Musica e medicina: il progetto Donatori di Musica

Claudio Graiff

E-mail: claudio.graiff@asbz.it

Donatori di Musica: when oncology meets music.

Summary. Donatori di Musica is a network of musicians – both physicians and volunteers – that was initially founded in 2009 with the aim to set up and coordinate classical music concerts in hospitals. This activity was initially started and led by the Oncology Departments at Carrara and Bolzano Hospitals, where high profile professional musicians make themselves available for concerts in support of Oncological in/out-patients of that specific Hospital. A live classical music performance is a deeply touching experience - particularly for those who live a critical condition like cancer. Main characteristics of Donatori di Musica concerts are: continuity (concerts are part of a regular and non-stopping music season); quality (concerts are held by well-established professional musicians); philanthropic attitude (musicians do not wear a suit and usually chat with patients; they also select an easy-to-listen program; a convivial event is usually organized after the performance with the aim of overcoming distinctions and barriers between physician and patient); no profit: musicians perform for free - travel expenses and/or overnight staying only can be claimed; concerts have free access for patients, their families and hospital staff.

Patients and musicians therefore do get in close contact and music is able to merge each other experiences – with patients being treated by the beauty of music and musicians being treated theirselves by patients daily-life feedback. The Donatori di Musica experience is therefore able to help Medicine to retrieve its very first significance – the medical act regain that human and cultural dimension that seems to be abandoned in the last decades in favour of a mere technicism. This is the spirit and the deep significance of Donatori di Musica – «[…] the hope that Music can become a key support to medical treatments in every Oncology department» (by Gian Andrea Lodovici).

Donatori di Musica è una rete di musicisti, medici e volontari, nata nel 2009 per realizzare e coordinare stagioni di concerti negli ospedali. Si tratta di una proposta che, inizialmente attiva solo presso i reparti di oncologia degli ospedali di Carrara e Bolzano, si è successivamente estesa ad altri centri italiani e negli USA, dove ha mantenuto il format originale e la denominazione italiana. Musicisti professionisti, di indiscusso valore artistico e di prima grandezza, si rendono disponibili per tenere un concerto a favore degli ammalati oncologici ricoverati/ambulatoriali del reparto, una o più volte al mese. Il significato peculiare e le caratteristiche di questa iniziativa sono ben espresse nella presentazione che se ne fa sul sito web ufficiale dell’associazione “www.donatoridimusica.it” a firma del presidente della stessa, dottor Maurizio Cantore, e del coordinatore artistico, maestro Roberto Prosseda.

«L’esperienza emotiva e umana dell’ascolto della musica dal vivo è preziosa per tutti, e in particolare per chi si trova ad affrontare situazioni critiche. Ma i concerti dei Donatori di Musica non sono soltanto eventi culturali. I pazienti molte volte non riconoscibili dai volontari e dai familiari, l’intensa e vissuta musicalità degli artisti, gli applausi sgorgati dal cuore e dalle ombre più paralizzanti dei malati di tumore a ringraziamento del “mondo esterno” venuto in mezzo a loro a portare musica, a portare vita, tutto ciò non può non colpire il bersaglio grosso dell’emozionalità, della partecipazione, dell’importanza dell’esserci. È questo il sogno di Gian Andrea Lodovici, grandissimo critico musicale e producer discografico, che fu tra l’altro Direttore artistico dell’etichetta Arts di Monaco di Baviera e autore di un fondamentale trattato di storia della musica. Un sogno che ha preso vita proprio mentre Gian Andrea affrontava il suo ultimo viaggio, quello con la malattia, il tumore che lo ha ucciso nel 2008 a soli 47 anni. Dalla sua intuizione e dalla sua opera pionieristica, iniziata con l’invito a suonare in ospedale rivolto ad alcuni tra i più significativi interpreti della grande musica, personaggi con i quali aveva una profonda amicizia e consuetudine professionale, ha preso le mosse questa rivoluzione strisciante e imbarazzante nella sua semplicità e nella sua continuità. La musica vista non solo come un evento, ma presente con continuità: l’evento che diventa “sistema”. L’obiettivo dei Donatori di Musica è di far avverare questo sogno in tanti altri reparti di oncologia, in tanti altri ospedali e strutture sanitarie, grazie alla straordinaria ed entusiasta generosità di centinaia di musicisti che già hanno dato la loro disponibilità.

