I probiotici

Lucio Capurso1

1Primario Emerito di Gastroenterologia.

Pervenuto su invito il 15 marzo 2016.

Riassunto. Sulla base della letteratura disponibile, che include trial ben disegnati, revisioni sistematiche e meta-analisi, sono stati definiti alcuni effetti benefici dei probiotici come classe generale. È però indispensabile che ogni prodotto, e perciò ogni ceppo, probiotico abbia evidenze sufficienti per supportare i benefici che gli sono attribuiti. Vi è inoltre necessità di una maggiore chiarezza nella comunicazione sui dati raccolti al consumatore e, ancora di più, alle autorità regolatorie.

Parole chiave. Bifidobacteria, disbiosi, Lactobacilli, meccanismi d’azione.

Probiotics.

Summary. On the basis of the currently available literature, which includes well-designed clinical trials, systematic reviews and meta-analyses, certain effects can be ascribed to probiotics as a general class. It is accepted that sufficient evidence has accumulated to support the concept of benefits of certain probiotics; it is reasonable to expect that evidence gained from a defined class of live microbes might be appropriate for certain, but not all, health outcomes. Moreover there is a need for clear communication to consumers and health-care providers of the activity of differentiate probiotic products.

Key words. Bifidobacteria, dysbiosis, Lactobacilli, mechanisms of action.

Introduzione

La denominazione “fermento lattico” (“lactic acid bacteria” del mondo anglosassone) è stata tradizionalmente usata per identificare i batteri produttori di acido lattico come risultato finale del catabolismo fermentativo degli zuccheri. Il termine “lattico” è quindi da riferirsi all’acido prodotto e non al substrato utilizzato. La convinzione che i fermenti lattici possano produrre un effetto benefico e curare alcune malattie ha portato allo sviluppo dei probiotici. Storicamente i batteri lattici sono stati utilizzati per preservare il latte in cui si trovano spontaneamente e per facilitarne la digeribilità. Il latte fermentato fu anche utilizzato per curare la diarrea: secondo una leggenda, il re di Francia Enrico I fu guarito da questo disturbo con lo yogurt turco1. In Europa lo yogurt fu lanciato sul mercato a Parigi nel 1906 da Elia Metchnikoff, mentre negli anni ’30 prodotti contenenti Lactobacillus acidophilus e Lactobacillus casei Shirota (dal nome del suo scopritore) furono lanciati rispettivamente negli USA e in Giappone.

All’inizio del XX secolo Elia Metchinkoff2 ipotizzava che la presenza di batteri nell’intestino potesse influenzare positivamente la salute e la longevità dell’uomo: era infatti convinto che la flora batterica fosse responsabile sia della produzione di tossine sia del controllo dell’autointossicazione. La prova empirica della correttezza delle sue ipotesi gli proveniva dall’osservazione epidemiologica della longevità delle popolazioni balcaniche che consumavano yogurt in grandi quantità. Metchnikoff scriveva: «Poiché la fermentazione lattica è così utile nell’arrestare i fenomeni putrefattivi in generale, perché non utilizzarla allo stesso scopo nel tubo digerente?». E ancora: «Coloro che non conoscono questi problemi potrebbero essere sorpresi dalla raccomandazione di ingerire grandi quantità di microbi, visto che è convinzione comune che i microbi siano pericolosi. Questa ipotesi è errata. Vi sono molti microbi utili, e fra di essi i lattobacilli hanno una onorevole posizione». Nello stesso Istituto Pasteur si aveva la conferma di questa teoria da parte di Henry Tissier3, che identificò nell’intestino di neonati sani batteri a forma di bastoncino o a Y, i Bifidobacteria, che erano invece pressoché assenti in neonati con diarrea. Ne derivò l’ipotesi che la loro presenza potesse essere in qualche modo causa dello stato di salute degli infanti. In realtà, l’ipotesi di Metchinkoff e di Tissier appare oggi corretta, se si considera che, durante la vita di un uomo, circa 60 tonnellate di cibo attraversano il tubo digerente, interferendo con il microbiota intestinale.

