Evidence-based medicine: nuovo paradigma della medicina

e marchio di garanzia nel supermercato della letteratura medica

Luigi Pagliaro1, Agostino Colli2

E-mail: luigi.pagliaro@gmail.com

Evidence-based medicine: a new paradigm for medicine and a brand for the megastore of medicinal literature.

Summary. The current debate about the state of evidence based medicine (EBM) led to hypothesize a “crisis”, claiming the need for a “renaissance” of the EBM movement. During the last two decades, EBM contributed to make medical practice more scientific, as clinical epidemiology became a science basic for clinical medicine. The traditional hierarchical structure of medicine was thwarted, and endorsing clinical decisions with the best available evidence became a moral obligation. However, although the benefits from the widespread diffusion of EBM are well known and sometimes overemphasized, the negative consequences of a mechanistic and dogmatic application of EBM cannot be ignored. For example, the need of combining scientific evidence with clinical expertise was claimed, but what’s expertise not defined. Diagnostic studies are underdeveloped as compared with intervention trials. Furthermore, outcomes are mainly confined to simple accuracy measurements, and hypotheses generation, the first crucial phase of the diagnostic pathway frequently omitted. These limitations may have reduced the potential of EBM, contributing to its criticisms.

L’articolo pubblicato sul BMJ di Greenhalgh et al.1, che ipotizza una crisi attuale della medicina basata sulle evidenze (EBM) e la necessità di un suo “rinascimento”, ha suscitato in Recenti Progressi in Medicina una breve ma vivace reazione2 che si conclude con l’affermazione che «la medicina basata sulle evidenze è più viva che mai dopo un’adolescenza non facile in cui ha corso il rischio di chiudersi in se stessa». È un’opinione che suona più che altro come una petizione di principio e un ottimistico auspicio. Recenti Progressi in Medicina ha uno spazio nazionale di rispetto e autorevolezza che giustifica invece su EBM, che ha una storia ultraventennale non priva dei cambiamenti a cui ermeticamente si allude, un intervento più meditato e documentato, tentativamente presentato in queste pagine.

Le origini

Fino agli anni attorno al 1970 la medicina godeva di un credito indiscusso. Si riteneva che il rigore dell’educazione medica e l’esperienza fossero garanzia di efficacia. Iniziano a quell’epoca le osservazioni che meno del 15% dei trattamenti erano basati su trial clinici metodologicamente validi e che molti trattamenti dati per sicuri si dimostravano invece inefficaci se sottoposti a un trial3. Si aggiungeva come elemento di dubbio4 l’ampia variazione ingiustificata dei trattamenti applicati a pazienti con lo stesso problema clinico dimostrata da Wennberg et al.5.

Su queste premesse nasce nel 1992 la EBM, che, già nel titolo dell’articolo, dichiara la sua vocazione educazionale6. L’EBM si presenta come un nuovo paradigma: per risolvere i problemi clinici e per fornire ai pazienti un’assistenza (care) ottimale i medici devono ricercare e trasferire nella pratica i risultati della ricerca pubblicati nella letteratura scientifica. L’articolo si concentra sui trial controllati e randomizzati e sulle meta-analisi dei trial come basi per la terapia. E conclude che questi principi – ricerca e applicazione delle evidenze, trial e meta-analisi – assicurano ai pazienti un’assistenza superiore a quella basata sull’esperienza e sulla fisiopatologia, affermazione che non viene però documentata in alcun modo.

L’attuale concezione dell’EBM si discosta in parte dall’articolo del 1992, ed è tratteggiata da due editoriali di Sackett et al. Nel primo7, gli autori introducono come componenti dell’EBM, accanto alle evidenze dalla ricerca clinica, la expertise individuale del medico e i diritti e le preferenze dei pazienti, una combinazione illustrata in un grafico (figura 1), più chiaro ma nell’essenza non diverso da altri successivamente proposti8.







Nel testo di Sackett et al., «i bravi medici usano sia la expertise clinica individuale che le evidenze esterne disponibili, e nessuna delle due da sola è sufficiente». Fanno parte dell’aumentata expertise una diagnosi più efficace ed efficiente e una maggiore sensibilità per i diritti e le preferenze dei pazienti… «Senza expertise clinica, la pratica rischia di essere tirannizzata dalle evidenze, perché anche eccellenti evidenze possono essere inapplicabili o inappropriate per il paziente individuale. Senza le migliori evidenze aggiornate (current) la pratica rischia di diventare rapidamente obsoleta, con danno dei pazienti».

