Appunti di viaggio

C’è del disagio da subito, appena arrivo, codici bianchi e verdi che aspettano da troppo tempo e aspetteranno ancora perché bisogna vedere gli arancioni e i rossi praticamente subito, gli azzurri molto presto. Ma chi li vede? Tu naturalmente, non lo sapevi? Non si prepara una bella notte, ti si mischiano i colori come se avessi sbagliato a fare il bucato, ti viene un malore come Sinner (ma poi vedrai che ti riprendi e vinci proprio come lui).

Al triage c’è un uomo che ha ingerito una bustina di euclorina invece di fare il pediluvio, beh ma chissenefrega ti verrebbe da dire, potrebbe chiamare direttamente il Centro antiveleni e seguire le istruzioni, invece no dobbiamo registrarlo se no è una specie di omissione di soccorso. Va registrato chiunque si affacci al vetro del triage, ma magari quello sta solo cercando un bagno. Secondo il protocollo questo è un codice con una bella priorità, figura come “intossicazione”. E chi lo vede? Sempre tu, te ne eri dimenticato? Anche se ruba il posto inutilmente a quelli che aspettano da ore. I protocolli automatizzati assegnano priorità irrealistiche, tanto poi sono cazzi nostri.

Ci sono tanti maschi egiziani (è così, non si può fare a meno di constatarlo) che hanno un modo di manifestare qualsiasi malessere molto melodrammatico, sono la versione ancora più scenografica del maschio bianco italico con 37,2 °C di temperatura che si aggira moribondo nelle nostre case. Molti sono senza tessera sanitaria, non hanno altro modo per farsi visitare da un medico e vengono qui per un po’ di febbre, però mimano l’infarto miocardico, probabilmente sperano che ci caschiamo. Io credo pure che ogni volta siano davvero convinti di averlo e mi dispiaccio per loro.

C’è un ansioso italiano accompagnato dalla sua mamma nonostante abbia 38 anni che dice di non riuscire a stare in piedi e che vuole essere visitato subito, dice che si sente malissimo anche se non ha un parametro fuori posto e ha un ecg con tutte le onde a posto, dice che è stato trattato molto male e che fanno bene a menarci (ormai è diventata una litania). Non lo meni tu perché non è professionale ma ti segni il nome per il futuro, quando ti sarai licenziato.

Poi c’è la coppia di fratelli anziani che non sono più in grado di vivere da soli che stanno lì dalla mattina, tu fai il funambolo li visiti tutti e due insieme e li affidi ad un altro fratello più giovane promettendo di segnalarli ai servizi sociali domani mattina perché oggi è domenica. Non hai altre soluzioni da proporgli, sei un Pronto soccorso, fai quello che puoi, loro ti ringraziano lo stesso ed escono sorridendo, almeno questa giornata l’hanno passata in compagnia.

Il figlio corpulento di un paziente arrivato da poco ti si para davanti e dice che nessuno si è occupato di suo padre, come è possibile? Boh, probabilmente è che non abbiamo voglia di lavorare.

Un altro figlio con la barba sul mento come Lucifero ti fa la posta di fronte all’ambulatorio come se fosse uno della polizia politica che ti sta alle costole da tempo, sanno che sei un pericoloso comunista, dice che la gamba della mamma sta continuando a gonfiarsi nell’attesa e che è molto preoccupato. Tu immagini una gamba enorme che piano piano invade tutta la sala d’attesa schiacciando tutti i codici bianchi e verdi che aspettano, una specie di Blob che si espande all’interno del Pronto soccorso con tutti gli astanti che scappano urlando. Quando la visiti rimani un po’ deluso nel vedere che ha una lieve succulenza del dorso del piede e niente più. Peccato, la scena aveva un suo perché.

Voci che si accumulano in sala d’attesa e diventano una nube tossica che incombe, creando un clima irrespirabile. Ad un certo punto un omone con le mani come dei badili apre la porta mentre stai visitando un paziente sul lettino ed alza la voce minacciosa: com’è che nessuno gli dice niente del suo parente? Non si può lavorare così, anche lui lavora in ospedale e sa come vanno le cose, dirige una squadra di operai addetta alla manutenzione nelle sale operatorie, è del ramo ospedaliero insomma. Annamaria, che pesa 50 kg, lo butta fuori come fosse l’addetta alla sicurezza di una discoteca.

Alle 4 sei ancora lì a vedere l’ultimo codice bianco che non ha abbandonato, esausto come te, sta lì da ore, serafico, non ha niente ma credo che ormai ne faccia una questione di principio. I tuoi principi si scontrano con i suoi e lo dimetti con un codice bianco sporco.

Intanto i codici bianchi e verdi della mattina si sono già svegliati, hanno consultato l’app della Regione sul cellulare e hanno visto che adesso il Pronto soccorso è libero quindi vengono come se prenotassero una cena su the Fork. Dovremmo mettere un blocco, non siamo ancora aperti e poi i tavoli non bastano per tutti. Si fa luce e aspetti il cambio, forse di vita più che di turno, anche se sai che non lo farai mai, ormai è troppo tardi e non ne vale neanche più la pena, prosegui con il tuo tagliaerba* e tiri avanti.

Vittorio Fontana

Medico geriatra

* Riferimento al film “Una storia vera” (1999), di David Lynch (1946-2025).