La parola “probiotico” è stata usata per la prima volta da Lilley e Stillwell nel 19654 per descrivere sostanze secrete da un batterio che stimolano l’accrescimento di un altro batterio, con un’attività perciò opposta a quella di antibiotico. Nel 1971 Sperti5 la usò per descrivere estratti tissutali in grado di stimolare l’accrescimento microbico. Solo da Parker6, nel 1974, il termine “probiotico” fu usato per identificare un supplemento dietetico di origine microbica con la dizione «organismi e sostanze che contribuiscono al bilancio microbico intestinale». Fuller nel 19897 la modificò in «integratore alimentare contenente microbi vivi che ha affetto benefico sull’ospite migliorando il suo bilancio microbico intestinale». Quest’ultima modifica rimuove la parola “sostanze” che avrebbe potuto includere anche gli antibiotici e stressa la vitalità dei microbi.

La definizione oggi internazionalmente accettata di “probiotico” è quella enunciata nel 2001 dalla FAO e dalla WHO: «Live microorganisms which when administered in adequate amounts confer a health benefit on the host»8,9; in altre parole, il termine “probiotico” si riferisce a una funzione e non a un’unità tassonomica. In Italia, il Ministero della Salute10 ha definito i probiotici «microrganismi che si dimostrano in grado, una volta ingeriti in adeguate quantità, di esercitare funzioni benefiche per l’organismo».

Negli USA, i probiotici sono disponibili come integratori alimentari e non possono essere utilizzati per “curare” una patologia. In Europa è accettato che i probiotici abbiano “claim” per la salute, che devono però essere supportati da trial ben condotti in popolazioni selezionate o in volontari sani. La European Food Safety Authority (EFSA) ha peraltro respinto più dell’80% dei claim sottoposti11,12, per insufficiente dimostrazione scientifica. È necessario ricordare che i probiotici possono essere utilizzati come alimento (qualsiasi sostanza o prodotto processato, parzialmente processato o non processato che sia in grado di essere utilizzato dall’uomo), farmaco (qualsiasi sostanza, diversa da un alimento, in grado di influenzare la struttura o la funzione del corpo) bioterapeutico (preparato contenente microrganismi vivi con effetto terapeutico nell’uomo). Comunque, alla base dell’attività dei probiotici è la loro capacità di interagire con le cellule epiteliali intestinali dell’ospite e con altre cellule umane attraverso meccanismi fisico-chimici o segnali immuni simili a quelli del microbiota commensale.

L’utilizzo sempre più diffuso delle tecniche di metagenomica dovrebbe aiutare nel futuro a stabilire con più chiarezza il ruolo dei probiotici, in particolare nella definizione di microbiota “normale”, e quindi della possibilità di una sua ristorazione. Infatti, la disbiosi è il principale bersaglio per l’uso dei probiotici, grazie a una grande varietà di meccanismi ben documentati che vanno dal blocco dei siti di adesione dei patogeni, alla loro distruzione da parte delle batteriocine o delle proteasi, alla regolazione del sistema immune. Anche se la clinica supporta l’efficacia di alcuni ceppi di probiotici, non è sempre evidente il legame fra questi meccanismi d’azione con specifici claim. È anche necessario definire le caratteristiche e i criteri necessari per la produzione industriale di un ceppo probiotico sia che esso debba essere utilizzato come alimento, farmaco o bioterapeutico.

La tabella 1 riporta i criteri necessari per l’utilizzo a livello industriale di un ceppo come probiotico.

In generale, i microrganismi utilizzati hanno una lunga storia di uso sicuro e sono riferiti come Generally Recognized As Safe (GRAS); devono essere di origine umana, vivi, resistenti al pH acido dello stomaco e a quello alcalino della bile e dell’intestino tenue, capaci di aderire alla mucosa collocandosi fra altri batteri vivi (il microbiota) e di esercitare attività metabolica.