Il secondo editoriale9 demitizza l’idea che esistano disegni di studio “superiori” e afferma il concetto che i differenti problemi di medicina devono essere affrontati con differenti disegni di studio; se l’efficacia di un nuovo trattamento esige il disegno sperimentale del trial controllato e randomizzato, gli effetti del trattamento nella pratica corrente richiedono studi osservazionali – siano essi definiti studi di coorte, di outcome o di effectiveness.

Quali guadagni da EBM?

Un primo guadagno sta nell’aver sostituito le decisioni stabilite dall’autorità dell’anziano, del primario o del professore con due domande: perché devo prendere questa decisione? Quali sono le “evidenze” che essa è superiore alle alternative? È un guadagno che implica come obbligo morale del medico la ricerca e la valutazione delle evidenze nella letteratura scientifica10. È un obiettivo importante e positivo, che dev’essere però bilanciato con il tempo e l’attenzione che il medico deve primariamente dedicare all’incontro con il paziente11.

Un altro guadagno, che è probabilmente il più importante, consiste nella larghissima produzione di articoli e trattati che ampliano e diffondono concetti essenziali di epidemiologia clinica e di statistica. Appartengono agli esperti dell’area EBM la creazione o la diffusione dei termini del glossario presentato in ogni numero di ACP Journal Club (per esempio, relative risk reduction, absolute risk reduction, number needed to treat, likelihood ratio). Sono insegnamenti che hanno nella semplicità e ripetitività il maggiore vantaggio, e che hanno probabilmente cambiato la maniera di ragionare di molti medici.

Punti deboli: quale expertise?

Da Sackett in poi entra fra i fattori di EBM la expertise individuale dei medici. È per EBM una innovazione importante e positiva. Però, dall’editoriale di Sackett et al. sono trascorsi 18 anni, senza che l’EBM abbia mai provato a spiegare in che cosa consiste l’expertise, tanto più che le “evidenze” scientifiche mettono in guardia contro l’opinione popolarmente diffusa che essa dipenda dagli anni di pratica. Per tradursi in expertise, infatti, la pratica deve avere specifiche caratteristiche. Già Osler12 osservava che «the value of experience is not in seeing much, but in seeing wisely». Circa un secolo dopo, nel 2005, una revisione sistematica dimostrava che in più di metà degli studi analizzati la qualità della pratica dei medici si riduceva al crescere della sua durata, e solo in uno aumentava13. Una sequenza di studi ha poi dimostrato che la creazione della expertise individuale del medico ha una componente quantitativa (l’optimum individuale è attorno ai 10 anni), e una componente qualitativa, che comprende:

• uno scopo ben definito (per il clinico, fare la diagnosi e prescrivere la terapia);

• essere motivati a migliorare la performance;

• avere la possibilità e acquisire l’abitudine al feedback delle decisioni prese;

• possibilità di ripetere e rifinire le proprie performance14,15.

Punti deboli: la diagnosi

La diagnosi più efficace ed efficiente, che secondo Sackett fa parte della expertise, rimane poco più di un’enunciazione di principio. Molti indizi si sommano a dimostrare che in EBM la diagnosi è poco presente e quando presente è metodologicamente discutibile.

In due studi intesi a dimostrare che l’EBM è la pratica medica prevalente in ospedale16 e in medicina generale17 gli autori stimano che i trattamenti adottati sono per circa l’80% “evidence based”. Ma in entrambi gli studi la diagnosi viene data come acquisita, non si esamina se è “evidence-based”, e viene solo citata e sommariamente commentata. Come osserva una lettera a Lancet18, Ellis et al. (autori del primo dei due studi) dimostrano che, una volta diagnosticati, i pazienti generalmente ricevono il trattamento corretto. Il problema reale nella medicina clinica è la diagnosi, sulla quale tutti i trattamenti sono basati. The BMJ ha pubblicato dal 1998 al 2000 dieci “evidence-based case report”. Solo due di essi partono dalla descrizione clinica dei pazienti e dalla ricerca di evidenze a sostegno della diagnosi19,20. Negli altri21-28 la diagnosi è data come acquisita e solo citata per introdurre i trattamenti e le relative evidenze. Ed è significativo il cambiamento di titolo proposto negli stessi anni da Alessandro Liberati per l’EBM: da medicina basata sulle evidenze a medicina delle prove di efficacia29.

Nelle pubblicazioni di riferimento della EBM lo spazio riservato alla diagnosi è decisamente scarso. La Cochrane Collaboration ha per molti anni ignorato gli studi diagnostici e – dimenticando un’osservazione dello stesso Archie Cochrane («fra le misure basate sugli RCT e i benefici nella comunità c’è un abisso che è stato molto sottostimato», Cochrane30 citato da Rothwell31) – ha raccolto e sintetizzato le evidenze di efficacia esclusivamente dagli RCT di interventi terapeutici. Solo negli ultimi 5 anni, dopo una complessa e lunga elaborazione metodologica, sono timidamente comparse le prime revisioni sistematiche con meta-analisi di studi di accuratezza diagnostica.