Le caratteristiche dei concerti dei Donatori di Musica sono:

• continuità: i concerti sono sempre parte di stagioni regolari e continuative;

• qualità: i concerti sono tenuti da musicisti con un’attività concertistica consolidata, per garantire una qualità analoga a quella delle “normali” stagioni concertistiche importanti; 

• calore umano: i concertisti non si mettono il frac, e normalmente dialogano con il loro pubblico, presentando i brani e scegliendo un programma di facile ascolto. È previsto anche un momento conviviale dopo il concerto, perché i pazienti possano parlare e conoscere personalmente i musicisti, nell’ottica di un abbattimento delle barriere e delle distinzioni tra “malato” e “sano”, tra “medico” e “paziente”;

• nessuno scopo di lucro: i musicisti si esibiscono gratuitamente (è soltanto prevista l’ospitalità per una notte e il rimborso delle eventuali spese di viaggio). I concerti sono tutti a ingresso gratuito e limitato ai pazienti, ai loro familiari e allo staff ospedaliero, così da non interferire con le stagioni concertistiche tradizionali.»




Cosa succeda nel condividere l’esperienza dei concerti di Donatori di Musica, nello stare fianco a fianco negli stessi luoghi dove ognuno, in altri momenti della giornata, riveste un ruolo istituzionale, cosa succeda nel sedere accanto sulle stesse sedie dove qualche ora prima si attendeva un prelievo, una terapia, il temuto verdetto di un esame diagnostico, non può essere descritto; lo hanno sperimentato e vissuto a Bolzano operatori sanitari, ammalati, volontari, familiari già molte volte, e ogni volta attendono con impazienza di poter vivere una nuova esperienza e accolgono con entusiasmo i musicisti che, con il dono della loro presenza e della grande musica, riportano per un momento la bellezza, la normalità, la gioia nel loro vissuto, ma che sanno anche interpretare attraverso il linguaggio universale della musica il dolore del mondo e il loro stesso dolore.

Ma anche i musicisti ricevono un grande dono, poiché gli ammalati presentano loro un senso della vita che paradossalmente proprio l’esperienza della malattia ha permesso di scoprire, la forza della speranza, il significato che hanno saputo collegare alla sofferenza. E così il musicista trasmette una cultura che cura e, a propria volta, riceve stimoli che gli fanno ripensare il proprio modo di essere artista e viene anch’egli in un certo senso “curato”. E tutto questo è e diventa assolutamente organico alla medicina. Infatti, se la medicina è la scienza che studia le malattie, le loro cause, l’evoluzione, la diagnosi, nonché i metodi e le tecniche di terapia e prevenzione, l’esercizio della medicina è una pratica volta a evitare, risolvere, alleviare stati di malattia e sofferenza: ha compiti di prevenzione, diagnosi, cura e riabilitazione ma anche di umana relazione e di ambito culturale. In questo senso la relazione di cura recupera il suo significato originario, l’esercizio della medicina si compie nel recupero di quella dimensione umana e culturale che negli ultimi decenni sembra talvolta avere smarrito o relegato in secondo piano. Il mito di “Cura”, del quale cito di seguito un’antica descrizione, può essere la chiave di lettura del senso profondo di Donatori di Musica:

«[…] e Saturno disse: “Tu, Giove, che hai dato lo spirito, al momento della morte riceverai lo spirito. Tu, Terra, che hai dato il corpo, riceverai il corpo. Ma poiché fu Cura che per prima diede forma a questo essere, finché esso vive, lo custodisca Cura. Per quanto riguarda la controversia sul nome, si chiama homo poiché è stato tratto da humus». (Iulius Higinus, Fragmenta Operum Deperditorum, I sec. d.C.).