È inoltre necessaria l’identificazione a livello di ceppo sia per motivi di sicurezza sia per il tipo di azione. La specie deve essere identificata mediante la determinazione della sequenza nucleotidica del DNA che codifica per il 16S RNA, mentre il ceppo deve essere caratterizzato mediante il profilo di macro-restrizione del cromosoma determinato mediante elettroforesi in campo pulsato (pulsed field gel electrophoresis - PFGE).

Viene inoltre raccomandato il deposito in una collezione internazionale di ceppi. Le principali specie utilizzate come probiotici sono riportate nella tabella 2.







Tuttavia, le differenze filogenetiche sono estremamente ampie fra Lactobacilli e Bifidobacteria, che appartengono a fila diversi, ma lo sono anche fra i Lactobacilli come L. acidophilus, L. fermentum, L. reuteri e L. plantarum. Anche fra ceppi diversi della stessa specie ci può essere considerevole differenza genomica: due ceppi si possono considerare della stessa specie se hanno un rapporto relativo di legame DNA: DNA del 70% di omologia dei genomi. Queste differenze devono fare presumere che la risposta nell’uomo sia diversa, fatto che non è sempre tenuto in considerazione ed è spesso trascurato nella presentazione dei dati di probiotici di ceppo diverso.

Le specie microbiche utilizzate devono quindi rispettare le seguenti caratteristiche:

essere sicure per l’impiego umano (riferimento ai criteri emanati dall’EFSA);

non essere portatrici di antibiotico-resistenze acquisite e/o trasmissibili;

essere attive e vitali a livello intestinale in quantità tale da giustificare gli eventuali effetti benefici;

essere in grado di aderire alla mucosa intestinale, persistere e moltiplicarsi;

essere in grado di conferire un beneficio fisiologico;

essere correttamente identificate in etichetta in accordo con le denominazioni validate da organismi internazionali.

Meccanismi d’azione

Il razionale d’uso dei probiotici si basa sul microbial interference treatment (MIT)13, atto a favorire il mantenimento di un microbiota equilibrato, ostacolando in tal modo i microrganismi patogeni ed essendo capaci di inviare segnali alle cellule epiteliali intestinali (CEI) e ai macrofagi. Una recente revisione sintetica14 ha analizzato questo aspetto e in particolare sono da considerare le seguenti attività.

Induzione di heat shock protein citoprotettive

Le CEI quando vengono a contatto con stress termici, osmotici, ossidativi azionano un sistema di “tolleranza” basato su l’induzione delle heat shock protein (hsp) cellulari che includono la hsp25, che stabilizza l’actina, e la hsp72, che previene la denaturazione cellulare, mantenendo efficienti le tight junction fra le CEI, promuovendo la funzione della barriera mucosa.

Modulazione dei sistemi di segnalazione infiammatori nelle CEI

Le CEI sono munite di sistemi di segnalazione chiave per l’attivazione della risposta immune a una varietà di stimoli:

NFκB (nuclear factor kappa-light-chain-enhancer of activated B cells): complesso proteico funzionante come fattore di trascrizione, presente nella sua forma inattiva nel citoplasma, legato alla molecola inibitoria IκB. Quando pervengono gli stimoli pro-infiammatori, IκB è fosforilato da IKK, complesso di enzimi coinvolto nella propagazione della risposta cellulare all’infiammazione, che permette a NFκB di migrare dal citoplasma al nucleo e attivare la trascrizione dei geni effettori. Alcuni probiotici, come LGG ATCC 53103, modulano la degradazione di IκBα attraverso la generazione di specie reattive all’ossigeno (reactive oxygen species - ROS). Altri probiotici stimolano NFκB a incrementare la secrezione di citochine: Bifidobacterium lactis BB12 può indurre l’attivazione di RelA, una subunità trascrizionalmente attiva di NFκB, per incrementare la produzione di IL-6; Lactobacillus plantarum inibisce l’attività di NFκB e la degradazione di IκB in vitro; Bifidobacterium lactis BB12 può indurre l’attivazione di RelA, una subunità trascrizionalmente attiva di NFκB, per incrementare la produzione di IL-6; Lactobacillus plantarum inibisce l’attività di NFκB e la degradazione di IκB in vitro; Bacteroides thetaiotaomicron e E. coli 0157:H7 diminuiscono l’attività infiammatoria di NFκB attraverso un’aumentata produzione di RelA e di IL-8 grazie a un segnale PPARγ-dipendente.