In ACP Journal Club, una delle migliori iniziative di sintesi della EBM, la distribuzione per argomento degli abstract verificata per gli ultimi tre anni, privilegia la terapia (oltre il 70%) e mortifica la diagnosi (7%).

La povertà degli spazi concessi alla diagnosi dall’EBM contrasta con l’osservazione che le domande dei medici per problemi di diagnosi non sono affatto infrequenti. I dati provengono dalle inchieste di Ely et al.32,33 i cui risultati dimostrano che le domande dei medici per problemi diagnostici sono intorno al 38%, e quelle per problemi di terapia intorno al 44%.

Un discorso a parte richiedono gli oltre 80 articoli della serie The Rational Clinical Examination, pubblicati sul JAMA dal 1993 a oggi, che come si ricava dal titolo della serie riguardano la diagnosi. Sono articoli eccellenti per quantità e qualità d’informazione. Ma considerano solo la seconda parte del processo diagnostico e si limitano a valutare l’efficienza dei segni o dei test per confermare o escludere la diagnosi. Trascurano il momento principale, la generazione di ipotesi che traducono l’informazione del paziente in probabilità di malattia. Partono invece da un’ipotesi diagnostica già acquisita, come rivelano i titoli, per esempio34 (l’ipotesi è sottolineata): Does this man with lower urinary tract symptoms have bladder outlet obstruction?). La presentazione del paziente è ridotta e schematizzata in uno scenario breve e sommario. Il riduzionismo semplificativo è funzionale alla fase successiva di analisi dell’accuratezza di segni e test ma è del tutto differente e – in quanto dà poco spazio al paziente – forse diseducativo rispetto alla metodologia della diagnosi, di cui per confronto brevemente si ricordano i principi35.

La diagnosi nasce dall’esigenza di acquisire da un paziente un’informazione che consenta di predire che cosa potrà accadergli (la prognosi) e di decidere una cura appropriata (la terapia)36. Molta parte della expertise consiste nella capacità di raccogliere questa informazione37, e l’omissione di questo passaggio a favore della ricerca sistematica delle evidenze dalla letteratura come inizio e base del processo diagnostico è un errore altrettanto sistematico. L’informazione raccolta si confronta con la presenza in memoria di uno o più casi simili osservati in precedenza (illness script) o, nel giovane, dallo studio dei trattati, fino a trovare una somiglianza sufficiente per allocare il nuovo paziente in una casella diagnostica. È un processo che si risolve con l’uno o l’altro di due modelli di pensiero38,39: nel primo modello la diagnosi è rapida e senza sforzo (pattern recognition, basato su somiglianze sensoriali, o non analitico, da informazioni cliniche semplici); nel secondo modello la diagnosi richiede un processo lento e difficile, per esempio se il paziente ha una malattia non familiare al medico o una presentazione clinica atipica. Nel secondo modello – a volte dopo un’iniziale diagnosi rapida che si rivela sbagliata40 –, il processo procede attraverso ipotesi alternative via via scartate fino a una diagnosi finale, somigliando a un giallo ben costruito41.

Concludendo

L’analisi della EBM riassunta nelle pagine precedenti è sommaria e incompleta. Per esempio, per ragioni di tempo si è trascurato lo sviluppo in EBM del rapporto fra medico e paziente, che non si esaurisce nei diritti e nelle preferenze del paziente. Accanto all’efficacia, la medicina ha una funzione di sostegno morale a una persona che ha una malattia a prognosi grave o incerta, e ne soffre le conseguenze emozionali42. È una sofferenza che è alla radice della medicina narrativa43, e che è raccontata nella descrizione insuperata della Morte di Ivan Ilicˇ da Lev Tolstoj.

L’EBM è un movimento di enorme importanza nella medicina attuale, e come tale ha ricevuto accoglienze entusiastiche, e critiche notevoli, per inciso neppure citate da Greenhalgh et al.44-48. A chiusura di quest’articolo ricordiamo, non tanto i guadagni dell’EBM già ben descritti da tanti esperti e canonizzati dall’etichetta “evidence-based” ubiquitaria nella letteratura medica, quanto i due punti deboli che ci sembra di identificare: il mancato approfondimento di che cos’è la expertise e l’insufficiente spazio dato alla diagnosi.

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