La cura così intesa è un concetto culturale del tutto trasversale, ed è evidente che la quasi totalità delle professionalità e delle attività umane hanno impatto sulla “cura”. Nella cultura medica la “cura” viene intesa soprattutto come terapia delle condizioni di malattia, ricevendone una connotazione incompleta e riduttiva, ma ogni forma di terapia non può che essere culturalmente inscritta nella therapeia: se “terapia” è concetto di significato eminentemente medico/tecnologico, therapeia è invece concetto generale, è “cura”, nei suoi molteplici significati di prendersi cura, essere al servizio, formare, assistere, infine custodire. La medicina non ha il monopolio di una cura così intesa, ma evidentemente non può nel contempo limitarsi all’esercizio della terapia. La società d’altra parte non può a propria volta delegare la cura. Se vi è qualcuno che deve gestire la transizione da una “tecnica” della cura alla “cultura” della cura, questi è il medico; inevitabilmente la medicina moderna ha anche questo compito. Una medicina che si faccia portavoce di queste istanze non potrà che derivare da un compendio di cultura e scienza, superando un’anacronistica antinomia tra le conoscenze scientifico-tecniche e il pensiero filosofico-letterario: esiste una sola cultura, non due e vanno definitivamente superate le teorizzazioni derivate dall’obsoleta teoria di C. Snow (1959) sulla contrapposizione tra cultura scientifica e cultura umanistica al di fuori del contesto specifico della storia occidentale.

In questo senso la medicina è in cammino verso una pratica che continuerà a evolvere sul piano scientifico e tecnologico, ma temperata da un pensiero critico, tesa anche al recupero della sua dimensione di “arte” della relazione umana verso un’eccellenza globale e non più solamente clinica. Ebbene sì, non solo episteme ma anche doxa: integrando natura e cultura, scienza e filosofia si fondono anziché fronteggiarsi. L’acquisizione della dimensione culturale della sofferenza e della cura è indispensabile per riuscire a intercettare i bisogni emergenti, in particolare degli ammalati oncologici, tenendo conto del fatto che solo una parte di essi può oggi guarire, che la persona guarita dal cancro esprime comunque bisogni importanti per tutto il resto della propria vita, che coloro che non guariscono possono vivere relativamente a lungo, presentando importanti problematiche cliniche ma anche bisogni diversi, i quali debbono essere finalmente oggetto di cura. La medicina deve attrezzarsi a comprendere e dare risposta a queste problematiche emergenti; basti pensare che tutto questo è implicito già nella definizione dello stato di salute, formulata ormai più di 50 anni or sono dall’Organizzazione Mondiale della Sanità. Fondamentale è considerare come in meno di un secolo siano avvenuti imponenti cambiamenti epidemiologici, in un contesto nel quale la transizione dalle patologie acute verso quelle croniche, degenerative e neoplastiche sta mostrando i limiti di un approccio ipertecnologico, che si sta rivelando non pienamente in grado di dare risposta ai nuovi bisogni di salute. Una medicina che sappia rinnovarsi dovrà interrogarsi sui modi possibili di intercettare questo cambiamento, non depotenziando il suo arsenale scientifico-tecnologico, ma divenendo una pratica più critica e consapevole, inserita nel dibattito culturale attraverso un’intensa opera di riappropriazione del proprio ruolo di “arte della relazione” e di “pratica bio-psico-sociale”, dove cultura umanistica e scienza dovranno concorrere alla formazione di una nuova generazione di professionisti.




In tutto questo si inserisce Donatori di Musica, con un possibile ruolo di ri-umanizzazione e armonizzazione tra medicina, malattia e vita, con il prendersi cura a un tempo di “sani” e ammalati nel perseguire l’eccellenza nella accoglienza e nel contribuire all’eccellenza clinica. Ricomporre la lacerazione del vissuto e dello spazio-tempo nell’ammalato e nel suo gruppo familiare, portando sollievo attraverso esperienze di significato positivo, di autentica “bellezza”, collocate proprio dentro quello spazio-tempo deformato dalla malattia, collegare e ricollegare un senso e un significato alla sofferenza, su basi empiriche, razionali, reali, in modo del tutto diverso dal metafisico e trascendente, e condurre così a un rinnovato e “laico umanesimo” in medicina. Come dice lo storico della medicina Dietrich von Engelhardt:

