Uso della pentossifillina nella cirrosi epatica avanzata

Nei pazienti con cirrosi, epatite cronica, epatite alcoolica acuta e relative complicanze come peritonite batterica spontanea e sindrome epatorenale e nei pazienti con emorragia da varici, la mortalità è associata ad aumentata produzione di citochine proinfiammatorie, che è più intensa nelle forme più gravi. Le citochine causano attivazione dei neutrofili promuovendo danno epatocellulare, insufficienza epatica e obitus. Inoltre è stato dimostrato che nella cirrosi è aumentata la produzione di fattore di necrosi tumorale alfa (TNF-α) in risposta alla stimolazione da parte dell’endotossina lipopolisaccaride. La pentossifillina, un inibitore della sintesi di TNFα, riduce l’ipertensione portale, attenua il danno epatocellulare da lipopolisaccaride e migliora la steatoepatite non alcolica, prevenendo la sindrome epato-renale e la sindrome epato-polmonare.



Gli effetti della pentossifilina sulla sopravvivenza di pazienti con cirrosi avanzata e sulla frequenza e gravità delle complicazioni sono stati recentemente studiati in 335 pazienti con cirrosi in fase C secondo Child e Pugh (Lebrec D, Thabut D, Oberti F, et al. Pentoxifylline does not decrease short-term mortality but does reduce complications in patients with advances cirrhosis. Gastroenterology 2010; 138: 1755).
È stato osservato che la percentuale di pazienti sopravvissuti 2 e 6 anni non è stata differente tra il gruppo trattato con pentossifillina e quello trattato con placebo. Viene sottolineato che il numero dei soggetti con un carcinoma epatocellulare è stato più alto nel gruppo placebo e che la differenza nella mortalità è rimasta invariata tra i due gruppi anche dopo esclusione di questi pazienti; ciò indurrebbe a ritenere che la presenza del carcinoma non abbia influito sulla mancanza di effetto della pentossifillina sulla mortalità. Per contro, la percentuale di pazienti senza complicanze (infezioni batteriche, insufficienza renale, encefalopatia epatica, emorragia digestiva) è risultata più alta nel gruppo pentossifillina (a 2 mesi 78,6% vs 63,4%; a 6 mesi 66,8% vs 49,7%). Gli autori ritengono pertanto che la ridotta frequenza di complicanze nei primi 2 mesi dimostri l’efficacia della pentossifillina nel prevenirle.
Nei pazienti con epatite alcoolica non è stata osservata una significativa differenza nella mortalità tra il gruppo trattato con pentossifillina e il gruppo placebo. Questi risultati contrastano con quelli di un recente studio che ha indicato una significativa riduzione di mortalità nei pazienti trattati con pentossifillina (Akriviadis E, Botla R, Briggs W, et al. Pentoxifylline improves short-term survival in severe acute alcoholic epatitis: a double-blind placebo-controlled trial. Gastroenterology 2000; 119: 1637). Gli autori ritengono che queste differenze possano spiegarsi con la presenza nella loro casistica di soggetti con epatite alcoolica che sono stati trattati con corticosteroidi; inoltre, questi differenti risultati inducono a ritenere che la gravità delle condizioni cliniche, come anche il trattamento, possano essere stati differenti e che pertanto siano necessari ulteriori approfondimenti.
Gli autori riconoscono la difficoltà nel fornire spiegazione della mancanza di effetto della pentossifillina sulla mortalità dei pazienti con cirrosi e insufficienza epatica. Al riguardo rimarcano che molti loro pazienti sono deceduti dopo 2 mesi dal ricovero per insufficienza multi-organo o complicazioni epatiche. È pertanto possibile che il trattamento con pentossifillina sia stato troppo breve per esplicare effetto sulle gravi condizioni dei pazienti.
Ciò sarebbe confermato dall’elevato punteggio secondo il Model for End-Stage Liver Disease (Kamath PS, Wiesner RH, Malinchoc M, et al. A model to predict survival in patient with end-stage liver disease. Hepatology 2001; 33: 464).
Gli AA. concludono che la pentossifillina, pur non influenzando significativamente la mortalità dei pazienti con cirrosi, riduce la frequenza delle complicanze a confronto con il placebo. Per quanto riguarda la peritonite batterica ricordano che la pentossifillina previene la translocazione batterica, riducendo la frequenza di questa complicanza. Non sono chiariti i meccanismi con cui la pentossifillina riduce la frequenza dell’insufficienza renale nei cirrotici, ma si ipotizza un effetto sul TNF- α e sulla sua implicazione nella disfunzione renale. La pentossifillina riduce anche il rischio di encefalopatia epatica; la correlazione osservata tra concentrazione sierica di TNF-α e gravità di questa complicanza potrebbe spiegare il ruolo di tale citochina. Contrariamente alle altre complicanze, non è stata notata significativa riduzione delle emorragie gastrointestinali a seguito di terapia con pentossifillina, probabilmente a causa dello scarso numero di casi. La mancata efficacia di questo farmaco sulla sopravvivenza e l’effetto riduttivo sulle complicanze della cirrosi rendono necessari ulteriori studi clinici controllati. La pentossifillina è stata in genere ben tollerata. Soltanto in 7 pazienti il trattamento è stato interrotto per disordini gastrointestinali, già segnalati in letteratura, e in 4 pazienti la terapia è stata continuata a dosi minori, dimostrando probabilmente un effetto dose-dipendente.