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«Il sito web della Agency for Healthcare Research and Quality National Guideline Clearinghouse (NGC, guideline.gov) non sarà accessibile dopo il 16 luglio 2018 perché i finanziamenti federali tramite AHRQ non saranno più disponibili per supportare la NGC a partire da quella data. AHRQ sta ricevendo manifestazioni di interesse da parte di soggetti interessati a svolgere il lavoro della NGC. Al momento non è chiaro, tuttavia, quando o se la NGC (o qualcosa di simile alla NGC) sarà di nuovo online. Inoltre, AHRQ non ha ancora stabilito se, o in quale misura, l’Agenzia avrebbe un ruolo se uno stakeholder dovesse continuare a gestire la NGC. Continueremo a pubblicare sintesi di nuove e aggiornate linee guida sulla pratica clinica basata sull’evidenza fino al 2 luglio 2018». L’annuncio è comparso sulla homepage di una delle risorse più frequentate dai professionisti sanitari di tutto il mondo, lasciandoli ovviamente interdetti.

Le linee guida sono una delle soluzioni migliori per ridurre la complessità delle decisioni cliniche, ma produrle costa tantissimo. Produrle in modo metodologicamente accurato, s’intende. Qualche anno fa, il racconto di un gruppo dirigente di una società scientifica riunitosi nell’hotel di un’isola di fronte a Napoli per un fine settimana scatenò un’ondata di ilarità: in un giorno e mezzo la linea guida era bell’e pronta, tra la partita in televisione, i polpi alla Luciana e il Fiano ghiacciato. Produrre una linea guida costa molto perché in realtà è un processo assai lungo: «Sono i giudizi di per sé che sono complessi, non il metodo GRADE o i framework EtD (Evidence-to-Decisions)», osservano gli autori del documento del GRADE Working Group. Un processo che presuppone un rigore al quale non tutti sono abituati e che dovrebbe invece diventare patrimonio condiviso dal momento che la valenza di questi documenti è destinata ad aumentare per effetto della nuova legge, che «ha l’ambizione di modificare il rapporto che il professionista sanitario ha con le raccomandazioni contenute all’interno delle linee guida: da fattore di merito per il professionista che a esse si rifà, le linee guida diventano un elemento che appartiene alle responsabilità del professionista sanitario, in particolare del medico», scrivono Silvia Minozzi e gli altri autori dello studio sulla realtà ligure.

Le conclusioni di questa ricerca non sono confortanti: «Alcuni ostacoli sono citati in maniera ricorrente per motivare il mancato ricorso alle evidenze in generale e alle linee guida in particolare la mancanza di tempo, la barriera linguistica e la mancata conoscenza delle tecniche statistiche. Non sembrano emergere, tuttavia, la fiducia e la volontà necessarie per cercare di superare queste barriere facendone uno stimolo per migliorare e approfondire, ma sembra prevalere una sorta di rassegnazione, un’accettazione passiva della condizione lavorativa esistente». Medici, infermieri, farmacisti, dirigenti sembrano rassegnati a una sanità che vive alla giornata, che non “ha tempo” di studiare, di leggere, di aggiornarsi: «La metodologia GRADE è del tutto sconosciuta», osservano gli autori, e converrebbe chiedersi le ragioni di questa disaffezione. Qualche responsabilità potrebbe averla anche chi ha trasformato la letteratura scientifica in una terra di conquista, al punto da rendere necessaria una tassonomia di frodi, errori e retraction.

Nel comunicato della AHRQ c’è un passaggio essenziale che si riferisce alla possibilità che “un nuovo stakeholder” possa assumere un ruolo nel governo della produzione e disseminazione di linee guida negli Stati Uniti. Conviene fermarsi a riflettere su chi potrebbe avere la convenienza di investire risorse in questa direzione: un tempo non avremmo avuto dubbi sull’opportunità di lasciare questo ruolo nelle mani delle istituzioni pubbliche. Oggi, però, i tempi sono cambiati.

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