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Se avessimo interrogato MedLine alla fine del 1980, i record bibliografici contenenti nel titolo il termine diagnosi sarebbero risultati 4.504. Ripetendo la ricerca dieci anni dopo, sarebbero diventati 6.225 e alla fine dello scorso anno (2012) 9.304. Gli studi sui bisogni informativi dei medici dicono che l’inquadramento diagnostico è – tra le ragioni che spingono ad approfondire – secondo solo alle questioni riguardanti la prescrizione farmacologica: più di una ricerca bibliografica su tre è motivata dall’esigenza di chiarire o precisare la diagnosi del disturbo riscontrato nel paziente. Questo fascicolo di Recenti Progressi in Medicina conferma l’interesse che soprattutto la medicina ospedaliera pone sulla valutazione e gli accertamenti clinici. In molti casi, le incertezze riguardano il vaglio tra diverse opzioni e la scelta del medico è influenzata sia da elementi clinici, sia dalle preferenze del malato (per esempio circa la maggiore o minore invasività), sia da fattori inerenti il costo delle procedure. È una situazione ben illustrata da Federica Vernuccio et al. nel lavoro sulla valutazione morfo-funzionale del ventricolo destro, contributo che sembra voler “aprire” ad un più frequente ricorso all’ecocardiografia rispetto a quello che è considerato il gold standard, la risonanza magnetica cardiaca. In più di una circostanza, si cerca di privilegiare un approccio meno invasivo possibile: lo conferma la sintetica rassegna di Emilio Palumbo, mettendo a confronto le “antiche” linee guida della American Academy of Pediatrics con la prassi attuale per la diagnosi di reflusso vescico-uretrale nel bambino.
Tra le righe, il contributo di Filippo Antonini e Giampiero Macarri porta infine all’attenzione del lettore un tema oggi molto discusso: quello della sovradiagnosi. Le lesioni cistiche del pancreas (LCP), spiegano, sono generalmente non accompagnate da sintomatologia e, forse anche per questa ragione, uno studio autoptico condotto su 300 pazienti ne ha rilevato “una sorprendente prevalenza” nel 25% dei casi. Se una corretta diagnosi è fondamentale per evitare di sottostimare una lesione maligna, la gran parte delle LCP ha natura tale da sconsigliare di sottoporre il malato ad intervento chirurgico. Il ruolo clinico della diagnosi – in questo come in molti altri ambiti – è sempre più centrale. Anche perché, spiega H. Gilbert Welch nel libro Overdiagnosed (appena tradotto in italiano col titolo “Sovradiagnosi: come gli sforzi per migliorare la salute possono renderci malati”), «fare sempre più diagnosi instaura un ciclo che si autoalimenta, che sollecita sempre più i medici a fare nuove diagnosi. In altre parole è un ciclo con un feed-back positivo, in cui un effetto si autoalimenta, amplificando e promuovendo l’effetto iniziale». «Le nuove diagnosi in psichiatria possono essere molto più paricolose dei nuovi farmaci» ha scritto sul New York Times Allen Frances, già editor del DSM-5. Come scrive Teju Cole in Città aperta (vedi p. 598) «la diagnosi è un’arte difficile», ma non solo per la mente.
L’importante, spiegano le curatrici dell’edizione italiana del libro di Welch Marina Davoli e Laura Amato del Network Cochrane Italiano, è inserire il seme del dubbio sull’uso che oggi viene fatto di numerose tecniche diagnostiche: si fa sempre in tempo, spiega Welch, a cambiare paradigma. E talvolta tornare indietro è la strada migliore per andare avanti.


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