanto vi sono riportati i principali server, e per ciascuno di essi vengono forniti dati molto utili sulla loro tipologia, sulle modalità di caricamento, se vi è o meno un processo di screening dei paper e varie altre informazioni. Questo serve anche per comprendere meglio la differenza, spesso poco percepita, tra un repository istituzionale e un server derivante dai social network.

Differenze tra repository e social network

Il repository istituzionale è un archivio elettronico online dove viene raccolta, conservata ed esposta tutta la produzione dell’ente e che dunque può contenere diversi tipi di output. In questo tipo di repository possono essere raccolti dati, pubblicazioni (in generale le varie forme di letteratura scientifica e gli articoli sia anteriori sia successivi alla peer review, dunque ­pre-print e post-print), materiale di disseminazione, etc. Per l’istituzione, il repository può facilmente diventare una vetrina in cui mostrare la produzione dell’ente e, più in generale, uno strumento con cui facilitare lo scambio interno o con il resto della comunità scientifica. Incoraggiare il deposito della letteratura scientifica sarà dunque un bene in termini di visibilità, ma potrà comportare vantaggi anche nei processi di valutazione della ricerca. Rientrano in questa categoria gli archivi istituzionali, quelli nazionali o quelli gestiti da una specifica comunità scientifica, enti no-profit, Unione europea. Possiamo immaginarli come luoghi virtuali per raccogliere, documentare, conservare a lungo termine e rendere più ampiamente disponibile la produzione dell’attività scientifica svolta dagli studiosi nell’ambito della loro attività istituzionale.

Vi sono poi i repository disciplinari, archivi che raccolgono pubblicazioni in una particolare disciplina o in una serie di discipline, in modo che gli autori di un determinato campo possano condividere e sollecitare feedback sul loro lavoro dai colleghi in quel settore, indipendentemente da dove lavorano (per es., medRxiv). In altri, come Figshare o Zenodo, ad accesso aperto, i ricercatori possono conservare e condividere i loro risultati di ricerca, inclusi figure, set di dati, immagini e video, presentazioni, poster, software9.

Molti grandi editori permettono l’archiviazione in un deposito istituzionale o disciplinare ad accesso aperto, o sul sito personale dell’autore (spesso si richiede di lasciare passare un periodo di tempo dopo la pubblicazione, detto “embargo”, prima di rendere accessibile il proprio articolo a tutti, o di archiviare la versione dell’autore e non quella editoriale). La maggior parte dei repository/archivi ad accesso aperto è senza scopo di lucro e ottiene finanziamenti da un’entità ospitante come un’università o un’agenzia governativa. Ciò ne garantisce la conservazione nel lungo periodo. Prevedono l’assegnazione di un identificativo univoco e persistente (per es., codice handle, Doi) contribuendo a rendere la risorsa (pubblicazione, dato, etc.) rintracciabile e citabile in una bibliografia. Gli archivi OA rendono disponibili i metadati bibliografici (e ne consentono la raccolta, in inglese harvesting, grazie al protocollo sviluppato dall’Open Archives Initiative - Oai)10 dei lavori contenuti abilitando servizi come OpenAIRE che raccoglie tutti i prodotti delle ricerche finanziate dalla Commissione europea. Il deposito di uno o più prodotti della ricerca è vincolato dal rispetto del contratto firmato con l’editore. La possibilità di depositare o meno un articolo, il tipo di versione depositabile e l’applicazione di un eventuale embargo dipendono dalla policy della rivista in cui è pubblicato. Inoltre, il tipo di versione depositabile dipende anche dalla policy del repository stesso. La banca dati SHERPA-RoMEO (https://www.sherpa.ac.uk/­romeo/), per esempio, consente di conoscere la policy di numerosi editori internazionali e italiani in merito all’autoarchiviazione. In generale, i dati e le politiche possono variare da editore a editore. Strumenti come SHERPA­/RoMEO sono molto utili per controllare le specifiche politiche di ogni singolo editore. Secondo tale banca dati, che monitora le politiche di autoarchiviazione degli editori, oltre il 70% degli editori permette di autoarchiviare il preprint in un archivio istituzionale o su piattaforme come arXiv o bioRxiv. Vediamo brevemente le politiche editoriali di 3 tra i principali editori mondiali (Elsevier, Springer e Wiley) indicate su SHERPA/RoMeo.

