Il ruolo attuale del trattamento con cellule CAR-T nella terapia dei linfomi: focus su linfoma diffuso a grandi cellule e linfoma mantellare

Alessandro Broccoli1,2, Pier Luigi Zinzani1,2

1Irccs Azienda ospedaliero-universitaria di Bologna, Policlinico Sant’Orsola-Malpighi, Istituto di Ematologia “L. e A. Seràgnoli”, Bologna; 2Dipartimento di Scienze mediche e chirurgiche, Università di Bologna.

Pervenuto il 20 marzo 2025. Accettato il 25 marzo 2025.

Riassunto. Lo scopo di questo lavoro è fornire le informazioni necessarie ad applicare adeguatamente nella reale pratica clinica ambulatoriale, di day hospital e di reparto, la terapia con cellule T a recettore chimerico (chimeric antigen receptor T-cells - CAR-T), con particolare focus sui pazienti con linfoma diffuso a grandi cellule e linfoma mantellare, che attualmente rappresentano il principale ambito di utilizzo del trattamento CAR-T anti-CD19. Vengono ripercorse le indicazioni attualmente approvate in entrambi i contesti e descritti i passaggi fondamentali da seguire nell’avvio a una terapia con cellule CAR-T, nonché riassunti i dati disponibili in letteratura in merito a ciascuna indicazione precedentemente presentata.

Parole chiave. CAR-T, CD19, linfoma diffuso a grandi cellule, linfoma mantellare.

The current role of CAR-T cell treatment in lymphoma therapy: focus on diffuse large cell lymphoma and mantle cell lymphoma.

Summary. The aim of this work is to provide the information needed to adequately apply chimeric antigen receptor T-cell (CAR-T) therapy in real clinical practice in outpatient, day hospital and ward settings, with a particular focus on patients with diffuse large cell lymphoma and mantle cell lymphoma, which currently represent the main area of use of anti-CD19 CAR-T treatment. The currently approved indications in both contexts are reviewed and the fundamental steps to follow in starting CAR-T cell therapy are described, as well as the data available in the literature regarding each previously presented indication.

Key words. CAR-T, CD19, diffuse large cell lymphoma, mantle cell lymphoma.

Premessa

Scopo di questo lavoro è portare al pubblico di specialisti Ematologi – nonché di cultori della materia – le informazioni necessarie ad applicare adeguatamente nella reale pratica clinica ambulatoriale, di day hospital e di reparto, la terapia con cellule T a recettore chimerico (chimeric antigen receptor T-cells - CAR-T). Ci siamo focalizzati, per essere il più chiari possibile, sui pazienti con linfoma diffuso a grandi cellule e linfoma mantellare, che attualmente rappresentano il principale ambito di utilizzo del trattamento CAR-T anti-CD19. Per fare questo, abbiamo ritenuto utile in primo luogo ripercorrere le indicazioni attualmente approvate in entrambi questi contesti, passando poi in rassegna i passaggi fondamentali da mettere in atto ogni qualvolta si reputi indicato procedere verso una terapia con cellule CAR-T (dall’individuazione e selezione del paziente fino alla gestione delle complicanze post-trattamento e del follow-up). Successivamente, abbiamo preparato alcuni paragrafi che riassumono i dati disponibili in letteratura in merito a ciascuna indicazione precedentemente presentata.

Il documento ha un taglio decisamente pratico e contiene alcuni schemi e tabelle che possono essere utili nell’attività dei Colleghi che si trovano a gestire questa tipologia di pazienti e a fronteggiare le problematiche che la terapia con CAR-T può sollevare. Inoltre, il lavoro rappresenta l’accompagnamento e l’ideale ampliamento, in termini informativi e di revisione della letteratura esistente, dei casi clinici pubblicati sui primi tre numeri del 2025 di Recenti Progressi in Medicina: casi clinici significativi in quanto incentrati sulla gestione delle principali situazioni cliniche e logistiche che caratterizzano la messa in atto del programma di cura con cellule CAR-T e specificamente focalizzati sull’applicazione nel linfoma diffuso a grandi cellule sia in terza linea (e oltre)1-4 sia in seconda linea5-7, nonché nel linfoma mantellare8-10.

