Validità dell’alfa-fetoproteina nella diagnosi di carcinoma epatocellulare

Il carcinoma epatocellulare (CEC) è la terza causa più frequente di morte per tumore e la sua incidenza nella popolazione generale è in continuo aumento. Epatite virale C e cirrosi rappresentano i più importanti fattori di rischio di CEC e pertanto nei pazienti con queste malattie è raccomandata una prolungata sorveglianza (Bruix J, Sherman M. Management of hepatocellular carcinoma. Hepatology 2005; 42: 1208).
Nella sorveglianza del CEC è universalmente consigliata la misura dell’alfa-fetoproteina (AFP); tuttavia i più recenti studi hanno indicato che l’uso di questo marcatore presenta alcuni limiti (Colli A, Fraquelli M, Conte D. Alpha-fetoprotein and hepatocellular carcinoma. Am J Gastroenterol 2006; 101: 1939). Queste incertezze nella convalida dell’esame consistono nella variabilità dei disegni dei diversi studi, delle caratteristiche cliniche dei pazienti e del loro numero, nell’inclusione di soggetti con eterogenei fattori di rischio e con frequente assenza di confronto con i risultati di tecniche per immagine. Al proposito va ricordato che recenti linee guida hanno consigliato l’ecografia epatica come indagine principale per la sorveglianza dei pazienti con cirrosi (Bruix et al. loc cit); ma anche in questo caso sono stati manifestati alcuni dubbi, ritenendo che i risultati possano essere influenzati dall’estensione della lesione, dalla frequenza degli esami, dalle modalità tecniche di esecuzione e dalla variabilità dell’interpretazione.
In un recente studio clinico sono state studiate la des-γ-carbossi-protrombina (DCP) e l’alfa fetoproteina legata alla lectina (AFP-L3%) allo scopo di determinarne la sensibilità e la specificità nella diagnosi di CEC iniziale, di stabilire se questi marcatori possano essere usati come complemento all’AFP e di valutare il ruolo di fattori demografici o dell’etiologia di concomitanti epatopatie nel modificarne l’espressione nei pazienti con CEC (Marrero JA, Feng Z, Wang Y, et al. α-Fetoprotein, des-γ-carboxy-prothrombin and lectin-bound α-fetoprotein in early hepatocellular carcinoma (Gastroenterology 2009; 137: 110).



Gli autori hanno adottato la definizione di CEC in base all’esame istologico o alle caratteristiche del quadro per immagine secondo i criteri consigliati dal sistema di stadiazione BCLC (Barcelona Clinic Liver Cancer) (Bruix J, Sherman M, Llovet JM, et al. Clinical management of hepatocellular carcinoma. Conclusions of the Barcelona 2000 EASL conference. European Association for the Study of the Liver. J Hepatol 2001; 35: 421). Questa stadiazione è effettuata in base all’unicità o pluralità delle lesioni, alla dimensione delle lesioni e alla presenza o meno di trombosi portale e di metastasi extraepatiche (Bruix et al., loc cit). Sono stati studiati 836 pazienti dei quali 417 cirrotici per controllo e 419 con CEC, dei quali 208 allo stadio iniziale. È stato osservato che la misura di AFP ha mostrato una sensibilità del 66% e una specificità dell’81%, considerando valore limite 10,9 ng/mL. A questo valore limite l’AFP ha mostrato il migliore rendimento, rispetto ad altri marcatori, nel caso di CEC allo stadio zero del sistema BCLC, la cui tempestiva identificazione costituisce lo scopo principale dei programmi di sorveglianza.
Per quanto riguarda la DCP, gli autori riferiscono che, a confronto con l’AFP, ha mostrato un rendimento influenzato in maniera significativa dall’etiologia dell’epatopatia per la diagnosi allo stadio iniziale, essendosi dimostrata valida nelle forme di CEC di origine virale. È stato inoltre rilevato che, per la diagnosi di CEC allo stadio iniziale, la misura dell’AFP-L3% non è utile e quindi non consigliabile, perché rende necessaria un elevato livello di AFP e ciò limita la sua validità. È stato anche osservato che nei CEC non di origine virale l’associazione delle misure di AFP e DCP non è più utile della misura di uno solo di questi marcatori. Gli autori riconoscono che, sebbene sensibilità e specificità dell’AFP siano “ragionevolmente” alte, tuttavia non possono essere considerate ottimali per la sorveglianza di CEC, escludendo poco meno del 20% dei pazienti per i quali si dovrebbe ricorrere alla risonanza magnetica nucleare o ad altre tecniche per immagine al fine di escludere un CEC.
Concludendo, gli autori ritengono che, al momento attuale, l’AFP possa considerarsi il più valido biomarcatore sierico per la diagnosi di CEC allo stadio iniziale, qualora si consideri il valore limite di 10,9 ng/mL, mentre la DCP presenta una maggiore utilità nelle forme di etiologia virale. Tuttavia avvertono che i risultati da loro ottenuti non sono “ottimali” per la sorveglianza del CEC e che sono necessari ulteriori studi clinici controllati.