Elsevier:

preprint (versione inviata): solitamente possono essere archiviati in repository come quelli istituzionali o su siti web personali;

post-print (versione accettata): Elsevier consente solitamente l’autoarchiviazione dopo un periodo di embargo che varia in base alla rivista (spesso 12-24 mesi per i repository);

versione pubblicata: generalmente non è permesso autoarchiviare la versione pubblicata dall’editore.

Springer:

preprint: Springer consente solitamente agli autori di archiviare il preprint su qualsiasi piattaforma;

post-print: l’archiviazione è consentita dopo un embargo che varia in base alla disciplina e alla rivista; molte riviste Springer richiedono un periodo di embargo di 12 mesi;

versione pubblicata: come per Elsevier, la versione pubblicata è di norma soggetta a restrizioni e non può essere autoarchiviata.

Wiley:

preprint: Wiley permette l’archiviazione dei preprint in repository o su siti personali;

post-print: l’autoarchiviazione è consentita dopo un embargo, che solitamente varia tra 12 e 24 mesi a seconda della rivista;

versione pubblicata: gli autori non possono solitamente archiviare la versione finale pubblicata dall’editore.

Queste regole tendono a variare tra riviste e tipologie di pubblicazione; quindi, è sempre consigliabile controllare le politiche specifiche del singolo journal.

I social network accademici sono piattaforme concepite per essere usate in ambito accademico. Il loro utilizzo di solito è gratuito. Gli utenti vi creano profili e sono incoraggiati a elencare le loro pubblicazioni e altre attività accademiche, caricare copie dei manoscritti di cui sono autori e creare collegamenti con studiosi con cui lavorano o co-autori. Consentono di costruire una rete di contatti entro la quale condividere informazioni e risorse, collegano ricercatori con interessi comuni. Spesso si tratta di società commerciali, e potrebbero perciò diventare a pagamento, chiudere o venire acquisite da altri, senza garanzie di accesso ai contenuti depositati. Dai social network accademici è impossibile estrarre alcun tipo di dato. I principali e maggiormente conosciuti sono ResarchGate e Academia.Edu. Entrambi gratuiti, non consentono nemmeno ai loro utenti di prendere i propri dati e utilizzarli altrove.

Nella tabella 1 si evidenziano le differenze11.




Indubbiamente i social network sono molto popolari, ma spesso non rappresentano il luogo più idoneo a ospitare i risultati della ricerca accademica, se non in via complementare con archivi istituzionali, ufficialmente riconosciuti da governi, istituzioni, editori, finanziatori per il deposito delle ricerche pubblicate. Diffondere le pubblicazioni sui social network aumenta esponenzialmente il rischio di violazioni dei diritti d’autore. Questo perché tali piattaforme sono prive di meccanismi per verificare licenze, autorizzazioni e politiche di copyright degli editori. Non sono mancati in passato avvisi di rimozione di contenuti non autorizzati da parte di editori, azione, questa, indicativa della gravità e della diffusione del problema12. Gli archivi/repository istituzionali, invece, sono gestiti e coordinati da personale formato al loro controllo.

Altra questione rilevante è legata agli interessi commerciali che sovente sono legati all’uso delle pubblicazioni. Come già sopra indicato, i social network accademici sono vere e proprie piattaforme commerciali, non adatte a fare rispettare le disposizioni di tutti quegli editori che autorizzano il deposito dei lavori solo in archivi non a scopo di lucro: ResearchGate13 e aziende analoghe – che traggono profitto dai risultati della ricerca, vendendo dati, pubblicità o fornendo, in alcuni casi, servizi premium che possono essere interrotti, chiusi o modificati in ogni momento per preservare i profitti – non possono essere utilizzate per depositare indistintamente le versioni integrali delle pubblicazioni. I depositi istituzionali sono piattaforme senza scopo di lucro che promuovono l’accesso aperto alla ricerca nel rispetto delle leggi sul copyright e fungono da archivio permanente per raccogliere, conservare, misurare e diffondere la produzione intellettuale di un’istituzione. I risultati della ricerca depositati negli archivi istituzionali sono conservati e accessibili al pubblico in modo libero (sempre nel rispetto delle politiche di copyright di chi detiene i diritti d’autore dell’opera) e permanente.

