Dalla letteratura

In collaborazione con l’Associazione Alessandro Liberati – Network Italiano Cochrane
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Il mondo (medico) è stato avvertito: salviamo la democrazia

Il medico deve preoccuparsi della qualità del sistema politico, in quanto determinante di salute? Richard Horton è convinto di sì e lo ha scritto in una Offline uscita sul Lancet del 26 maggio 20181. Il direttore del settimanale inglese commenta un libro di Dambisa Moyo, Edge of chaos2: è la politica e non l’economia che guida il progresso e la prosperità di una nazione, sostiene l’autrice. La democrazia è minacciata da una serie di pericoli che vanno dal debito pubblico che cresce all’esaurirsi delle risorse naturali, dall’invecchiamento della popolazione e della forza lavoro all’inasprirsi delle disuguaglianze economiche, dall’instabilità politica al declino della produttività.

«Il capitalismo liberal democratico sta battendo in ritirata» ed è più debole e più corrotto. Soluzioni? Riaffermare e rispettare i trattati internazionali come quelli che cercano di arginare il disastro climatico e ambientale, pagare di più i funzionari pubblici ma anche i politici per motivare le persone migliori a occuparsi del bene pubblico, filtrare la qualità dei candidati al Parlamento richiedendo loro un’esperienza di lavoro di rilievo ed escludendo i politici di carriera, rendere obbligatorio il voto per non escludere una fetta – sempre più ampia – della popolazione dalla decisione elettorale, fino alla misura più radicale: pesare il voto dando maggior valore a quello espresso dalle persone più qualificate.

E importante leggere pagine come questa su riviste di medicina ed è importante che l’attenzione per questi argomenti stia aumentando: dieci anni fa (2008) l’occorrenza “social determinants” su PubMed dava 122 risultati mentre nel 2017 sono diventati 1370. «Se teniamo davvero all’assistenza sanitaria – dice Horton – dobbiamo dimostrare di tenere alla democrazia».

Bibliografia

1. Horton R. The world has been warned. Lancet 2018;391:2092.

2. Moyo D. Edge of chaos. New York: Basic Books, 2018.




Attraversati dal dubbio

Salvare la vita di un bambino, col timore che questa per il piccolo non sia una buona notizia. Dai commenti ricevuti su Twitter, le circostanze raccontate da Torre McGowan sul New England Journal of Medicine non devono essere sconosciute a buona parte dei medici, soprattutto a quelli che lavorano nei dipartimenti di emergenza1.

Un bambino rianimato, riportato miracolosamente in vita dopo un episodio drammatico di violenza domestica fatta passare per incidente. Una storia terribile, brutale, splendidamente descritta: la dimostrazione del potere della narrazione come modo per condividere contenuti scientifici e non solo emozioni o l’inquietudine di essere medico. “Mi perdonerai per averti salvato?”, chiede il medico al piccolo paziente. Non può esserci risposta a questo terribile dubbio.

Su questi e altri problemi si sofferma il libro Ethical life support. Strumenti etici per decidere in medicina: «Il medico spesso considera “la vita ad ogni costo” come più importante di qualsiasi altro principio. Senza interrogarsi se anche il paziente abbia la stessa visione di fronte alla malattia»2. È una tensione che leggiamo tra le righe anche di un altro libro, In training. Stories from tomorrow’s physicians, che raccoglie molte testimonianze di medici in corso di formazione. «Cosa realmente vuol dire essere medico? Decidiamo cosa sia meglio per il paziente come esperti di medicina? Raccogliamo tutte le richieste dei malati per aderire a ogni loro desiderio? Oppure c’è un modo per incontrarsi a metà strada? E, nel caso, come riusciamo a diventarne capaci durante lo studio della Medicina?»3.

Bibliografia

1. McGowan T. Will you forgive me for saving you? N Engl J Med 2018; 379: 8-9.

2. Naretto G, Vergano M, Elia F, Gandolfo E, Gristina G, Nebris Calliera C (a cura di). Ethical life support. Strumenti etici per decidere in medicina. Roma: Il Pensiero Scientifico Editore, 2018.

3. Major A, Paul A. In-training. Stories from tomorrow’s physicians. Indiana: Pager Publications, 2016.

Facebook: problemi di privacy anche in cardiologia?

