Per una gastroenterologia basata sulle evidenze:
ritorno al futuro

Maurizio Koch1 Per l’Evidence-Based Gastroenterology & Hepatology Renaissance Group

1Guest Editor; Unità Complessa di Gastroenterologia ed Epatologia, Ospedale San Filippo Neri, Roma; Club for Evidence-Based Gastroenterology & Hepatology (EBGH.it).

Pervenuto il 25 ottobre 2017.

Riassunto. L’evidence-based medicine continua a dimostrare la sua esistenza in vita grazie alla pubblicazione di articoli che focalizzano l’attenzione sulla disseminazione delle prove. La valutazione dell’accuratezza dei test diagnostici appare ancora fortemente carente, ed è tuttora causa di errate decisioni cliniche. Anche i gastroenterologi sono chiamati a confrontarsi con una sempre maggiore disponibilità di esami complessi e costosi e a discernerne l’utilizzo e l’interpretazione. È opportuno dunque identificare strumenti che aiutino gli specialisti nella valutazione dei dati disponibili in letteratura, tra i quali si pongono i corsi residenziali della Evidence-based Gastroenterology & Hepatology, cui hanno partecipato centinaia di allievi negli ultimi anni.

Promoting evidence-based gastroenterology: back to the future.

Summary. Evidence-based medicine continues to thrive thanks to the publication of a considerable amount of papers focusing on data collection and sharing. Assessment of the accuracy of diagnostic tests still remains highly deficient, often leading to inappropriate clinical decision-making. Like most other doctors, gastroenterologists as well have to face the ever-growing availability of complex and expensive exams, being charged with the task of choosing the best diagnostic option and interpreting test results. It is therefore advisable to provide specialists with the tools they need to evaluate the available literature data. Among these, it deserves mentioning the residential courses organized by the Evidence-based Gastroenterology & Hepatology Club, which have been attended by hundreds of participants over the last years.

Il 21 gennaio 2016, giovani medici hanno manifestato nei loro camici, nonostante il freddo, scendendo lungo Whitehall, per arrivare al Department of ­Health e dal Segretario per la Salute Jeremy Hunt. Portavano un enorme poster con la copertina del libro di Trisha Greenhalgh “How to read a paper”, una pietra miliare della evidence-based medicine (EBM) (figura 1). Trisha Greenhalgh, Professor of Primary Care Health Sciences presso l’Università di Oxford, ha sostenuto l’iniziativa. La manifestazione è avvenuta dopo l’accusa che 59 tra i migliori “stroke leaders” britannici avevano rivolto al Segretario Hunt di manipolare le statistiche sulla mortalità per ictus negli ospedali del Servizio Nazionale (NHS).




I manifestanti e i docenti hanno preteso delle scuse per la dichiarazione del Segretario sull’aumento della mortalità per ictus del 20% (durante i weekend): essi ritengono che il rischio non corrisponda alla realtà, poiché le nuove procedure del NHS lo hanno già ridotto di almeno un quarto.

È sorprendente questo brusco richiamo pubblico alla EBM.

Nel 2014 Greenhalgh et al.1 pubblicarono un articolo fondamentale in favore del rilancio della EBM. Gli autori presentarono un’agenda preliminare per la rinascita del movimento, focalizzando l’attenzione sulla disseminazione delle prove (evidence), al fine di avviare il singolo paziente alle migliori procedure diagnostiche e terapeutiche.

Una recente revisione sistematica2 ha dimostrato una clamorosa sopravvalutazione dei benefici e una sottovalutazione dei rischi da parte del clinico per una serie di procedure diagnostiche e terapeutiche. Tra di esse vi erano l’uso delle terapie ormonali sostitutive, la terapia del cancro della prostata, l’uso degli anticoagulanti, l’uso delle statine, il rischio di emorragia gastrointestinale da FANS, il danno radiologico e il rischio della scintigrafia cardiaca, il vantaggio dello screening per il cancro del colon e della mammografia. Nella revisione dei 48 studi (per un totale di 13.011 medici intervistati), i clinici stimavano correttamente soltanto il 13% tra i 69 eventi negativi possibili, e solo l’11% dei benefici attesi in 28 contesti. La maggior parte dei partecipanti sovrastimava i benefici per il 32% degli esiti, e sottostimava i rischi per il 34% delle situazioni cliniche.