PPAR-γ (peroxisome proliferator-activated receptor gamma): è un recettore nucleare di tipo II presente prevalentemente nel tessuto adiposo, nel colon e nei macrofagi, che può regolare l’infiammazione intestinale e l’omeostasi. PPARγ essendo ridotto nelle CEI di pazienti con malattie infiammatorie intestinali (IBD) può avere un ruolo nell’attenuare la colite inibendo l’attività di NFκB: il trattamento con ceppi specifici di probiotici può aumentare l’espressione di PPARγ e migliorare quindi l’infiammazione. Lactobacillus crispatus M247 usa il perossido di idrogeno come segnale-trasduttore molecolare per incrementare l’attivazione di PPARγ .

ERK (extracellular-signal-regulated kinases): sono molecole di segnalazione secrete da una cellula nella matrice extracellulare al fine di trasmettere un segnale a una cellula bersaglio che si trova a una distanza variabile di molecole di segnalazione, in base ai recettori che esprime sulla superficie o nel citoplasma.

JNK (c-Jun N-terminal kinases): appartengono alla famiglia delle MAPK (mitogen-activated protein kinase) e rispondono a stimoli stressanti come citochine, irradiazione ultravioletta, calore, shock osmotico.

SOCS (suppressor of cytokine signaling): è una proteina regolatrice con feedback negativo sul segnale delle citochine.

STAT (signal transducer and activator of transcription): mediano molti aspetti dell’immunità cellulare, proliferazione, apoptosi e differenziazione.

Regolazione dell’apoptosi

Alcuni probiotici possono regolare l’apoptosi delle CEI rappresentando un’utile strategia per il controllo delle infezioni intestinali:

Lactobacillus rhamnosus GG ATCC 53103 può attivare una proteina Akt kinasi B anti-apoptotica e inibire una p38 MAPK pro-apoptotica in CEI stimolate con TNF-α, IL-1α- o IFNγ. Altri esperimenti indicano che LGG produce due proteine, p75 e p40, che promuovono la proliferazione cellulare e attivano in maniera dipendente la Akt anti-apoptotica.

Saccharomyces boulardii previene l’apoptosi indotta per attivazione della caspasi-3 nelle infezioni da EPEC (Enteropathogenic Escherichia Coli).

Produzione di batteriocine

I probiotici producono peptidi ad attività antibiotica denominate “batteriocine” in grado di contrastare alcuni patogeni.

Le batteriocine possono essere classificate in 4 gruppi sulla base della loro massa molecolare, termo-stabilità, sensibilità enzimatica, presenza di aminoacidi modificati e modalità di azione.

1. Batteriocine classe I: piccoli peptidi inibitori, includono nisina e altri lantibiotici.

2. Batteriocine classe II: peptidi stabili al calore con massa molecolare <10 kDa.

3. Batteriocine classe III: antibiotici peptidici labili al calore e massa molecolare >30 kDa.

4. Batteriocine classe IV: glicoproteine o lipoproteine.

Esempi specifici del modo in cui i probiotici utilizzano i loro meccanismi d’azione sono riportati nella tabella 3.