Introduzione alla terapia con cellule CAR-T

Le cellule CAR-T sono un prodotto di terapia cellulare costituito dai linfociti T di un paziente donatore geneticamente modificati attraverso una transfezione virale in modo da esprimere un recettore di membrana in grado di riconoscere un antigene in forma nativa, in altri termini non presentato in associazione a una molecola del complesso maggiore di istocompatibilità11. Il recettore chimerico risulta costituito:

da un dominio extracellulare che riconosce l’antigene, formato dalla regione variabile della catena pesante e leggera delle immunoglobuline tra loro fuse attraverso un peptide spaziatore;

da una porzione intracellulare composta dalla catena CD3ζ del recettore T-cellulare (TCR), che permette l’attivazione del linfocito T in maniera indipendente dalla stimolazione del TCR;

da un dominio di costimolazione, 4-1BB o CD28, posto in tandem rispetto alla porzione intracellulare (nei CAR-T di seconda generazione), necessario alla proliferazione cellulare e al mantenimento di un’adeguata emivita del costrutto12.

Sulla base di questo principio, i linfociti T divengono in grado di esercitare un’azione immunologica – prevalentemente di tipo citotossico attraverso la secrezione di citochine e chemochine – nei confronti di cellule a data specificità antigenica: nel caso delle malattie linfoproliferative, l’antigene individuato fin dall’inizio e maggiormente utilizzato è il CD19, marcatore specificamente espresso nella leucemia B-linfoblastica e nei linfomi non Hodgkin di derivazione B-linfocitaria13.

I primi prodotti CAR-T anti-CD19 approvati, axicabtagene ciloleucel (axi-cel), tisagenlecleucel (tisa-cel), lisocabtagene maraleucel (liso-cel) e brexucabtagene autoleucel (brexu-cel), pur risultando affini in termini di azione sul bersaglio antigenico, presentano differenze sia in termini di dominio costimolatorio (CD28 per axi-cel e brexu-cel, 4-1BB per tisa-cel e liso-cel), sia relativamente al meccanismo di transfezione virale necessario per l’espressione transgenica a lungo termine del gene per il recettore chimerico: in particolare, il vettore è un γ-retrovirus nel caso di axi-cel e brexu-cel e un lentivirus sia per tisa-cel sia per liso-cel14. Il processo di produzione di brexu-cel, inoltre, prevede l’eliminazione delle cellule linfoidi neoplastiche CD19+ dalla raccolta aferetica, in questo modo prevenendo l’attivazione e l’esaurimento ex vivo del prodotto anti-CD19.

Allo stato dell’arte, i prodotti CAR-T impiegati nella terapia dei linfomi costituiscono un’opzione di trattamento innovativa – con la potenzialità di indurre risposte complete e durature nel tempo – nei confronti di quei pazienti per i quali un trattamento di salvataggio risulta difficilmente perseguibile o si presuppone possa essere largamente infruttuoso:

nell’ambito dei pazienti con linfoma a grandi cellule, l’indicazione è rappresentata dalla malattia refrattaria all’induzione o in ricaduta precoce (entro i primi 12 mesi dall’ottenimento dell’iniziale remissione completa), contesto in cui una chemio­terapia di salvataggio può risultare scarsamente efficace in ragione di una documentabile chemiorefrattarietà della malattia;

sempre nel contesto dei linfomi a grandi cellule, la terapia con cellule CAR-T risulta indicata in terza linea, per esempio dopo il fallimento di una procedura di autotrapianto, quest’ultima eseguita a fronte di una ricaduta della malattia dopo il primo anno dall’avvenuta documentata remissione completa post-induzione, potendo in tal senso garantire remissioni complete di lunga durata in assenza di alternative terapeutiche dotate di un’analoga potenzialità;

nei pazienti con linfoma mantellare refrattario o in recidiva, dopo due o più linee di terapia sistemica che includano un inibitore della tirosina chinasi di Bruton (BTK), le cellule CAR-T permettono di recuperare il controllo della malattia che viene rapidamente a perdersi all’atto del fallimento di questi agenti terapeutici, sia in termini di taglia di malattia, sia sul piano strettamente sintomatologico.

Nei paragrafi che seguono verranno approfonditi i risultati della terapia con cellule CAR-T nell’ambito dei linfomi a grandi cellule e del linfoma mantellare, esaminando – per i primi – sia il contesto della seconda linea, sia la terza linea di trattamento. Prima di tale disamina, tuttavia, è utile soffermarsi sugli aspetti logistici inerenti alla terapia con prodotti cellulari di questo tipo e sulle specifiche tipologie di eventi avversi che tali trattamenti comportano.