La valutazione dell’accuratezza dei test di diagnosi o di screening appare ancora fortemente carente, ed è causa tuttora dell’eccesso di richieste e di errate decisioni cliniche. Nel 1978, Casscells et al.3 hanno pubblicato un piccolo ma importante studio sul valore predittivo positivo (VPP) dopo un test diagnostico: la maggioranza di medici e studenti sopravvalutava il VPP. Oggi l’interpretazione dei test di diagnosi appare ancora più rilevante per il costante aumento dell’accesso alle tecnologie. Lo studio è stato poi replicato di recente e pubblicato sul JAMA Internal Medicine4. È stata proposta la stessa domanda a medici e studenti: “qual è la probabilità che un paziente con un risultato positivo di un test abbia realmente la malattia, se la malattia ha una prevalenza di 1/1000 (0,001%) e il test un rischio di falsi positivi del 5%?”. Ancora, a distanza di 25 anni, la valutazione risultava corretta soltanto nelle risposte del 23% dei partecipanti, un risultato non significativamente diverso da quello dello studio di Casscells (18%). L’ultimo studio otteneva risposte sulla probabilità post-test di malattia tra lo 0,005 e il 96%, con una mediana del 66%. Essa è 33 volte superiore alla corretta risposta*. Nelle brevi spiegazioni allegate, i medici spesso non calcolavano l’effetto della prevalenza. Per esempio, un cardiologo scriveva: «il VPP non dipende dalla prevalenza», e un altro resident scriveva che «il VPP migliora con basse prevalenze di malattia».

I gastroenterologi e gli internisti sono in grado oggi di valutare test sempre più complessi? Conoscono indicazioni e accuratezza, per esempio, degli anticorpi sierici per la diagnosi delle malattie digestive autoimmuni5? I clinici di oggi saranno in grado di valutare i futuri test in arrivo? Saranno in grado di prescrivere correttamente test molto costosi e con ampia risonanza mediatica, come la biopsia liquida per lo screening del cancro6?

«Knowledge is the enemy of disease», diceva Sir Muir Gray, direttore del NHS National Knowledge Service. Sir Gray diceva anche che l’applicazione delle conoscenze avrà un impatto maggiore di ogni singolo farmaco o tecnica che possa in futuro essere introdotta. Tra le conoscenze appare necessario includere la capacità di valutare un test clinico, di identificare la letteratura rilevante per risolvere un problema clinico e di analizzare l’esito degli studi.

In realtà, sono almeno 8 le decisioni che l’internista e il gastroenterologo devono prendere ogni giorno, per le quali avrebbero bisogno della letteratura più aggiornata7. La stima è del 1985. Oggi i problemi cui rispondere giornalmente son molti di più8.

E la selezione di test e terapie deve anche confrontarsi con l’inappropriatezza. Sono molte le procedure mediche di cui si fa uso eccessivo, che non portano vantaggi al paziente o che fanno più danni che benefici. A elencare le dieci principali è uno studio pubblicato sul JAMA Internal Medicine, per la rubrica “Less is more”9.

Gli autori hanno analizzato oltre 2252 articoli pubblicati solo nel 2016 su procedure inappropriate. Nella lista compaiono l’ecocardiografia transesofagea per la diagnosi di stroke criptogenico; l’uso intensivo della TAC nei dipartimenti di emergenza, passato dal 2,2% al 9,4% in soli 10 anni, dal 2001 al 2010; il ridotto utilizzo del D-dimero e l’eccesso di angio-TAC nei pazienti con sospetta embolia polmonare; l’uso della TAC polmonare per pazienti con sintomi lievi, che li espone a radiazioni inutili; l’ecografia con ultrasuoni per lo studio della carotide dopo intervento di rivascolarizzazione, che viene usata con indicazioni incerte o inappropriate in oltre il 95% dei casi; il trattamento aggressivo del cancro “early stage” della prostata, che non comporta alcun guadagno in termini di mortalità, ma che eleva il rischio assoluto di incontinenza e di disfunzione erettile dal 10 al 30%; l’ossigeno somministrato a pazienti con broncopneumopatia cronico-ostruttiva, ma con moderata desaturazione; gli interventi sulle lacerazioni del menisco in corso di osteoartrosi del ginocchio; il supporto nutrizionale ai pazienti malnutriti ricoverati, che nel breve termine non può correggere il deficit.