Qualche mese fa gran parte dei media di tutto il mondo parlava di Mark Zuckerberg – fondatore e CEO di Facebook – interrogato dal Congresso degli Stati Uniti in merito a un possibile uso improprio dei dati personali degli utenti da parte del social network. Quella testimonianza, per quanto possa sembrare strano, ha delle implicazioni anche per il mondo della cardiologia. Un anno fa, infatti, Facebook aveva contattato l’American College of Cardiology (ACC), la Stanford University School of Medicine e altre istituzioni proponendo a queste di utilizzare le informazioni (in forma anonima) provenienti dai profili degli utenti del social network per individuare i soggetti bisognosi di assistenza clinica. Ora, in seguito alle problematiche emerse in merito al caso Cambridge Analytica, questo progetto è stato temporaneamente accantonato.

L’obiettivo iniziale era quello di valutare se la combinazione di dati clinici e “social” potesse aiutare i ricercatori a studiare gli effetti delle relazioni sociali sulla salute. «L’industria biomedica ha compreso da molto tempo i potenziali benefici associati alla presenza di una rete di rapporti e di amicizie», si legge in una dichiarazione rilasciata dai portavoce di Facebook a theheart.org Medscape Cardiology, «ma c’è bisogno di ulteriori studi prima che i medici possano sviluppare trattamenti e interventi che tengano conto di questi aspetti».







Il progetto è stato messo in stand-by. «Il lavoro si è fermato alla fase di pianificazione», recita il comunicato di Facebook, «e non abbiamo ricevuto, condiviso o analizzato i dati di nessuno». Questo punto è stato ribadito anche in una dichiarazione del Presidente dell’ACC Michael Valentine, il quale ha però sottolineato come la sua società avesse preso in considerazione – al pari di altre iniziative di ricerca – una “possibile collaborazione con Facebook”.

Alla luce dei recenti avvenimenti e delle preoccupazioni relative alla privacy policy del social network, il progetto è stato però accantonato. «Il mese scorso abbiamo deciso di mettere in pausa questa iniziativa – si legge nello statement di Facebook – in modo da poterci concentrare su altri importanti obiettivi, tra cui quello di proteggere al meglio i dati degli utenti e garantire una maggiore trasparenza su come questi vengono utilizzati per i nostri prodotti e servizi».

Fabio Ambrosino

Negli anni della medicina di precisione, chi è normale?

La spinta verso una medicina sempre più personalizzata potrebbe portare a riconsiderare anche i criteri in base ai quali giudicare la normalità. Disponendo, infatti, di set di dati via via più ampi, la stratificazione della popolazione dovrebbe progressivamente diventare più granulare, così che i valori di ogni singolo individuo corrisponderanno a un riferimento talmente “preciso” da finire con l’essere – questo “matching” – difficilmente ottenibile.

La preoccupazione di Arjhn K. Manrai, Chirag J. Patel e John Ioannidis1 non è campata per aria: insomma, non si tratta di una provocazione di chi, in omaggio al Dottor Knock del racconto di Jules Romains, pensi davvero che in un futuro neanche troppo lontano nessuno sarà del tutto normale. L’articolo uscito sul JAMA«una lettura necessaria per chiunque sia interessato al futuro della medicina», ha commentato Richard Lehman sul blog del BMJ – discute anche i criteri utili a definire il parametro col quale valutare la normalità: i valori riscontrati in una popolazione “sana” di riferimento, oppure in un gruppo di individui che valutando il proprio stato di benessere dichiarano “eccellente” la propria salute, o infine in una sottopopolazione composta solo da persone di età tra i 18 e i 40 anni. A seconda dell’opzione scelta si ottengono risultati diversi.

Alla fine, il messaggio dei tre autori di Stanford invita a capitalizzare al meglio i dati raccolti nell’attività clinica e di ricerca, col consenso dei cittadini e cercando di condividere il più possibile i dataset disponibili.