La reale efficacia di questi meccanismi di interferenza con l’ospite devono essere verificati in trial clinici. È però necessario ricordare che il numero degli articoli scientifici sull’uso dei probiotici in campo medico è in crescita costante, ma la loro qualità è molto eterogenea. Studi condotti in maniera non corretta possono dare origine ad allarmismi ingiustificati. Secondo un panel di esperti38,39, i ricercatori dei trial per dimostrare vantaggi per la salute di un probiotico devono:

1. Prima di iniziare lo studio, formulare sempre un’ipotesi precisa e concreta con parametri ed end-point appropriati discriminando fra un trial disegnato per testare un’ipotesi e uno per sostanziare un definito vantaggio per la salute. Gli end point devono essere facilmente quantificabili, come per esempio la normalizzazione dell’alvo e il tempo necessario per ottenerla nei soggetti con diarrea, o la diminuzione ecografica del grasso nel fegato in soggetti con steatosi o il dosaggio di parametri laboratoristici di facile esecuzione come la proteina C-reattiva.

2. Utilizzare una dose disponibile in prodotti commerciali.

3. Garantire un sample size sufficiente, tale da assicurare una potenza adeguata al raggiungimento della significatività statistica, supportando o respingendo l’ipotesti enunciata a priori, tenendo in considerazione gli aggiustamenti necessari per i test multipli.

4. Assicurare un’appropriata durata del trial per raggiungere gli end point previsti.

5. Arruolare volontari, se necessari, che riflettano la popolazione generale (per es., età, sesso, BMI).

6. Caratterizzare il prodotto probiotico, includendo dimostrazioni della sua vitalità e delle sue caratteristiche biologiche e genetiche all’inizio e al termine dello studio.

L’utilizzo di end point chiaramente definiti e possibilmente riproducibili è inoltre di fondamentale importanza per sottoporre alle autorità regolatorie il riconoscimento di claim definiti.

In realtà, c’è un continuo incremento di pubblicazioni sull’argomento, come evidenziato da GoPubMed che ne riporta 12.950 dal 1970 al 2015 per il tema “Probiotics” e 2603 per “Clinical Trials and Probiotic”.

La tabella 4 riporta le Revisioni Cochrane su malattie digestive e probiotici.

La validità di questi studi è in genere limitata dalle differenze fra i ceppi utilizzati, dai dosaggi non confrontabili e dalla diversa stabilità, elementi che non permettono di confrontarli con la stessa metodologia che si usa per confrontare i farmaci. Di conseguenza, i risultati sono eterogenei riguardo la durata, i ceppi o la loro combinazione e gli esiti clinici.










Verso il 2020: postbiotici, metabiotici, paraprobiotici e probiotici ingegnerizzati

Spesso i probiotici possono essere inefficaci. I motivi per una mancata risposta terapeutica a un trattamento con probiotici della disbiosi possono essere58:

bersaglio sbagliato;

probiotico sbagliato o non efficace come sperato;

somministrazione in un momento sbagliato;

età e situazione nutrizionale del paziente.

In realtà, uno dei maggiori problemi nello sviluppo di probiotici efficaci è la limitata quantità di informazioni sul microbiota intestinale e sui prodotti del metabolismo batterico sia nella situazione di salute sia nelle malattie. Sono attualmente oggetto di ricerca diverse possibilità per superare queste difficoltà:

1. Ricostruzioni metaboliche basate prevalentemente sulla generazione dell’inferenza dei geni sulle proteine che legano i geni a singole categorie funzionali, al di là della mappa genotipo-fenotipo. Si ottengono in tal modo modelli di rappresentazioni matematiche del metabolismo a livello del genoma (genome-scale metabolic models - GEM) che vengono utilizzati come potenti strumenti per lo studio del metabolismo microbico in rapporto alla salute dell’ospite59,60. Con questa metodica sono state definite le caratteristiche dei postbiotici, ovvero di qualsiasi molecola o attività metabolica prodotta dal metabolismo dei probiotici capace di conferire effetti benefici all’ospite. Con la GEM è possibile infatti esplorare la biosintesi di postbiotici attivi che permettono di migliorare e disegnare meglio le caratteristiche di futuri probiotici utilizzando l’ingegneria genetica. Postbiotici purificati sono stati proposti come alternative sicure per applicazioni cliniche come le malattie infiammatorie croniche intestinali61.

