Cinema e medicina

a cura di Luciano De Fiore

Revenant: l’uomo e/è l’orso

Probabilmente, Leonardo Di Caprio vincerà il suo primo Oscar anche grazie all’orsa grizzly che, in Revenant. Redivivo (in originale, The Revenant) di Alejandro Iñárritu, all’inizio del film infligge ferite gravissime al suo personaggio, il cacciatore di castori Hugh Glass, realmente esistito ai primi dell’Ottocento.

Sopravvissuto poco prima all’agguato dei pellerossa Arikara, il compito di vendicare l’intrusione dei bianchi sembra assumerselo la natura stessa, per mano dell’orsa. Ma la natura medesima mostra a Hugh anche il proprio volto benigno, perché la pesante pelliccia dell’orsa gli consentirà di sopravvivere, nonostante il gelo invernale delle Montagne Rocciose. Una pelliccia che lo rende simile e lo accomuna all’animale, del quale condivide tanto l’istinto di protezione nei confronti dei piccoli (anche Hugh ha un figlio, nato dal matrimonio con una pellerossa Pawnee), quanto la pulsionalità.

L’orsa non sarà l’unico animale a svolgere un ruolo salvifico: anche un salmone, divorato crudo in un sashimi ante litteram, come il fegato ancora palpitante di un bisonte, un cavallo che prima gli consentirà una fuga decisiva e la cui carcassa poi lo ospiterà per una notte, riparandolo dal gelo. Insomma, la natura prende e impone il proprio, ma restituisce molto, se la si rispetta.

Eppure, l’orsa che lo assale nella foresta per proteggere i cuccioli (figura 1) avrebbe potuto porre fine ai giorni di Hugh. Per quanto il cinema, rappresentando più volte l’attacco di un orso ad un uomo, abbia lasciato prevalere il più delle volte quest’ultimo. Basti pensare a Corvo rosso non avrai il mio scalpo (Sidney Pollack, 1971), il cui protagonista – Jeremiah Johnson, nel film Robert Redford – è anch’egli un cacciatore, e la cui storia ricalca quella del vero Liver-Eating Johnson, per la leggenda che voleva mangiasse fegato crudo, proprio come è costretto a fare anche Hugh. Quando, nel film di Pollack, Johnson si vanta di essere in grado di sopraffare ogni animale, il vecchio amico trapper gli “recapita” un orso grizzly vivo nella capanna, perché Johnson lo possa scuoiare. E Jeremiah lo fa.

Insomma, anche l’orso è entrato a far parte di quella schiera di animali assassini (uccelli, orche, anaconda, alligatori, ragni, piranhas e dinosauri, tra gli altri) che hanno dato vita ad un genere vero e proprio, l’animal attack movie, incoronato dal successo de Lo squalo di Spielberg (1975). Tra di essi, spiccava già Man in the Wilderness (Uomo bianco, va col tuo dio!, di Richard Sarafian), prima versione cinematografica della storia di Hugh Glass, interpretata da Richard Harris. Come scrisse all’epoca il New York Times, «all we got out of this ode to the pioneer spirit was one thing: never tango with a grizzly». Lezione introiettata un po’ da tutti, fino al malinconico Grizzly Man, di Werner Herzog (2005).




Eh sì, perché nella realtà l’orso bruno – in particolare la sottospecie grizzly (cioè l’orso grigio americano, Ursus horribilis) – è un animale davvero notevole: alto un metro al garrese, se si alza sulle posteriori raggiunge i due metri e mezzo. Le fauci sono larghe 30 centimetri, con 4 canini di 5 cm. Una femmina adulta, come quella che nel film attacca Glass, pesa circa 230 chili, mentre un maschio supera spesso i 350. Pur appartenendo all’ordine dei carnivori, il grizzly è onnivoro. La carne rientra comunque appieno nella sua dieta: gli orsi grigi dei grandi parchi americani, come Yellowstone, predano circa il 50% dei piccoli di alce nati ogni anno.