I passaggi fondamentali della gestione del paziente che riceve le cellule CAR-T

Dalla selezione del paziente candidabile alla gestione della fase pre-reinfusione

L’individuazione di un paziente candidabile alla terapia CAR-T inizia considerando le caratteristiche della malattia ematologica fin dall’esordio, in particolar modo esaminandone il comportamento durante la terapia di prima linea (massimamente nel caso dei linfomi a grandi cellule) e le linee immediatamente successive. L’adeguata selezione del paziente deve tenere conto, senza dubbio, delle comorbilità in atto, specificamente sul piano cardiovascolare, respiratorio, epato-renale e infettivologico, nonché del performance status e dei potenziali fattori di rischio che possano correlare con un peggiore risultato al termine del percorso (carico di malattia e stato della stessa al trattamento, contesto iperinfiammatorio di accompagnamento).

Per quanto riguarda i pazienti affetti da linfoma a grandi cellule candidabili a un approccio CAR-T di seconda linea, il discorso deve essere ulteriormente approfondito. In particolare, è necessario prestare attenzione fin dall’inizio del trattamento di prima linea a eventuali segni e sintomi indicativi di non risposta o di progressione precoce, in modo da cogliere appieno il beneficio che la terapia CAR-T è in grado di apportare ai pazienti refrattari o che mostrano una ricaduta entro 12 mesi dall’ottenimento di un’iniziale risposta completa. Per questo motivo, è raccomandabile prendere sempre in considerazione una valutazione precoce della risposta in corso di terapia di prima linea, specificamente effettuando un adeguato studio per immagini entro il completamento della prima metà del trattamento (cosiddetta “valutazione interim”), meglio in assoluto impiegando la tomografia per emittenti di positroni (PET). Analogamente, è essenziale portare a termine un’accurata ristadiazione post-terapia, sempre comprensiva di uno studio PET, a una tempistica non superiore a 30 giorni dall’ultimo ciclo di trattamento antiblastico: a questo punto, il paziente che ottiene la risposta completa metabolica sarà avviato ai controlli longitudinali di follow-up, mentre il paziente che non raggiunge una risposta completa metabolica dovrà necessariamente essere immediatamente indirizzato – stanti i criteri di candidabilità – verso un trattamento con cellule CAR-T.

Fa parte infine di questa fase l’ottimizzazione dei tempi di trattamento e la messa in atto di un necessario e adeguato confronto tra i centri ematologici a cui afferisce il paziente. La coordinazione tra il centro a cui inizialmente afferisce il paziente (centro referral) e il centro hub in cui verrà effettivamente portato avanti il resto del programma permette infatti di fronteggiare le problematiche cliniche che possono venire a galla nel periodo che intercorre tra la linfocitoaferesi e l’inizio della terapia linfodepletante pre-infusione (stimabile nell’ordine di grandezza di alcune settimane), considerato che nella maggior parte dei casi ci si trova a fronteggiare malattie aggressive, in rapida espansione, clinicamente sintomatiche e talora difficili da controllare15. È a questo punto che possono (e spesso devono!) trovare spazio i trattamenti di contenimento della malattia, in attesa della reinfusione, comunemente definiti “terapie ponte” o bridging therapies. Tali trattamenti non si configurano mai come tentativi di reinduzione di una risposta, bensì come modalità necessarie ad alleviare i sintomi dettati da una malattia in rapido accrescimento, nel contempo cercando di mantenere validi i criteri che hanno determinato la candidabilità del paziente all’approccio CAR-T. Allo stato attuale non è univocamente determinato quale sia il migliore trattamento “ponte” (potendo di fatto spaziare tra chemioterapici non fortemente mielotossici, anticorpi monoclonali, radioterapia): sta di fatto, tuttavia, che la necessità di far ricorso a una terapia di questo tipo si associa a esiti in generale più sfavorevoli16,17.

Gestione degli eventi avversi post-reinfusione

La sindrome da rilascio di citochine (cytokine release syndrome - CRS) e la neurotossicità (immune effector cell-associated neurotoxicity syndrome - ICANS) sono le due principali manifestazioni cliniche secondarie all’infusione del prodotto CAR-T e all’espansione delle cellule in vivo. La CRS è una condizione iperinfiammatoria sostenuta dalla liberazione di numerose citochine (tra cui prevale l’interleuchina-6, IL-6) che si manifesta invariabilmente con un rialzo febbrile, a cui possono associarsi sintomi aspecifici di tipo simil-influenzale, nonché manifestazioni più spiccatamente riferibili a danno d’organo: insufficienza respiratoria ed emodinamica, con desaturazione e ipotensione, rispettivamente (aspetti che permettono la gradazione di severità della CRS stessa e dettano la conseguente gestione del paziente) (tabella 1), talora in associazione a insufficienza renale, danno epatico acuto o colestasi, ristagno di liquidi in terzo spazio, coagulopatia18.