Ma come già per i repository/archivi, anche per i preprint può non essere banale scegliere il server o la piattaforma giusta sui quali caricare il proprio manoscritto, tanto più in un contesto in continua evoluzione. Viste le critiche che spesso vengono rivolte a questa tipologia di pubblicazioni, molti server si sono dotati di una sorta di peer review interna prima di immettere il manoscritto nei loro portali.

Un modo per orientarsi esiste, ovvero la Directory of open access preprint repositories (Doapr)14. La piattaforma nasce nel 2022 e riunisce tutti i repository che raccolgono i preprint in un singolo database, consentendo agli utenti di scegliere la piattaforma più adatta alle loro esigenze e di avere una panoramica dell’ecosistema dei preprint. Attualmente sono elencati in Doapr oltre 90 piattaforme, consultabili in base a proprietà generali (nome, descrizione e status) e disciplina, insieme a informazioni su gestione e funzionalità, nonché rispetto ad alcuni aspetti della scienza aperta (per es., se risulta interoperabile, se espone condizioni di uso, se si basa su tecnologia open source, etc.). Informazioni molto utili sono inoltre quelle relative a quali formati si possono sottomettere ai vari portali, dopo quanto tempo sono visibili sul repository (in genere tra i 2 e i 5 giorni), se effettuano uno screening interno (specie sugli aspetti del plagiarism, etici o legali), per quanto tempo verranno conservati (in genere non vi è scadenza). Possiamo vederne degli esempi dalla piattaforma Doapr15.

Aspetti positivi e negativi dei preprint

Alla fine di questa panoramica sui preprint possiamo trarre alcune conclusioni sia sugli aspetti maggiormente positivi che su quelli negativi. Partiamo dagli aspetti positivi16:

pubblicazione online immediata sui repository/archivi disciplinari;

visibilità per i giovani ricercatori;

ampia e tempestiva diffusione dei risultati della ricerca;

possibilità per l’autore di ricevere un rapido feedback sul proprio lavoro (prima della pubblicazione tradizionale, e quindi di poter modificare la bozza prima dell’invio del lavoro all’editore);

paternità della ricerca;

acquisizione di un Doi, quindi il paper potrà essere sia citato nelle bibliografie sia recuperato dai database bibliografici e citazionali.

Per quanto riguarda gli aspetti negativi17:

non sono sottoposti a revisione paritaria (l’invio è sottoposto solo a un controllo minimo);

non tutti i formati sono accettati (per es., editoriali, recensioni di libri);

gli autori devono prestare molta attenzione a non compromettere il luogo in cui pubblicare il loro articolo pubblicando il preprint (un repository/archivio è differente da un social network);

una volta pubblicato su un server di preprint, un articolo generalmente non può essere ritirato.

In sintesi, possiamo dire che nel modello tradizionale di pubblicazione scientifica, il processo di revisione tra pari coinvolge un numero ristretto di revisori, il che limita la pluralità delle opinioni che possono contribuire alla valutazione di un articolo. Un altro aspetto critico riguarda la mancanza di trasparenza del processo di revisione: i lettori non hanno accesso ai dettagli delle revisioni e, in alcuni casi, un articolo potrebbe essere accettato nonostante una valutazione negativa. Tuttavia, tali informazioni rimangono inaccessibili, rendendo difficile per il pubblico comprendere come si è giunti alla pubblicazione di un lavoro. Inoltre, i tempi del processo sono notoriamente lenti. La revisione tra pari può richiedere mesi, e ciò ritarda la diffusione dei risultati scientifici, ostacolando il progresso in vari campi. Una possibile soluzione potrebbe derivare dall’Open peer review. L’Open peer review comprende diverse modalità di revisione che condividono un approccio orientato ai principi dell’Open Science: dalla semplice indicazione dei nominativi, alla pubblicazione delle revisioni insieme all’articolo, alla possibilità di commentare post-pubblicazione, e possono essere utilizzate singolarmente o in combinazione fra loro. L’obiettivo? Massimizzare la trasparenza del processo di revisione per incrementare la qualità e l’affidabilità delle revisioni, con potenziali ricadute positive sull’intero ecosistema editoriale18. Anche l’accesso agli articoli è un problema, in quanto molti lavori sono soggetti a pay per view, rendendo impossibile la lettura per chi non è disposto o non può permettersi di pagare. Questo limita la capacità di formarsi un’opinione completa sui temi trattati, poiché gli articoli non sono facilmente accessibili a tutti. Nonostante l’abbondanza di articoli pubblicati ogni anno, molti di questi non vengono mai letti o citati e in alcuni casi vengono anche ritrattati. Esiste la percezione diffusa che i risultati pubblicati siano automaticamente considerati validi, anche se spesso gli editori sono riluttanti a pubblicare studi di replica che dimostrino che alcuni risultati non sono così solidi come inizialmente ritenuto. Questo crea un problema di affidabilità, con la tendenza a privilegiare nuovi studi piuttosto che verificare la solidità dei risultati già pubblicati. Il sistema di valutazione della qualità della ricerca si basa in parte sul fattore di impatto delle riviste, un indicatore molto discusso, a scapito della qualità dell’articolo in sé e per sé19.

