Dettagli Luglio-Agosto 2010, Vol. 101, N. 7 doi 10.1701/508.6074 Recenti studi sulla terapia della malattia di Crohn titolo - split_articolo,controlla_titolo - art_titolo Recenti studi sulla terapia della malattia di Crohn testo - art_testo La malattia di Crohn (MC) è caratterizzata da ricorrenze e remissioni con evoluzione verso stenosi, fistole o ascessi. La terapia delle forme da lieve a moderata è costituita da mesalamina, budesonide o corticosteroidi per via sistemica, ma è noto che il trattamento corticosteroideo è ostacolato da eventi collaterali avversi causati dalla prolungata esposizione a questi farmaci che, inoltre, non sono efficaci nella terapia di mantenimento (Lichtenstein GR, Hanauer SB, Sandborn WJ. Management of Crohn’s disease in adults. Am J Gastroenterol 2009; 104: 465). Nei pazienti in cui il trattamento iniziale non ha avuto successo e in particolare in quelli che si sono dimostrati dipendenti dai corticosteroidi o non hanno presentato risposta a questi farmaci, sono spesso adoperate azatioprina e 6-mercaptopurina, ottenendo una remissione. Anche anticorpi monoclonali diretti contro il fattore di necrosi tumorale (TNF), come infliximab, sono efficaci nell’indurre e mantenere le remissioni. In un recente studio clinico multicentrico è stata valutata l’efficacia di azatioprina e infliximab, da soli e in associazione, nell’indurre e mantenere la remissione libera dai corticosteroidi nella MC (Colombel JF, Sandborn WJ, Reinisch W, et al. for the SONIC Study Group. Infliximab, azathioprine or combination therapy for Crohn disease. N Engl J Med 2010; 362: 1383). Sono stati studiati 508 pazienti con MC da moderata a grave, non precedentemente trattati con immunodepressivi e farmaci biologici, che sono stati randomizzati a ricevere: 1) per via venosa infliximab 5 mg per kg di peso alle settimane 0, 2, 6 e quindi ogni 8 settimane, più capsule di placebo per os ogni giorno, 2) azatioprina, 2,5 mg per os per kg di peso ogni giorno, oltre a placebo per infusione venosa agli stessi intervalli dell’infliximab e 3) associazione dei due farmaci. Come obiettivo primario è stata considerata la percentuale di remissioni esenti da corticosteroidi alla 26a settimana; come obiettivi secondari sono state considerate le remissioni in tempi successivi e la percentuale dei pazienti che hanno presentato normalizzazione della mucosa alla 26a settimana tra quelli che avevano lesioni ulcerative all’inizio dello studio e le modificaizoni del livello di proteina C-reattiva. È stato osservato che, in pazienti con MC attiva non rispondente a terapia iniziale, l’infliximab, a confronto con l’azatioprina, consente di ottenere alla 26a settimana una più alta percentuale di remissioni cliniche esenti da corticosteroidi e di cicatrizzazione della mucosa. Tuttavia la più evidente efficacia è stata osservata con la terapia associata. Gli autori sottolineano che l’incidenza complessiva di effetti collaterali è stata simile nei tre gruppi di pazienti, sebbene le reazioni al trattamento endovena si siano verificate meno frequentemente nei pazienti in terapia associata rispetto a quelli trattati solamente con infliximab. Gravi infezioni, compresa tubercolosi, sono comparse nel 3,9% dei soggetti in terapia associata, nel 4,9% di quelli trattati con solo infliximab e nel 5,6% di quelli trattati con sola azatioprina. L’associazione di azatioprina con agenti biologici anti-TNF accentua il rischio relativo di infezioni opportunistiche anche gravi e di linfoma T epatosplenico. È stato inoltre osservato che, nei pazienti non precedentemente trattati con azatioprina, la terapia associata è stata superiore a quella con infliximab da solo. Comunque gli autori riconoscono che l’aumentato rischio di rari, ma gravi, effetti tossici deve essere preso in attenta considerazione e sottolineano che il contemporaneo uso di corticosteroidi come terzo agente immunodepressivo, può accrescere tale rischio. Ritengono che, sebbene la maggiore efficacia osservata con la terapia associata possa essere in parte dovuta a riduzione di immunogenicità, tuttavia è probabile che il migliore effetto sia dovuto all’azione additiva dei due farmaci, come sarebbe dimostrato dalla osservazione che essi condividono il meccanismo dell’apoptosi.