2. Selezione di sostanze bioattive, i “metabiotici”, come componenti strutturali dei probiotici e/o loro metaboliti e/o molecole di segnalazione con struttura chimica determinata ed esatta facilmente dosabile62.

3. Cellule o frazioni di cellule microbiche inattivate, i “paraprobiotici”, capaci di generare una risposta biologica influenzando in particolare la risposta immune dell’ospite63,64. Si riducono in tal modo drasticamente i problemi dell’emivita del ceppo e dell’infezione del consumatore per traslocazione batterica.

4. Creazione di nuovi “probiotici ingegnerizzati” mediante la tecnologia del DNA ricombinante che permette di manipolare i batteri facendogli esprimere geni che rispondano alle esigenze specifiche. Esempi sono quelli di E. coli non patogeno che esprime proteine di superficie che legano e neutralizzano la tossina del colera e del ceppo modificato di Lactococcus lactis, ingegnerizzato a overprodurre IL-1065.

Conclusioni

I probiotici hanno un’antica tradizione nel miglioramento dello stato nutrizionale e del benessere, ma anche per curare alcune malattie. Un uso più preciso, però, del termine “probiotico” sarebbe sicuramente utile per guidare i clinici e i consumatori a una loro più corretta utilizzazione.

Oggi si delineano nuove indicazioni basate sulle migliori conoscenze del microbiota intestinale e su forti evidenze scientifiche derivate da numerosi trial clinici di buona qualità.

Si valuta che negli USA nel 2014 l’1,6% degli adulti (3,9 milioni) e lo 0,5% dei bambini (294.000) abbiano utilizzato probiotici66. Gli alimenti contenenti probiotici rappresentano il 90,1% del totale delle vendite per $ 28,1 billioni nel 2015 con un CAGR (Compound Annual Growth Rate) del 7,5%. Gli integratori rappresentano il 6,4% delle vendite totali per $ 2,07 billioni e un CAGR del 9,6%.

Il mercato europeo, dopo alcuni anni con un incremento del 5% per il settore degli alimenti, ha visto una diminuzione del 5% nel 2012 e dell’8% nel 2013 e si prevede un’ulteriore perdita del 9% fra il 2013 e il 2018. Questa situazione è conseguente alla mancanza di una definizione europea dei termini “batteri probiotici” e “probiotici” che ha influito negativamente sulla Health Claims Regulation (HCR): in più di 400 applicazioni sottomesse all’EFSA, nessun probiotico ha avuto esito favorevole. Inoltre, dal 14 dicembre 2012 non è più permesso in Europa l’uso del termine. Ci sono in effetti sul mercato, specie su quello degli integratori, moltissimi prodotti che spesso non rispettano i criteri minimi, come la definizione del ceppo, un’appropriata conta dei batteri vivi contenuti e della loro emivita e l’evidenza di una loro efficacia.

La International Scientific Association for Probiotics and Prebiotics ha recentemente pubblicato un consensus su questi aspetti, richiamando l’attenzione sul fatto che i diversi attori interessati devono avere un ruolo nella definizione dei probiotici67:

i ricercatori devono generare dati di alta qualità che possano avere un impatto positivo sulla salute;

l’industria deve chiedere e utilizzare prodotti di alta qualità e che garantiscano margini di guadagno con claim validati e comprensibili;

le autorità regolatorie devono proteggere i consumatori;

i consumatori devono pretendere informazioni credibili per prendere decisioni informate.

Conflitto di interessi: l’autore dichiara l’assenza di conflitto di interessi.

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