Se m’avesse risposto

La prova pratica, nel South London Hospital, andò abbastanza bene. Gli avevan dato da esaminare un caso di bronchiectasia in un giovane quattordicenne; un vero colpo di fortuna, date le sue anteriori ricerche sui disturbi polmonari. Sentiva d’aver redatto una discreta relazioncella.
Ma quando si trattò dell’orale, la fortuna sembrò voler prendere tutt’altra piega. Andrew trovò, con vero orrore, che aveva sorteggiato, come primo esaminatore, un certo dottor Gadsby, di cui aveva udito Harrison parlare con apprensione.
 Per cinque minuti Gadsby tempestò Andrew di domande, poi, palesando un disappunto privo d’interesse, lo passò all’altro esaminatore, che era Sir Robert Abbey. Andrew s’alzò e traversò la sala con la faccia pallida e il cuore che batteva forte, convinto che Gadsby l’aveva bocciato. Alzò gli occhi su Abbey e vide con sorpresa che lo contemplava con un amichevole sorrisetto umoristico. “Cosa c’è?” si sentì domandare inaspettatamente.
“Nulla, Sir,” rispose balbettando, “solo ho paura di non aver risposto troppo brillantemente al dottor Gadsby”.




“Non ci badate. Date un’occhiata a questi esemplari, e ditemi tutto quello che sapete sulla storia dell’aneurisma”
“Ambroise Paré,” cominciò Andrew, e subito Abbey annuì per incoraggiarlo, “è ritenuto lo scopritore della condizione.”
Abbey espresse sorpresa: “Perché è ritenuto? È lui che effettivamente l’ha scoperta.”
Andrew arrossi, impallidí, e s’ingolfò nella spiegazione: “Questo è quanto dicono i testi; io stesso mi son dato la pena di verificarlo consultandone sei. Ma ho, d’altra parte, trovato in Celsus, che ho letto più che altro per rinfrescare il mio latino, il vocabolo aneurismus. Segno che Celsus conosceva già la condizione. L’ha descritta in extenso. Ciò, tredici secoli prima di Paré.”

Silenzio.
Abbey lo guardava con una espressione strana. “Dottor Manson,” disse alfine, “voi siete il primo candidato che m’abbia detto in quest’aula qualcosa d’originale, e che ignoravo. Mi congratulo.”
Andrew diventò di bragia.
“Ditemi ancora una cosa, l’ultima, per levarmi una curiosità. Qual è secondo voi, il principio supremo, l’idea, diremo basilare, che conviene tener sempre presente nell’esercizio pratico della nostra professione?”
Andrew rifletté disperatamente per qualche istante, poi, conscio che rischiava di sciupare il buon effetto che aveva creato, si decise a rispondere: “Credo ... credo che io mi vado ripetendo di... guardarmi da... dal sentirmi troppo sicuro delle mie nozioni.”
“Grazie, dottor Manson.”
Mentre Andrew lasciava l’aula, Abbey prese la penna. Si sentiva ridiventato giovane e pericolosamente sentimentale. Pensando “se m’avesse risposto che si imponeva di fare del suo meglio per salvare l’umanità, o qualche simile baggianata, l’avrei messo alla porta,” vergò, accanto al nome di Andrew Manson, l’inaudito massimo: 100.

Da: La cittadella,
di Archibald Joseph Cronin.

Traduzione di Carlo Coardi.
Bompiani, Milano 2006.
Pagg. 150 e 151.