Del tutto diverso l’approccio di Joel M. Reynolds, dell’Hastings Center, che in una riflessione pubblicata su Philosophy, ethics, and humanities in medicine2 sottolinea la distanza irriducibile tra ricchezza di informazioni e sapere, raccomandando una medicina più umile. Reynolds mette in risalto l’importanza dell’incertezza conseguente all’ambiguità con cui la realtà si manifesta (ambiguity) nella scienza e nella pratica medica perché prometterebbe il vantaggio di beneficiare della “virtù della modestia epistemica”: sappi cosa non sai. «La gamma dell’esperienza umana è straordinariamente ampia e di un gran numero di esperienze non possiamo neanche immaginare i contorni» per la particolarità dei mondi in cui vivono gli esseri umani. Comprendere la pratica della medicina ammettendo l’inevitabile necessità dell’interpretazione è accettare che ci sono molti casi in cui non sappiamo, non possiamo aiutare, e anche con le migliori intenzioni e facendo riferimento alla scienza più aggiornata, potremmo semplicemente sbagliare. «Facendola diventare un concetto centrale per la pratica medica, l’incertezza porterebbe con sé la necessità di adottare sguardi diversi e non medici per avvicinarsi alla conoscenza, si tratti di sociologia, storia o antropologia – facendo propri soprattutto quei percorsi di conoscenza critici rispetto ai paradigmi prevalenti».

Bibliografia

1. Manrai AK, Patel CJ, Ioannidis JPA. In the era of precision medicine and big data who is normal? JAMA 2018; 319: 1981-2.

2. Reynolds JM. Renewing medicine’s basic concepts: on ambiguity. Phil Ethics Humanities Med 2018; 13: 8.

Il Pan Cancer Atlas cambierà l’oncologia?

Dopo più di un decennio di lavoro per più di 150 ricercatori di più di 20 centri degli Stati Uniti, nel 2012 è stato completato il PanCancer Atlas, a cura dei National Institutes of Health (NIH). Un vero e proprio atlante consultabile online in cui i tumori sono tutti classificati in base alle loro caratteristiche biologiche. «Questo progetto è stato il culmine di un lavoro incredibile», commentò allora Francis S. Collins, direttore degli NIH. Ma il PanCancer Atlas forse cambierà per sempre la storia della lotta al cancro, come evidenziato da una serie di studi pubblicati dalla rivista Cell recentemente.

Il confronto di tutti i tumori conosciuti ha fatto nascere l’idea che il nostro sistema di classificazione dei tumori sia del tutto errato. È emerso infatti che alcuni tumori sono molto simili a livello molecolare nonostante partano da differenti parti del corpo. Altri – che pure si sviluppano nel medesimo tessuto – sono risultati diversissimi dal punto di vista del profilo genomico. Non sono questioni affascinanti soltanto dal punto di vista teorico: «Il modo in cui una forma di tumore è correlata a un’altra che finora consideravamo molto diversa può avere implicazioni cliniche decisive», spiega Josh Stuart, professore di ingegneria biomolecolare all’University of California di Santa Cruz e uno dei responsabili della PanCancer Initiative. «In alcuni casi possiamo prendere la pratica clinica che applichiamo su alcuni tumori che ben conosciamo e semplicemente applicarla anche a tumori per i quali non credevamo dovesse e potesse essere usata».

Allo stesso modo, farmaci approvati contro certi tumori potrebbero essere efficaci contro altri tumori, inaspettatamente simili dal punto di vista molecolare. Una serie di più di 20 articoli usciti in contemporanea su Cell elenca le correlazioni e le opportunità emerse da questi primi anni di studio del PanCancer Atlas, ed è solo l’inizio.

La ricerca ora si concentra su tre filoni. Il primo, denominato “Cell-of-origin patterns”, si concentra sulla suddivisione dei tumori in base all’espressione genica, le anormalità cromosomiche e le mutazioni del DNA; il secondo, denominato “Oncogenic processes”, è un focus su tre processi di importanza critica: le mutazioni ereditate o acquisite, come un genoma tumorale o l’epigenoma influenzano l’espressione genica e infine le interazioni tra cellule tumorali e cellule del sistema immunitario; il terzo, denominato “Signaling pathways”, guarda alle alterazioni genomiche nei processi molecolari che regolano il ciclo cellulare, la crescita della cellula e la sua morte.

Per ognuna di queste “macro-categorie” i ricercatori hanno evidenziato similitudini e differenze tra tutti i tumori conosciuti: questo lavoro avrà un’importanza decisiva nei prossimi anni nello sviluppo di nuovi trattamenti ma soprattutto nella cosiddetta medicina personalizzata e nell’utilizzo di nuove terapie di combinazione.

David Frati