Nel commentare questi risultati, Forner et al (Forner A, Reig M, Bruix J. α-Fetoprotein for hepatocellular carcinoma diagnosis: the demise of a brilliant star. Gastroenterology 2009; 137: 27) osservano che, nonostante la conferma della sensibilità della misura dell’AFP nella diagnosi di CEC, è stato segnalato un aumento di false positività e ricordano che, in assenza di un CEC, un aumento di AFP può essere dovuto a fenomeni di replica di virus dell’epatite B e dell’epatite C, oppure anche alla presenza di altri tumori maligni. A questo riguardo sono citate le osservazioni di sensibilità di AFP non superiore al 60% (cioè 40% di falsi negativi!), anche considerando un più alto valore limite (20 ng/mL) ( Trevisani F, D’Intino PE, Morselli-Labate AM, et al. Serum alpha-fetoprotein for diagnosis of hepatocellular carcinoma in patients with chronic liver disease: influence of HBsAg and anti-HCV status J Hepatol 2001; 34: 570).
Gli autori si domandano se, al momento attuale, si debba considerare la misura dell’AFP un mezzo utile per la sorveglianza del CEC, da sola o in associazione con altri marcatori, e rispondono negativamente. Si sottolinea al riguardo che se la sensibilità dell’AFP è chiaramente sub-ottimale e se vi è correlazione tra livello di AFP e stadio del CEC, è prevedibile che la sensibilità dell’AFP sarà ancora minore, così da sconsigliarne l’uso.
Secondo gli autori, lo studio di Marrero et al (loc cit) conferma che l’AFP ha perduto la sua utilità nello screening del CEC a causa soprattutto del limitato valore come sensibilità e specificità e che, “in mani appropriate”, le tecniche per immagini  offrono una migliore accuratezza. Concludendo, ritengono che siano inutili ulteriori studi nel tentativo di “risuscitare un mezzo di diagnosi che già da tempo ha ricevuto un necrologio” (Sherman M. Alphafetoprotein: an obituary. J Hepatol 2001; 34: 603).

Marrero et al (Marrero JA, Feng Z. Alpha-fetoprotein in early hepatocellular carcinoma. Gastroenterology 2010; 138: 400) rispondono al commento di Forner et al (loc cit) affermando di non poter condividere le loro opinioni sull’utilità della misura dell’AFP nella sorveglianza del CEC e discutendo alcuni punti del problema.
1) A proposito dell’affermazione secondo cui non può essere sottovalutato il valore dell’ecografia, il cui uso non può essere limitato in favore della misura dell’AFP, precisano di aver discusso solamente il valore di questo marcatore e non di tutto il complesso di misure per la sorveglianza del CEC. Sono citate in proposito le linee guida del National Cancer Institute sulla diagnosi precoce del CEC e sulla validità dei biomarcatori neoplastici (Pepe MS, Etzioni R, Feng Z, et al. Phases of biomarker development for early detection of cancer. J Natl Cancer Inst 2001; 93: 1054). Marrero e Feng concordano, peraltro, nel ritenere che, al momento attuale, non siano disponibili risultati di studi randomizzati sulla sorveglianza di pazienti cirrotici.
2) Non concordano nel ritenere che la misura dell’AFP non sia più da considerare uno strumento valido per lo screening e la diagnosi di CEC, perché ritengono che ciò sia confermato da studi randomizzati di sorveglianza di questo tumore (Chen JG, Parking DM, Chen QG, et al. Screening for liver cancer: results of a randomized controlled trial in Qidong, China. J Med Screen 2003; 10: 204. Zhang BH, Yang BH, Tang ZY. Randomized controlled trial of screening for hepatocellular carcinoma. J Cancer Res Clin Oncol 2004; 130: 417).
3) Per quanto concerne la questione della dipendenza dell’ecografia epatica dalla variabilità dell’interpretazione, Marrero et al ritengono che tale variabilità sia soprattutto possibile nei centri di studio “meno sofisticati”, ma accessibili alla maggioranza dei pazienti; su questo punto auspicano che siano eseguiti accurati studi di controllo.
4) In risposta al rilievo di Forner et al (loc cit), secondo i quali è stato tenuto conto soltanto del livello di aminotranferasi e della terapia antivirale e non dell’età e del sesso dei pazienti, gli autori affermano di non aver considerato questi fattori perché non associati con l’espressione di biomarcatori nei cirrotici.
5) Circa il rilievo di Forner et al (loc cit) che l’accuratezza diagnostica dipende dalla prevalenza della malattia in studio, rispondono di aver tenuto conto soltanto della sensibilità e della specificità, che non dipendono dalla prevalenza.
Nel concludere, Marrero et al ritengono che il loro studio dimostri che l’AFP è il più valido biomarcatore per la diagnosi di CEC in fase iniziale e auspicano che in un prossimo futuro vengano sviluppati nuovi biomarcatori con caratteristiche migliori di quelle dell’AFP; fino a quel momento l’uso dell’AFP, unitamente a quello dell’ecografia e, forse, della DCP, è da ritenere il più valido, anche dal punto di vista del costo.