È opportuno dunque cercare di diffondere gli strumenti di base per valutare il risultato di un test e l’esito di un trial o di una meta-analisi. Inoltre, sembra utile diffondere le ultime evidenze in gastroenterogia, endoscopia, epatologia e oncologia digestiva, che possano modificare l’approccio diagnostico e terapeutico, per colmare il vallo tra evidenze utili nascoste in letteratura e terapia del paziente. A tali scopi è nato 15 anni fa il laboratorio della Evidence-based Gastroenterology & Hepatology. Il laboratorio si basa su corsi residenziali. A essi hanno partecipato più di 1250 allievi, tra giovani e meno giovani gastroenterologi, internisti e chirurghi; la faculty ha visto lavorare insieme 55 docenti. I corsi sono stati distribuiti in streaming e sono accessibili sul portale EBGH.it. L’iniziativa è patrocinata da SIGE (Società Italiana di Gastroenterologia), da AISF (Associazione Italiana per lo Studio del Fegato) e da AISP (Associazione Italiana per lo Studio del Pancreas).

Tuttavia l’integrazione tra metodologi e clinici merita di essere migliorata ulteriormente. Ne è prova la recente discussione sui benefici dei nuovi agenti antivirali diretti (DAA) per la terapia dell’epatite C. Una recente revisione Cochrane10 ha concluso che non vi è sufficiente evidenza per confermare che la terapia con DAA abbia effetto sull’evoluzione in cirrosi, scompenso epatico o carcinoma epato-cellulare e sulla mortalità. Gli autori della revisione pubblicata ritengono che la risposta virale sostenuta (SVR) a 3 o 6 mesi dalla fine della terapia sia paragonabile ad un esito surrogato. Le conclusioni prescindono dalle evidenze accumulate negli scorsi anni con l’uso di regimi a base di interferone. La SVR, ancorché ottenuta con altri regimi terapeutici, comporta la riduzione di rischio della progressione in cirrosi, dello scompenso e dell’epatocarcinoma11.

È così tempo di allargare la platea al contributo di nuovi speaker: al nuovo Corso 2018 (18-20 gennaio) arrivano le forze della Associazione Liberati Network italiano Cochrane, della SIMI (Società Italiana di Medicina Interna), della Società Italiana di Health Technology Assessment (SIHTA) e della International Society for Pharmaeconomics and Outcomes Reseach (ISPOR, Italian Chapter).

Nello spirito di condividere evidenze e metodologia, Recenti Progressi in Medicina ospita in questo numero i contributi presentati in occasione dell’ultimo corso svolto a Torgiano (PG).

Conflitto di interessi: l’autore dichiara l’assenza di conflitto di interessi.

Bibliografia

1. Greenhalgh T, Howick J, Maskrey N, for the Evidence Based Medicine Renaissance Group. Evidence based medicine: a movement in crisis? BMJ 2014; 348: g3725.

2. Hoffmann TC, Del Mar C. Clinicians’ expectations of the benefits and harms of treatments, screening, and tests. A systematic review. JAMA Intern Med 2017; 177: 407-19.

3. Casscells W, Schoenberger A, Graboys TB. Interpretation by physicians of clinical laboratory results. N Engl J Med 1978; 299: 999-1001.

4. Manrai AK, Bhatia G, Strymish J, Kohane IS, Jain SH. Medicine’s uncomfortable relationship with math: calculating positive predictive value. JAMA Intern Med 2014; 174: 991-3.

5. Di Sabatino A, Biagia F, Lenzib M, et al. Clinical usefulness of serum antibodies as biomarkers of gastrointestinal and liver diseases. Dig Liver Dis 2017; 49: 947-56.

6. Chan KCA, Woo JKS, King A, et al. Analysis of plasma Epstein-Barr virus DNA to screen for nasopharyngeal cancer. N Engl J Med 2017; 377: 514-22.

7. Covell DG, Uman GC, Manning PR. Information needs in office practice: are they being met? Ann Intern Med ١٩٨٥; 103: 596-9.

8. Brassil E, Gunn B, Shenoy AM, Blanchard R. Unanswered clinical questions: a survey of specialists and primary care providers. J Med Libr Assoc ٢٠١٧; 105: 4-11.

9. Morgan DJ, Dhruva SS, Coon ER, Wright SM, Korenstein D. 2017 update on medical overuse: a systematic review. JAMA Intern Med 2017. doi:10.1001/jamainternmed.2017.4361.

10. Jakobsen JC, Nielsen EE, Feinberg J, et al. Direct-acting antivirals for chronic hepatitis C. Cochrane Database Syst Rev 2017; 6: CD012143.

11. Lok AS, Chung RT, Vargas HE, Kim AY, Naggie S, Powderly WG. Benefits of direct-acting antivirals for hepatitis C. Ann Intern Med 2017; 167: 812-3.