In questo numero

A natale non siamo tutti più buoni: siamo tutti più melanconici. Se al BMJ provano a combattere la tristezza pubblicando articoli dal contenuto improbabile augurandosi possano divertire lettori sempre più amareggiati dalla situazione dei servizi sanitari e da una ricerca clinica ogni giorno più condizionata, la direzione di Ricerca & Pratica – rivista del Mario Negri e vicina a Recenti progressi in medicina condividendo lo stesso editore – apre ogni ultimo numero dell’anno ricordando le persone preziose che ci hanno lasciato: un modo per invitare qualche lettore a trattenerle ancora un poco nel proprio lavoro quotidiano. Siamo melanconici anche perché non passa giorno che non ci venga ricordato quanto la qualità del confronto culturale e politico nel nostro tempo sia scaduta rispetto a quella di una manciata di anni fa. Per non dire della qualità della convivenza civile ed umana.

Restando alla salute, è scoraggiante vedere come i risultati della ricerca siano trascurati o esplicitamente disattesi. I dati presentati nel rapporto di health technology assessment (pag. 566) portano Jefferson, Ballini e Formoso a concludere dicendo che «nonostante il numero crescente di centri di adroterapia e di studi clinici pubblicati, vi è una persistente incertezza sul beneficio clinico aggiunto dei trattamenti con adroterapia rispetto alla radioterapia convenzionale, e la ricerca clinica attualmente in corso potrebbe non contribuire a risolvere questa incertezza». Nell’editoriale che discute il rapporto (pag. 561), Vittorio Demicheli sottolinea che «rispetto ad altri paesi europei, il servizio sanitario nazionale italiano è sottofinanziato, ma ciononostante le istituzioni centrali e regionali raramente fanno uso di strumenti e processi sistematici per valutare le priorità e l’innovazione. Il vero rischio è che i responsabili delle decisioni propongano soluzioni indipendentemente dall’analisi dei problemi, senza utilizzare gli strumenti per la valutazione delle tecnologie sanitarie e le analisi costo-efficacia, costo-beneficio, costo-utilità».

La narrazione che accompagna questa – come ogni altra – “innovazione” è improntata all’ottimismo. L’adroterapia è una «speranza efficace per i malati più difficili», garantisce il maggior quotidiano italiano, mentre i più noti centri oncologici milanesi avviano uno studio che intende valutarne l’efficacia nel cancro della prostata: lo studio sarebbe motivato da “dati preliminari” ma avrebbe soprattutto «un valore aggiunto molto particolare: è infatti il frutto di un lavoro multidisciplinare sinergico tra centri oncologici con elevata competenza nell’ambito del carcinoma prostatico ad alto rischio che, perseguendo obiettivi condivisi, permette di offrire ai pazienti un percorso terapeutico e di monitoraggio omogeneo e condiviso tra le tre istituzioni» che collaboreranno alla ricerca.

«Il bias dell’ottimismo ha diverse serie conseguenze», scrivevano Iain Chalmers e Robert Matthews su The Lancet1. «Una è la creazione di aspettative non realistiche, sia per i malati sia per i medici, circa i probabili benefici dei nuovi trattamenti sperimentati negli studi randomizzati. Ad esempio, nei primi anni ’90, ai medici che partecipavano a una sperimentazione di un nuovo trattamento di radioterapia per i tumori della testa e del collo fu chiesto di prevedere il probabile esito. Le loro risposte rivelarono un alto livello di ottimismo, ritenendo che il nuovo trattamento avrebbe ridotto la mortalità di circa il 30%. In quel caso, lo studio non provò che il nuovo trattamento rappresentasse un progresso». L’ottimismo ingiustificato solleva problemi etici, concludevano gli autori.

Lo studio di Jefferson, Ballini e Formoso ha un approccio al quesito di ricerca sovrapponibile a quello condotto da Valeria Belleudi e dagli altri autori dell’analisi pubblicata a pagina 604, approccio esplicitato anche nel duplice obiettivo: individuare l’uso più appropriato del trastuzumab e ipotizzare uno scenario economicamente vantaggioso per il Servizio Sanitario Regionale. La valutazione critica della letteratura e l’epidemiologia clinica devono tornare al servizio del processo decisionale dei clinici ma, prima ancora, dei decisori centrali e regionali.

Questa innovazione ci renderebbe meno melanconici.

Bibliografia

1. Chalmers I, Matthews R. What are the implications of optimism bias in clinical research? Lancet 2006; 367: 449-50.