Paziente con localizzazioni sottocutanee,
linfonodali e ossee da neoplasia della mammella operata
:
progressiva risposta alla somministrazione metronomica
di vinorelbine orale associata a capecitabina

Mara Ghilardi1

1Dipartimento di Scienze Mediche, UOC Oncologia, ASST Bergamo Ovest, Ospedale di Treviglio (BG).

Pervenuto il 21 giugno 2019. Accettato il 2 luglio 2019.

Riassunto. Il caso clinico riguarda una donna di 75 anni con carcinoma della mammella operato con recettori ormonali positivi in progressione linfonodale, cutanea e ossea dopo terapia ormonale, cui viene somministrata chemioterapia metronomica a base di capecitabina cui si aggiunge, dall’ottavo ciclo, vinorelbine orale. Dopo 17 cicli totali si assiste a una progressiva risposta clinica di malattia, in particolare a livello delle lesioni cutanee che risultano appianarsi e ridursi in volume. Il trattamento con vinorelbine orale e capecitabina in modalità metronomica ha inoltre mostrato scarsa tossicità, maneggevolezza nell’assunzione e ridotti accessi ospedalieri.

Parole chiave. Carcinoma della mammella, capecitabina, chemioterapia metronomica, lesioni sottocutanee, vinorelbine orale.

A patient with subcutaneous, lymph node and bone lesions for breast cancer: a progressive response to metronomic oral vinorelbine and capecitabine.

Summary. The clinical case concerns a 75-year-old woman with operated breast cancer, hormone receptors positive, who is progressing to hormonal treatment at lymph nodes, skin and bone level. She is administered with metronomic chemotherapy based on capecitabine which is added, from the eighth cycle, oral vinorelbine. After 17 total cycles there is a progressive clinical response to the disease, particularly at the level of skin lesions that appear to be smoothed and reduced in volume. Treatment with oral vinorelbine and capecitabine in metronomic mode has also shown poor toxicity, easy handling and reduced hospital accesses.

Key words. Breast cancer, capecitabine, metronomic chemotherapy, oral vinorelbine, subcutaneous lesions.

Introduzione

Con 52.300 nuove diagnosi nel 2018, il carcinoma della mammella rappresenta il tumore più frequente nella popolazione italiana e ancora oggi rappresenta la prima causa di morte per neoplasia nel sesso femminile1. Nonostante le opzioni terapeutiche a disposizione dell’oncologo si siano negli ultimi anni arricchite di nuove molecole che hanno contribuito a migliorare la prognosi, in particolare delle pazienti con espressione dei recettori ormonali e del fattore di crescita epidermico HER2-neu2-4, il tasso di sopravvivenza della malattia metastatica rimane di circa 3 anni con una percentuale di sopravvivenza a 5 anni intorno al 25%5. Ritardare la progressione tumorale prolungando il controllo di malattia rimane quindi uno dei principali obiettivi della cura per le pazienti in fase metastatica. La ricerca di approcci terapeutici in grado di ottenere questo risultato con un impatto contenuto sulle tossicità ha portato allo sviluppo della chemioterapia metronomica. La chemioterapia metronomica consiste nella somministrazione ravvicinata e continua di minime dosi biologicamente attive di uno o più agenti chemioterapici per lo più disponibili per via orale. È stato dimostrato che questo tipo di somministrazione consente di mettere in atto meccanismi d’azione multipli (inibizione dell’angiogenesi, stimolazione del sistema immunitario) rispetto alla sola azione citotossica, prevalente quando gli stessi farmaci sono somministrati alla massima dose tollerata6-9. L’utilizzo della chemioterapia metronomica ha negli ultimi anni trovato un crescente interesse per il trattamento delle pazienti con carcinoma della mammella e numerosi sono gli studi, prevalentemente di fase II, pubblicati nel corso dell’ultimo decennio. Una recente meta-analisi su 22 studi10 mostra come la chemioterapia metronomica consenta di ottenere un beneficio clinico nel 56% delle pazienti con una sopravvivenza globale a 12 e 24 mesi nel 70% e 40% rispettivamente. Un aspetto comune riportato in questi studi è inoltre il profilo di tollerabilità estremamente favorevole con incidenza di eventi tossici ematologici e non ematologici molto contenuta9,10.

La chemioterapia metronomica è stata recentemente inserita nelle Linee Guida ESO ESMO sul carcinoma mammario in forma avanzata come un’opzione ragionevole per le pazienti che non necessitano di una risposta tumorale rapida5,11; un recente Pan European Expert Meeting sull’utilizzo della chemioterapia metronomica nel carcinoma mammario avanzato (PENELOPE), ha individuato, quali candidate ideali per questo tipo di terapia, le pazienti con recettori ormonali positivi in progressione da inibitori di cicline più ormonoterapia con basso carico di malattia o le pazienti con malattia triplo-negativa con difficoltà a ricevere la terapia standard, quali le pazienti anziane12.