L’utilizzo dell’anticorpo monoclonale anti-recettore dell’IL-6, tocilizumab, risulta indispensabile nel controllo delle manifestazioni cliniche più severe, a partire dal grado 2, ma anche nei casi di CRS di grado 1 persistente (tabella 2).




L’ICANS è una condizione che si sviluppa a distanza di qualche giorno dalla CRS (talora in presenza di una CRS non ancora risolta), manifestandosi con una sintomatologia neurologica che spazia da tremore, cefalea, mioclonie o allucinazioni (segni di allarme, non chiaramente indicativi di ICANS) ad alterazioni dello stato di vigilanza (fino allo stupor o al coma), crisi epilettiche, ipostenia severa (fino all’emiparesi o paraparesi), edema cerebrale e ipertensione endocranica. La gestione dell’ICANS è basata sul suo adeguato riconoscimento e sull’utilizzo precoce dei corticosteroidi (tabelle 3 e 4)19.







La citopenia, spesso prolungata, è una delle conseguenze principali al trattamento con cellule CAR-T, potendosi sviluppare sia nel breve sia nel lungo termine. Essa si associa fortemente all’aumentato rischio infettivo e alla morbilità in genere. L’esperienza maturata sul campo ha permesso di mettere in evidenza parametri utili alla profilazione del rischio di citopenia formalizzando in maniera specifica un punteggio di rischio dedicato, il modello CAR-HEMATOTOX: tale modello si basa sui parametri ematologici determinati al momento della terapia linfodepletante (concentrazione emoglobinica, conta piastrinica, conta assoluta dei neutrofili) in associazione a due parametri descrittivi dello stato di infiammazione, proteina C-reattiva e ferritina. Punteggi più elevati correlano con una maggiore durata della neutropenia e una più alta incidenza di anemia e trombocitopenia severe20.

Sono attualmente disponibili alcuni documenti che mettono in luce le strategie di profilassi antinfettiva nei pazienti candidabili a CAR-T, con particolare riguardo al rischio infettivo post-reinfusione correlabile alla neutropenia e all’ipogammaglobulinemia21-23.

La fase post-induzione a breve e medio termine: ristadiazione di malattia e follow-up attivo

In merito ai pazienti che entrano in follow-up post-induzione, una volta ottenuta una risposta completa metabolica PET documentata, giova ricordare che è di fondamentale importanza prestare particolare attenzione a tutti gli elementi orientativi verso una precoce ripresa di malattia. A tale scopo, è necessario integrare l’imprescindibile valutazione anamnestica e clinico-laboratoristica con un’affidabile metodica di diagnostica per immagini, in modo da individuare tempestivamente quei pazienti che – manifestando una ripresa di malattia entro 12 mesi dall’ottenimento della risposta completa – possano maggiormente beneficiare della terapia CAR-T di seconda linea (­figura 1).




Il trattamento con CAR-T in terza linea nei pazienti con linfoma a grandi cellule

La messa in campo del trattamento con CAR-T nei pazienti con linfoma a grandi cellule plurirecidivati o refrattari ha rappresentato il primo tentativo di intervento in un contesto di malattia gravato da prognosi severa e scarse possibilità di intervento.

Circa il 40% dei pazienti trattati in prima linea con chemioimmunoterapia mostra una ricaduta di malattia entro i primi due anni dall’ottenimento della prima risposta completa. Storicamente, i pazienti che hanno dimostrato refrattarietà alla prima linea, che sono ricaduti entro 12 mesi da un trapianto autologo eseguito in seconda linea come terapia di salvataggio, nonché coloro che non hanno ottenuto alcuna risposta a una seconda o successiva linea terapeutica, sono risultati gravati da una sopravvivenza a due anni dell’ordine del 20% e una mediana di sopravvivenza globale non superiore a 6 mesi24. In tal senso, la comparsa di chemio-refrattarietà – definibile come l’incapacità a ottenere un controllo della malattia con trattamenti antiblastici, anche ad alte dosi, successivi alla prima linea, o immediatamente conclusa la stessa prima linea – ha da sempre rappresentato un importante problema da risolvere, concretizzatosi nella ricerca di approcci di trattamento innovativi e chemo-free. Per contro, i pazienti la cui ricaduta di malattia si attesta oltre i due anni dal termine dell’induzione hanno da sempre dimostrato una prognosi più favorevole, una maggiore chemio-sensibilità ad approcci antiblastici (specificamente il trapianto autologo dopo chemioterapia di salvataggio) e, in ultima analisi, una probabile differente biologia della malattia se messi a confronto con i pazienti gravati da chemio-refrattarietà25.