Ma cosa accade, realmente, se un grizzly aggredisce un uomo? Gli attacchi sono rari. Dal 2010 al 2015 negli Stati Uniti sono state uccise 11 persone da orsi grigi, quasi sempre da orse impegnate a proteggere i cuccioli1. In caso di scontro, le conseguenze sono solitamente molto gravi, a causa dei morsi e degli artigli, lunghi 10 cm. Il morso di un grizzly sviluppa una forza di 8.000.000 pascals, sufficiente a frantumare una palla da bowling. Per di più, gli attacchi di un orso bruno tendono a verificarsi improvvisamente, senza apparente provocazione, come ben sapeva il fotografo Jim Cole, scampato due volte agli attacchi di grizzly (figura 2)2. La più ampia letteratura sugli attacchi di orsi ad umani, specie sul tipo di lesioni provocate3, si deve però a ricercatori asiatici, in particolare indiani, dato che gli incidenti tra plantigradi e umani sono molto più frequenti in India che in Nord America4.

Nel film di Iñárritu, Glass lotta con l’orsa (in un mix di riprese di un vero orso e di un attore travestito da orso), prima sparandole una fucilata e poi finendola a coltellate in un corpo a corpo, esattamente come in chiusura del film gli accadrà nel confronto col nemico vero, umano, cioè l’ex compagno Fitzgerald (Tom Hardy). Nella lotta con l’orsa, Hugh riporta lesioni gravissime e una gamba spezzata. Le impressionanti ferite fisiche – progettate dal makeup artist Siân Grigg e dall’esperto di protesi Duncan Jarman (entrambi in nomination per l’Oscar) – dovevano poter essere riprodotte di nuovo e in modo diverso ad ogni giorno di riprese, in modo da riflettere il processo di guarigione. I tagli dovevano essere in grado di sanguinare e di esser ricuciti e chiusi con ago e filo ad ogni ciak. Per creare le lesioni più gravi sono state usate protesi in silicone, alcune delle quali provviste di peli inseriti uno ad uno, per assomigliare il più possibile alla vera pelle.




L’altro genere di ferite sofferte da Hugh sembra invece non rimarginabile: la sofferenza morale, il lutto di chi sopravvive alla sposa ed al figlio uccisi, sembrano irrimediabili. Glass non vuole vendicarsi per esser stato abbandonato, ma perché Fitzgerald gli ha ucciso il figlio. Ed è per questo che il titolo italiano del film è sbagliato: revenant non significa in questo caso redivivo, ma – con Freud – tutto quel che si è perduto e che ritorna, il fantasma che ci interpella e che vorremmo ricacciare indietro. Se, come Freud si chiede nell’Interpretazione dei sogni, «l’aver figli non è forse per tutti noi l’unico accesso all’immortalità?», l’uccisione del figlio di Hugh segna per lui il lutto mai finito, la ferita che non potrà esser rimarginata neppure dalla vendetta, per quanto il francesismo revenant ammicchi all’inglese revenge. Ha ragione, Fitzgerald morente, a ricordare a Glass che nessuna vendetta gli restituirà vivo il figlio. Glass dunque non è tanto un redivivo, quanto un morto che ritorna.

Dopo Birdman, il regista messicano si è cimentato in un genere lontano dalle sue corde consuete. Resta la domanda: The Revenant, per quanto curato nei particolari, ben interpretato e ben fotografato, è un film riuscito, o è l’ennesima rappresentazione dell’eterno conflitto tra natura e (in)civiltà, tra l’originario inteso come bene e l’artificiale come male? Forse, se si tiene conto dell’autentico significato di revenant, il film svela una sua più intima complessità.

Bibliografia

1. https://en.wikipedia.org/wiki/List_of_fatal_bear_attacks_in_North_America

2. Herrero S. Human injury inflicted by grizzly bears. Science 1970; 170: 593-8.

3. Floyd T. Bear-inflicted human injury and fatality. Wilderness Environ Med 1999; 10: 75-87.

4. Patil SB, Mody NB, Kale SM, Ingole SD. A review of 48 patients after bear attacks in Central India: Demographics, management and outcomes. Indian J Plast Surg 2015; 48: 60-5.