Al contrario, il modello dei preprint20 offre un accesso aperto a un vasto numero di ricercatori in tutto il mondo, permettendo loro di leggere, commentare e discutere i lavori scientifici. Questa trasparenza garantisce che chiunque possa fornire feedback, anche se non sempre rilevante, offrendo comunque la possibilità di una valutazione aperta. Tuttavia, la grande quantità di preprint pubblicati ogni anno può portare a un problema simile a quello del modello tradizionale: molti di questi lavori non vengono mai letti, contribuendo alla dispersione delle informazioni. Esiste una percezione comune secondo cui i preprint non abbiano un’adeguata validazione scientifica, poiché non sono sottoposti a revisione formale prima della loro pubblicazione. Di conseguenza, chiunque può scrivere e pubblicare un preprint, sollevando preoccupazioni sulla qualità e l’affidabilità di questi lavori. Inoltre, in molti Paesi i preprint non sono ufficialmente riconosciuti come parte del sistema di valutazione della ricerca, il che li rende meno rilevanti per coloro che necessitano di pubblicazioni formali per avanzare nella propria carriera accademica. Inoltre, essendo versioni preliminari di articoli scientifici che non sono ancora stati sottoposti a peer review formale, possono contenere errori o conclusioni non definitive, e proprio per questo motivo sono destinati principalmente a un pubblico di esperti o ricercatori della materia che hanno le competenze necessarie per valutare criticamente i dati, la metodologia e le affermazioni dell’articolo.

Tuttavia, l’accesso ai preprint è pubblico e chiunque può leggerli. Ciò che è importante è essere consapevoli che non sono stati verificati in modo approfondito e vanno quindi trattati con cautela, soprattutto se si è meno esperti del settore.

Conclusioni

Solo 10 anni fa la prestampa in molte discipline esisteva a malapena. Oggi, i preprint stanno diventando sempre più comuni, sono indicizzati dai principali database bibliografici e sono incoraggiati (o addirittura richiesti) da molti finanziatori. Sebbene la review della prestampa sia ancora agli inizi, lo slancio sta crescendo rapidamente e molti studiosi ritengono che i potenziali vantaggi siano già evidenti e che sia giunto il momento di promuovere la crescita di questa pratica, in modo che l’editoria accademica possa diventare più costruttiva, equa e trasparente21.

Il modello editoriale tradizionale ha subito cambiamenti significativi nel panorama dinamico della scienza moderna. La prestampa è emersa come uno strumento potente e trasformativo per i ricercatori per diffondere le loro scoperte alla comunità più ampia prima di completare il processo di revisione paritaria. I preprint non sostituiscono le riviste tradizionali sottoposte a revisione paritaria, ma ne sono un complemento, così come un uso attento dei social network. Molti ricercatori scelgono di prestampare il loro lavoro e in seguito di inviarlo alle riviste, godendo dei vantaggi sia della rapida diffusione sia della rigorosa revisione paritaria.

Conflitto di interessi: l’autrice dichiara l’assenza di conflitto di interessi.

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