L’approvazione del trattamento con cellule CAR-T in terza linea (e oltre) si è basata sui risultati di tre studi di fase 2, coinvolgenti i tre costrutti di cui si è parlato sopra, tutti disegnati con l’obiettivo di incidere favorevolmente sulla cattiva prognosi caratterizzante i pazienti con linfoma a grandi cellule pluritrattati in quanto plurirecidivanti. Gli studi in questione, denominati ZUMA-1, JULIET e TRANSCEND-001 per quanto riguarda axi-cel, tisa-cel e liso-cel, rispettivamente, hanno infatti arruolato pazienti sottoposti ad almeno due linee di trattamento nella sostanziale totalità dei casi (3 e oltre in circa la metà dei casi) e che avevano dimostrato una refrattarietà alla chemioterapia somministrata in precedenza tra il 26% e il 67% dei casi26-28. I risultati di tali studi sono stati recentemente aggiornati a follow-up di maggiore durata, come indicato nella tabella 529-31, mettendo in evidenza tassi di risposta completa particolarmente favorevoli per axi-cel e liso-cel, superiori al 50% in entrambi i contesti, con una durata di risposta completa tale da superare i 60 mesi nei pazienti trattati con axi-cel, a fronte di un follow-up (il più lungo finora registrato tra i tre prodotti) di almeno 63 mesi29.




D’altro canto, è emerso chiaramente il migliore profilo di sicurezza di liso-cel, considerata l’incidenza di CRS di grado 3 o superiore in solo il 2% dei pazienti (un quinto e un decimo, rispettivamente, se confrontato con axi-cel e tisa-cel) e di ICANS di grado 3 o superiore nel 10% dei casi (un terzo rispetto ad axi-cel e sovrapponibile rispetto a tisa-cel)31.

I risultati degli studi registrativi sono stati in larga parte replicati in contesti di pratica clinica quotidiana, peraltro considerando anche pazienti privi dei criteri di inclusione che ne avrebbero permesso l’arruolamento negli studi di fase 2 citati più sopra32-39. Proprio sulla base di quest’osservazione, è possibile concludere che l’identificazione del paziente che può efficacemente e con sicurezza accedere alla terapia CAR-T difficilmente si basa unicamente e in maniera assoluta sulla presa in considerazione delle sole età e comorbilità: la decisione al trattamento, in altre parole, deve essere presa e motivata caso per caso, a fronte del potenziale rapporto rischio/beneficio da stimarsi di volta in volta.

Infine, gli stessi studi retrospettivi basati sull’impiego dei prodotti a uso commerciale – pur in assenza di un rigoroso confronto testa a testa dei costrutti impiegati – hanno messo in luce la migliore efficacia di axi-cel nei confronti di tisa-cel (mentre ancora è limitata l’esperienza real life con liso-cel)40,41, sia in termini di tasso di risposte complete, sia di sopravvivenza libera da progressione e di sopravvivenza globale. Per quanto riguarda i tassi d’incidenza di eventi avversi di maggiore severità (CRS e ICANS di grado 3-4), inclusa la mortalità non dovuta a progressione di malattia, le differenze tra axi-cel e tisa-cel non sono risultate statisticamente significative per un costrutto a favore dell’altro in una recente analisi italiana di pratica clinica42, risultando peraltro comparabili anche con quanto riportato recentemente per liso-cel43.

Il trattamento con CAR-T in seconda linea nei pazienti con linfoma a grandi cellule

L’approccio al paziente con linfoma a grandi cellule refrattario alla prima linea o in ricaduta – anche precoce – dopo l’ottenimento di una prima risposta completa, è da sempre consistito nella messa in atto di una strategia di salvataggio di tipo chemioterapico, finalizzata a ottenere la remissione completa e a favorire la mobilizzazione delle cellule staminali nel sangue periferico, seguita da un trattamento di condizionamento a dosi sovramassimali con l’immediata infusione delle cellule staminali emopoietiche autologhe precedentemente raccolte44,45. Il razionale alla base di tale atteggiamento consiste nell’ipotizzare che l’utilizzo di regimi di condizionamento ad alte dosi (con potenziale mieloablativo) possa aggirare la chemiorefrattarietà denunciata dal mancato ottenimento di una risposta completa (o da una risposta completa di durata troppo breve) con la terapia di induzione. Tuttavia, tale strategia risulta funzionale solo in una percentuale di casi particolarmente contenuta rispetto al totale dei pazienti che ricadono precocemente dopo la prima linea o risultano refrattari a essa, almeno per i seguenti tre motivi:

1. in almeno la metà dei casi, i pazienti refrattari alla prima linea o ricaduti precocemente dopo di essa risultano non candidabili a una terapia mieloablativa per via dell’età o delle comorbilità;

2. non è facile ottenere la risposta completa dopo la chemioterapia di salvataggio con regimi contenenti ifosfamide o platino, specificamente se il paziente è risultato refrattario: vale a dire, spesso il requisito essenziale per effettuare la procedura trapiantologica non può essere raggiunto46,47;

3. sul totale dei pazienti effettivamente sottoposti a trapianto autologo, approssimativamente soltanto il 50% circa riesce a mantenere nel tempo una risposta completa duratura, potendo in tal senso aspirare a una completa guarigione.

Alla luce dei risultati degli studi di fase 2 in pazienti con linfoma diffuso a grandi cellule trattati in terza linea (e oltre), è stato ipotizzato che un trattamento con CAR-T configurato come seconda linea del paziente refrattario o ricaduto precocemente potesse portare a risultati migliori rispetto al trapianto autologo, quest’ultimo considerato – per quanto sopra detto – lo standard di riferimento. Per questo motivo, sono stati condotti tre studi clinici di fase 3, di disegno simile, in cui pazienti refrattari all’induzione o ricaduti entro i primi 12 mesi dalla prima risposta completa venivano randomizzati a ricevere una chemioterapia di salvataggio seguita da un regime di condizionamento e dalla reinfusione delle cellule staminali emopoietiche autologhe (braccio di controllo) o all’infusione di cellule CAR-T autologhe (braccio sperimentale)48-51. Axi-cel è stato valutato nello studio ZUMA-7, tisa-cel nello studio BELINDA e liso-cel nello studio TRANSFORM. Nella tabella 6 sono riportate le caratteristiche principali dei pazienti arruolati e i risultati in termini di risposta, sopravvivenza e tossicità.




In tutti gli studi, l’endpoint primario era la sopravvivenza libera da eventi (event-free survival - EFS), definita come l’intervallo di tempo intercorrente tra la randomizzazione e la progressione di malattia, la morte, l’ottenimento di una risposta inferiore alla risposta parziale (a una rivalutazione di malattia a 150 giorni per lo studio ZUMA-7, 12 settimane per lo studio BELINDA e 9 settimane per lo studio TRANSFORM) o l’inizio di una nuova terapia anti-linfoma (solo per gli studi ZUMA-7 e TRANSFORM).

Gli studi ZUMA-7 e TRANSFORM hanno dimostrato la superiorità dell’approccio CAR-T rispetto alla chemioimmunoterapia di salvataggio e al trapianto autologo nei pazienti refrattari all’induzione o ricaduti entro l’anno, mentre lo studio BELINDA ha messo in luce la sostanziale sovrapponibilità dei due approcci. Tali differenze in termini di outcome non sono facilmente spiegabili, tuttavia potrebbero essere ricondotte sia alla definizione dell’endpoint primario (come sopra indicato, lo studio BELINDA ha previsto una rivalutazione dello stato di malattia più precoce rispetto allo studio ZUMA-7), sia al fatto che nello studio ZUMA-7 non fosse possibile eseguire una chemioterapia “ponte” strutturata (precludendo, in altri termini, l’arruolamento in questo studio di pazienti con malattia dotata di una cinetica più aggressiva e con taglia in più rapido incremento), sia infine al più lungo intervallo tra la randomizzazione e la reinfusione delle cellule CAR-T (52 giorni nello studio BELINDA, 29 giorni nello studio ZUMA-7). È importante notare, infine, che in tutti gli studi potevano essere avviati al trapianto autologo tutti i pazienti che avessero ottenuto una risposta, anche parziale, alla terapia di salvataggio (e non solo quelli in risposta completa metabolica).