«La medicina viene ripetutamente sfidata a riflettere sulla sua posizione fondamentale a cavallo tra le “scienze della natura” e le “scienze dello spirito”, a recuperare la sua dimensione antropologica, quella cosmologica e quella metafisica. Senza dubbio il dolore è uno dei temi originari, ma anche una motivazione originaria della medicina. Il dolore non può essere ridotto soltanto alla biologia, il dolore è un tema della psicologia, della sociologia, della filosofia e anche della teologia. Una medicina che non voglia esaurirsi in una tecnica di guarigione, ma voglia essere anche una cultura della guarigione dovrà sempre prendere in considerazione anche queste altre dimensioni del dolore. La storia della medicina, la storia della cultura europea, anche la storia di altre culture extra-europee, ci hanno dato molti stimoli a percepire il dolore in queste altre dimensioni. Se si considera la storia culturale del dolore si potrà ripetutamente osservare che il dolore costituisce un anello di congiunzione tra la natura e la cultura. Da un lato il dolore è un fenomeno biologico, dall’altro uno culturale ed è spesso difficile, molto difficile, definire quale aspetto in un dato momento stia in primo piano, quello biologico e fisiologico oppure quello culturale, psicologico e anche linguistico. Si dovrebbe trasformare la medicina da tecnica di guarigione in cultura della guarigione in modo che nella conoscenza scientifica, a contatto con il dolore, nella descrizione e anche nelle risposte terapeutiche, essa tenga presente queste altre dimensioni del dolore, che noi possiamo acquisire dalla storia culturale del dolore».

Ebbene, nel passaggio da “tecnica” a “cultura” della cura la medicina non può però rimanere sola; i musicisti lo hanno capito prima di altri e così la musica diviene una sorta di virtuoso cavallo di Troia, simbolo della chiamata al compito di cura dell’intera società civile, la quale peraltro già ora risponde, per il momento in forma indiretta, sostenendo e facendo propria l’esperienza di Donatori di Musica. Questo il senso dell’attenzione riservata a Donatori di Musica, con l’istituzione o il conferimento di premi importanti, quali per esempio il Premio speciale Gian Andrea Lodovici presso il concorso pianistico internazionale Ferruccio Busoni, il premio Abbiati della critica musicale italiana, conferito a Donatori di Musica quale iniziativa culturale di maggiore rilievo in ambito musicale in Italia nel 2012, e infine il premio internazionale A. Langer, assegnato a Donatori di Musica nel 2013.

Ma Donatori di Musica è anche scienza. Sin dall’inizio, infatti, è stato fatto con costanza un lavoro di controllo e verifica, discussione e validazione, un vero e proprio studio sistematico, con il fine di comprendere la portata reale e il significato anche clinico di quanto accade in queste occasioni, nelle quali tutti viviamo momenti molto intensi e dai quali usciamo sempre diversi, “cambiati”; è certo che la musica produce emozioni, evoca sensazioni, promuove sentimenti che liberano l’umanità che risiede in ognuno, e nello stesso tempo favoriscono il pensiero e la riflessione, ma tutto questo ha anche una ripercussione sui sintomi e sui segni della malattia. Sono stati verificati miglioramento di qualità e quantità del sonno, riduzione di nausea e vomito, aumento dell’appetito, riduzione del dolore, riduzione dell’ansia e migliore controllo sintomatico individuale. E tutto questo, non attraverso un’impropria “medicalizzazione” del bisogno, qual è spesso la pratica delle cosiddette medicine alternative, ma attraverso il ruolo proprio all’arte, in cui la “pillola” rimane fatta di musica e non diviene “placebo medicalizzato e medicante”. Ed è ovvio che questo possa accadere, quando si consideri che proprio l’esercizio razionale e la capacità di provare emozioni positive sia indispensabile nel processo di riappropriazione di sé che l’ammalato oncologico sente di dovere svolgere per ricomporre lo “specchio rotto” della sua esperienza di vita. È quello che si chiama “processo di crescita post-traumatica”, ben noto agli psicologi, spesso motore della “rinascita” dell’individuo o di un intero gruppo dopo un’esperienza devastante.

Tutto questo è Donatori di Musica, e questo è probabilmente anche il significato profondo delle parole che, incitando a proseguire nel solco da lui tracciato, prima di morire Gian Andrea Lodovici ha lasciato scritte:

«[…] perché la Grande Musica divenga sempre più strumento di importante aiuto alle cure mediche in ogni reparto di oncologia».

Bibliografia di riferimento

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von Engelhardt D (intervista). Antropologia del dolore. 22 marzo 1991. www.emsf.rai.it/scripts/interviste.asp?d=329