In un recente studio clinico condotto su 1031 pazienti randomizzati nello Hepatitis C Antiviral Long-term Treatment Against Cirrhosis Trial (HALT-C), è stata confrontata l’accuratezza dell’AFP e della DCP nella diagnosi precoce di CEC (Lok AS, Sterling RK, Everhart JE, et al, for the HALT-C Group. Des-γ-carboxy-prothrombin and α-fetoprotein as biomarkers for the early detection of hepatocellular carcinoma (Gastroenterology 2010; 138: 493). sono stati esaminati 39 casi di CEC, di cui 24 in fase iniziale e 77 controlli, eseguendo le misure da 12 mesi prima, fino al momento della diagnosi.
È stato osservato che la DCP, da sola, al valore limite normale di 40 mAU/mL, ha dato una sensibilità del 74% e una specificità dell’86% nel differenziare i casi con CEC dai controlli al tempo della diagnosi. La misura dell’AFP, da sola, ha dato una sensibilità del 61% e una specificità dell’81%. Quando è stato applicato un valore limite più alto, la sensibilità è scesa al 43% per la DCP e al 22% per l’AFP al momento della diagnosi di CEC, scendendo al 3% 12 mesi prima della diagnosi per entrambi i marcatori. Gli autori rilevano che, al fine dell’identificazione precoce di un CEC, è importante ottimizzare la sensibilità dei marcatori; ciò è stato ottenuto abbassando il valore limite normale sia della DCP che dell’AFP, ottenendo una sensibilità a 12 mesi prima della diagnosi del 43% e del 47%, rispettivamente. Riducendo ancor più il valore limite, gli autori hanno ottenuto un miglioramento della sensibilità fino al 90%; tuttavia l’aumento della sensibilità è avvenuto a spese della specificità che si è ridotta al 21% dal 47% per la DCP e al 15% dal 57% per l’AFP. A questo punto gli autori ricordano che le basse sensibilità e specificità dell’AFP hanno indotto a sconsigliarne la misura nella sorveglianza del CEC, a meno che non sia disponibile l’ecografia, che, peraltro, è dipendente dall’operatore.
In proposito gli autori sottolineano che con questa tecnica può essere difficile differenziare un nodulo rigenerativo da uno displastico e identificare un CEC in un fegato cirrotico. Gli autori ritengono pertanto che né la DCP – da sola – né l’AFP – da sola – siano ottimali nell’identificazione di un CEC, ma che l’associazione di queste due misure possa accrescere la sensibilità, indicando che questi due marcatori sono complementari. Infatti, a un valore limite di >40 mAU/mL per DCP e di >20 ng/mL per AFP, la sensibilità è aumentata dal 61 al 74% per ciascun marcatore da solo, e al 91% per entrambi associati, al momento della diagnosi; e al 73% 12 mesi prima della diagnosi. Questa complementarietà dei due marcatori è dovuta, secondo gli autori, al fatto che nel CEC la produzione di DCP e di AFP segue differenti vie e spiega del resto i differenti effetti che su tali marcatori esplicano il sesso e l’etnia.
Nel concludere, gli autori ritengono che la DCP non sia superiore all’AFP nella diagnosi precoce di CEC nei pazienti con epatite C in fase avanzata e che né DCP, né ACP, da sole, ma neanche in associazione, siano sufficientemente accurate per essere adoperate nella sorveglianza del CEC. Tuttavia l’aumento dell’AFP può indurre a una valutazione che porta alla diagnosi di CEC e i due marcatori sono complementari. Saranno necessari ulteriori studi per valutare  l’utilità di questi marcatori e per stabilirne i valori limiti ottimali.