Axi-cel e liso-cel hanno dimostrato un impatto migliorativo della prognosi sia sul piano della sopravvivenza libera da progressione sia della sopravvivenza globale. Nel caso di axi-cel, il beneficio sulla sopravvivenza globale raggiunge una significatività statistica e viene confermato a un follow-up mediano che ormai si approssima ai 4 anni49. Tali risultati si sono tradotti in un cambio del paradigma di trattamento in seconda linea del linfoma diffuso a grandi cellule: il trapianto autologo rimane a tutt’oggi confinato al paziente che ricade dopo almeno 12 mesi dall’ottenimento della prima risposta completa metabolica, in un contesto di malattia che – almeno dal punto di vista teorico – può ancora giovarsi dell’utilizzo di un salvataggio basato su farmaci antiblastici standard.

La terapia con cellule CAR-T nel linfoma mantellare

Il trattamento del linfoma mantellare, profondamente modificatosi nel corso degli ultimi vent’anni, essenzialmente si basa su una chemioimmunoterapia di induzione, cui può fare seguito (a seconda delle condizioni di rimborsabilità previste nel Paese in cui il paziente è in cura) un periodo di mantenimento con rituximab della durata di 3 anni52. Il paradigma di trattamento del paziente giovane, basato sull’induzione con un regime contenente citarabina e sul successivo trapianto autologo di consolidamento53, è stato recentemente messo in discussione dallo studio TRIANGLE, in cui l’introduzione di ibrutinib – il capostipite degli inibitori covalenti di BTK – fin dalla prima linea in associazione alla chemioimmunoterapia, comprendendo un periodo di mantenimento di 2 anni, può permettere di ovviare all’esecuzione del trapianto autologo54. Analogamente, sono state portate avanti esperienze di trattamento di pazienti più anziani, considerati non candidabili a una procedura di trapianto autologo, in cui un inibitore di BTK covalente è stato associato alla chemioimmunoterapia (privilegiando lo schema di trattamento con rituximab e bendamustina), con risultati di rilievo sul piano della sopravvivenza libera da progressione55,56.

Al di là di quanto suggerito dallo studio TRIANGLE in merito all’induzione, gli inibitori covalenti di BTK trovano spazio nel trattamento del linfoma mantellare in ricaduta dopo la prima linea, indipendentemente dall’aver o meno sottoposto il paziente a un trapianto autologo. Ibrutinib è il solo BTK inibitore covalente approvato in Italia per questa indicazione57, mentre gli inibitori covalenti di seconda generazione – acalabrutinib e zanubrutinib – hanno ottenuto l’approvazione da parte della Food and Drug Administration statunitense nello stesso contesto di terapia, ma non sono attualmente utilizzabili sul territorio nazionale58,59. Non è attualmente possibile stabilire quale sarà il loro impiego – e dunque come si modificherà la seconda linea di terapia – una volta che, recepiti i risultati dello studio TRIANGLE ed ECHO, ibrutinib e acalabrutinib, rispettivamente, entreranno in maniera definitiva a fare parte dell’armamentario terapeutico della prima linea.

In ogni caso, sebbene gli inibitori covalenti di BTK abbiano permesso di migliorare in modo radicale la prognosi del paziente con linfoma mantellare ricaduto/refrattario, è noto come la progressione di malattia in corso di trattamento con questi agenti si associ a una prognosi nettamente sfavorevole, caratterizzandosi per la rapida evoluzione del quadro sia in termini di aumento della taglia neoplastica, sia relativamente alla comparsa di citopenie periferiche, sia infine per quanto riguarda il decadimento delle condizioni cliniche del paziente60. Per questo motivo, è estremamente rilevante trovare agenti efficaci e rapidamente attivi che possano essere utilizzati nei casi di fallimento del trattamento con BTK inibitori covalenti, vale a dire non appena divengano evidenti i primi segni di risposta insoddisfacente o si verifichi la perdita di una risposta precedentemente acquisita.

Brexu-cel è stato il primo costrutto CAR-T approvato nel trattamento dei pazienti con linfoma mantellare in stato di recidiva o di refrattarietà dopo almeno due linee precedenti di trattamento e in ogni caso dopo il fallimento di un inibitore di BTK. Attualmente risulta l’unico prodotto disponibile sul territorio italiano per il trattamento del linfoma mantellare.

