In questo numero

In un mese accade un’infinità di cose e provare a collegarne alcune senza che tra di esse ci sia un’evidente relazione può essere un esercizio utile.

Un allenatore di calcio scopre di essere gravemente ammalato, vive giorni di angoscia e sceglie di mantenere la riservatezza in attesa di iniziare le terapie e, successivamente, di decidere insieme alla famiglia e alla propria società come rendere pubblica la notizia. Intanto, uno dei giornalisti a cui era giunta voce del dramma personale vissuto dal tecnico sceglie di annunciare la malattia in prima pagina sul giornale da lui diretto: “Ho fatto il giornalista e non l’amico”, ha scritto successivamente su Twitter, come se la sua professione non contemplasse il rispetto di valori fondamentali.

Tristan McCowan insegna International education alla UCL, è editor di una rivista di settore e segnala su Twitter che delle istruzioni per gli autori sul sito della casa editrice Elsevier raccomandano di non citare articoli non in lingua inglese nei lavori da sottomettere a riviste della casa editrice. Il direttore del Lancet (settimanale pubblicato proprio da Elsevier), Richard Horton, risponde scandalizzato: “We not only welcome but we encourage diverse languages, references, and dialogues to promote cultural exchange and interdependence.”

Stephen Bradley è medico di medicina generale e collabora ad attività di ricerca oncologica dell’università di Leeds: in un post su EBM Live auspica un futuro in cui obiettivi, metodi e risultati della ricerca scientifica non siano pubblicati su riviste accademiche di medicina ma in banche dati liberamente accessibili. Ridurrebbe l’iniquità nell’accesso, spiega, limiterebbe le distorsioni dovute alla mancanza di trasparenza nel processo di rendicontazione della ricerca e renderebbe giustizia alla disponibilità dei malati ad essere coinvolti nelle sperimentazioni, oltre a giustificare gli investimenti di risorse pubbliche nella ricerca. “Here’s hoping that ‘pre-prints’ will turn into ‘instead-of-prints’”, ha commentato Richard Lehman.

Intempestività, chiusura mentale, assenza di trasparenza. Con uno sguardo più generale, mancato rispetto dei diritti delle persone: dei malati e dei loro familiari, dei ricercatori che intendono contribuire al dibattito scientifico, dei lettori che vorrebbero partecipare con un ruolo non passivo.

La rotta della comunicazione scientifica può ancora essere corretta. Riaffermando principi etici che si pensava fossero normalmente condivisi, incoraggiando un confronto che non prescinda dai contesti nazionali, sollecitando la pubblicazione di contenuti che siano capaci di suscitare dibattito, discussione, partecipazione. È questo il motivo che ci ha incoraggiato ad aprire due fronti nuovi, come la pagina dedicata ad una minima ma ragionata selezione di tweet delle ultime settimane e lo spazio finale sull’informazione ai cittadini, in collaborazione con il progetto della FNOMCeO Dottore, ma è vero che…

In tema di partecipazione, la novità più significativa è la presenza della ragazza ritratta dal suo medico curante nelle pagine di apertura di questo numero. Che ringraziamo di cuore, come ha già fatto l’autore degli scatti, Nicola Samà.

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a cura di Cristina Da Rold (freelance health & data journalist)