In questo numero


Un tempo, i nonni obbligavano i nipoti a mettere nel piatto l’intero grappolo d’uva senza spiluccare gli acini più belli: “Credi davvero che qualcuno possa mangiare quelli che scarti?” Torna in mente spesso nel leggere i risultati di studi che hanno nel cherry-picking lo strumento per portare acqua al mulino degli autori, confermandone invariabilmente le tesi. Quello che è, per gli inglesi, l’esercizio dello scegliere le migliori ciliegie sull’albero è un’arte preziosa per sopprimere l’evidenza o per valorizzare prove incomplete o di scadente qualità, ignorando o depotenziando con critiche pretestuose qualsiasi dato possa contribuire a contraddire la posizione del ricercatore che firma lo studio. Nell’infografica a pag. 136 è al numero 10 tra gli elementi che contribuiscono alla cattiva ricerca. Qualcuno lo ha assimilato al confirmation bias ma è più condivisibile la posizione di chi, come il genetista della Stanford University David Perkins, lo ha ribattezzato il “myside bias”.
Salvo scoprire che in gran parte dei casi il lato dell’autore cherry-picker non è altro che quello delle lobby che ne sostenevano il lavoro. In diverse occasioni, questo sospetto è venuto a chi leggeva i risultati degli studi sui presunti benefici del moderato consumo di alcol: nel migliore dei casi, queste evidenze  sono soltanto la prova della difficoltà di giungere ad un punto fermo circa i determinanti della salute, tra unicità delle risposte individuali e interazione con l’ambiente. Qualsiasi confronto è non soltanto lecito ma ovviamente auspicato: da quello sul cosiddetto paradosso francese (per cui una dieta relativamente ricca di grassi saturi e vino rosso sembra proteggere da eventi cardiovascolari) ai dubbi più recenti sollevati sul JAMA sui danni da consumo eccessivo di sodio. La sola condizione è che il campo sia sgombro da interessi diversi da quelli che rappresentano la migliore salute per la popolazione.
L’intero fascicolo di Recenti progressi è materia di potenziale contraddittorio: dagli editoriali (uno proprio dedicato all’alcol e l’altro al nuovo DSM in risposta all’intervento di Nonino e Magrini uscito su queste pagine a febbraio) al commento di Brambilla e Maciocco sulle Case della salute che stanno vivendo nuova popolarità e rinnovato ostracismo, fino ai tre articoli di ricerca che, oltre a confermare l’altissima prevalenza del dolore in diverse popolazioni di pazienti, evidenziano la sostanziale non conoscenza della Legge 38/2010 che prevede che il medico tenga traccia in cartella clinica di tutti i dati necessari, a documentare non solo la presenza del dolore ma anche tipo di trattamento ed esito dello stesso. Il dolore è un’esperienza soggettiva, sostiene David Foster Wallace nel brano a pagina 176 e non lo comprendiamo se non siamo noi a soffrirlo.
Inizia la primavera ma il mare continua ad essere in tempesta, come nel film di Ferzan Ozpetek che riapre uno spazio – quello su cinema e letteratura – che per qualche mese avevamo colpevolmente trascurato.


In questi numeri