Nello studio di fase 2 ZUMA-2, brexu-cel è stato infuso in 68 pazienti sottoposti a una mediana di 3 precedenti trattamenti tra cui un inibitore covalente di BTK, rappresentato da ibrutinib nell’85% dei casi, da acalabrutinib nel 24% o da entrambi nel 9%. I pazienti in studio risultavano refrattari alla terapia con BTK inibitore nel 62% dei casi, mentre nel 26% mostravano una ricaduta dopo un’iniziale risposta. È importante notare come la popolazione in studio fosse arricchita di pazienti con caratteristiche clinico-biologiche sfavorevoli, come un rischio intermedio o alto sulla base del simplified mantle-cell lymphoma international prognostic index (56% dei pazienti), un’istologia pleomorfa-blastoide (31% dei casi), un indice di proliferazione valutato con Ki-67 pari o superiore al 30% (82%) o la presenza di mutazioni a carico di TP53 (17%)61. A 5 anni di follow-up, il tasso di risposta globale è risultato del 91%, con una risposta completa documentabile nel 68% dei pazienti sottoposti a trattamento, anche in presenza dei fattori di rischio sfavorevole più sopra ricordati62,63. Nei pazienti in risposta completa, la mediana di durata di risposta si è attestata a 46,7 mesi, con una sopravvivenza libera da progressione mediana di 48 mesi (25,3 mesi per l’intera popolazione in studio) e una sopravvivenza globale mediana non raggiunta (46,5 mesi se si considerano tutti i pazienti trattati). Dal punto di vista della tossicità, la quasi totalità dei pazienti (91%) è andata incontro a CRS, solo nel 15% dei casi di grado pari o superiore al terzo, con un’incidenza di eventi tossici sul piano neurologico del 63% (di cui il 31% di grado 3 o 4).

Sono disponibili i dati di liso-cel in un analogo contesto di cura, tratti da una sottoanalisi dello studio di fase 1 TRANSCEND NHL 00164: più precisamente, su 104 pazienti con linfoma mantellare sottoposti a linfocitoaferesi, 88 sono andati incontro a reinfusione, a una mediana di 39 giorni, dopo aver ricevuto in media 3 precedenti linee di terapia. Il tasso di risposta globale e di risposta completa sono risultati dell’87% e del 74%, rispettivamente, con una mediana di durata di risposta di 15,7 mesi e una mediana di sopravvivenza libera da progressione di 15,3 mesi, a fronte di un follow-up di circa 23 mesi. La sopravvivenza globale, per coloro che hanno ottenuto una risposta completa e per tutta la coorte di pazienti arruolati, è risultata di 36,3 e 18,2 mesi, rispettivamente. L’incidenza di CRS è stata contenuta, con solo 1 caso (< 1%) di grado 4. Limitatamente alla tossicità neurologica, sono stati riportati l’8% di eventi di grado 3 e l’1% di eventi di grado 4. Allo stato attuale questo prodotto non ha un’indicazione approvata in Europa per tale contesto di trattamento. La tabella 7 mostra la comparazione tra le popolazioni arruolate nei due studi e i risultati raggiunti.




Conclusioni

L’utilizzo della terapia con cellule CAR-T, ormai consolidato nel nostro Paese, come dimostrano le esperienze di reale pratica clinica da poco pubblicate su Recenti Progressi in Medicina1-10, ha portato all’apertura di nuovi orizzonti di trattamento in contesti di malattia considerati – storicamente e fino a poco tempo fa – di difficile gestione. In particolare, questo tipo di approccio ha determinato un vero e proprio cambio di paradigma terapeutico per quanto riguarda il paziente con linfoma diffuso a grandi cellule refrattario alla prima linea o ricaduto entro l’anno, in quanto fornisce un’alternativa più efficace rispetto al trapianto autologo convenzionalmente utilizzato5-7. Inoltre, ha permesso di ottenere risultati duraturi nei pazienti con linfoma diffuso a grandi cellule pluritrattato, ove storicamente la prognosi risultava estremamente sfavorevole1-4, e ha offerto la possibilità di trattamento nei casi di linfoma mantellare che hanno perso la risposta agli inibitori covalenti di BTK8-10.

D’altro canto, l’innovazione terapeutica ha aperto la porta a tutta una serie di aspetti logistico-organizzativi e gestionali (sia pre- sia post-reinfusione), che vanno dall’adeguata selezione del paziente5, al dialogo tra centri referral e centri hub finalizzato all’ottimizzazione delle tempistiche di ciascuna fase4,10, alla selezione del più adeguato percorso di bridging therapy3,8, alla ristadiazione approfondita post-trattamento1,6,7, alla gestione delle tossicità e delle citopenie2,9, fino alla messa in atto di un efficace percorso di follow-up5.

Conflitto di interessi: gli autori hanno percepito diritti d’autore da Il Pensiero Scientifico Editore – soggetto portatore di interessi commerciali in ambito medico scientifico.

Acknowledgements: l’open access del documento è stato reso possibile grazie al contributo non condizionante di Gilead.

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