Vinorelbine orale e capecitabina, in associazione tra loro o con l’aggiunta di metotrexate, sono i farmaci di ultima generazione maggiormente utilizzati in modalità metronomica nel carcinoma della mammella13-16.

In particolare lo studio VICTOR 215 ha valutato in pazienti con età mediana di 65,3 anni per il 65% con recettori ormonali positivi, l’associazione di vinorelbine orale 40 mg tre volte alla settimana e capecitabina 500 mg tre volte al giorno tutti i giorni in prima e successiva linea metastatica. Il trattamento proseguiva fino a progressione. Si è osservato un beneficio clinico nel 48,8% delle pazienti e un tempo mediano alla progressione di 7 mesi. La tossicità di grado 3-4 si è confermata estremamente contenuta con un’incidenza globale del 6,4% sul totale dei cicli di trattamento. Lo schema di somministrazione e la scarsa incidenza di tossicità hanno consentito di limitare l’acceso delle pazienti all’ospedale e questo è un ulteriore vantaggio della chemioterapia metronomica.

Caso clinico

Anamnesi fisiologica e patologica

La paziente ha 75 anni, è vedova e vive sola, accudita dalla badante e dalla sorella che fa da caregiver e che la accompagna ai controlli oncologici.

In anamnesi fisiologica, scolarità media inferiore, menarca a 11 anni, menopausa a 50 anni. Nessuna gravidanza a termine. Non riferito uso di terapia contraccettiva né sostitutiva ormonale.

In anamnesi patologica remota esiti di chirurgia per ulcera duodenale, intervento di protesizzazione ginocchio destro con residua necessità di tutore per la deambulazione, esiti di intervento di correzione per deviazione delle prime due dita del piede sx, artrite reumatoide senza necessità di farmaci, ipertensione arteriosa in terapia medica.

Anamnesi oncologica

L’inizio della storia oncologica della signora risale al 1990 quando veniva sottoposta presso la locale Chirurgia a mastectomia sx per un carcinoma duttale infiltrante la cute, stadio pT4N1(3/5) con espressione recettoriale per estrogeni e progesterone superiore al 50%. All’intervento seguiva una chemioterapia secondo schema “CMF classico” per 6 cicli presso la Medicina del nostro Ospedale. La paziente veniva persa al follow-up a partire dal 1997.

La signora giungeva alla nostra osservazione nel settembre 2014 in seguito alla comparsa di importante linfedema all’arto superiore sinistro.

All’esame obiettivo si rilevava al pilastro ascellare posteriore sinistro presenza di linfoadenopatia dura, lignea, fissa ai piani profondi e superficiali, con ulcerazione a livello della piega ascellare secernente materiale sieroematico. Tale lesione determinava un importante linfedema all’arto superiore sinistro.

In data 11.9.14 la paziente veniva sottoposta a tru-cut a livello del cavo ascellare sx risultato positivo per carcinoma duttale infiltrante G2 con espressione recettoriale pari a Re=90% PgR=0% c-erb: negativo Ki67=35%.

Concluso lo staging mediante rx torace, ecografia addome superiore e scintigrafia ossea, veniva esclusa la presenza di sedi metastatiche di malattia e pertanto a partire dal 29.10.14 la paziente veniva posta in terapia con letrozolo 2,5 mg 1 cpr al giorno e avviata a radioterapia ascellare sinistra (trattamento eseguito dal 31.10.14 al 13.11.14 con erogazione di DT 30Gy). Il marcatore Ca 15,3 risultava essere pari a 158 KU/ml.

Seguiva regolare follow-up con visite a cadenza quadrimestrale durante le quali si obiettivava regressione della linfoadenopatia ascellare sinistra associata a fibrosi locale quale esito di radioterapia e persistenza di linfedema all’arto superiore sinistro. Il ca 15,3 si riduceva a 30,7 KU/ml a febbraio 2015, salendo a 35,3 ad agosto 2015. Ai controlli ematici successivi, a fronte di una sostanziale stabilità clinica, il ca 15,3 raggiungeva valori di 46,8 (dicembre 2015), 62 (marzo 2016), 105 (luglio 2016).

Per tale motivo la paziente veniva sottoposta a ristadiazione di malattia mediante ecografia addome superiore/rx torace (entrambi negativi) e scintigrafia ossea (agosto 2016) che documentava comparsa di importante accumulo a carico del terzo medio della tibia di destra e piccola focalità al terzo distale della tibia omolaterale. Poiché le successive indagini radiologiche mirate a livello osseo (rx e tac ginocchio dx) non confermavano con certezza la natura secondaria della lesione, la paziente veniva sottoposta a PET con FDG (ottobre 2016) che risultava essere positiva a livello di adenopatia mediastinica in sede preaortica, eteroformazioni solide dei tessuti molli in sede sovraclaveare e pettorale sinistra e profondamente al cavo ascellare sx, micronodulazioni polmonari bilaterali e al tratto distale della diafisi tibiale destra con erosione del piano corticale posteriore.

Confermata la progressione di malattia veniva sospesa la terapia con letrozolo e avviata in data 3.11.16 ormonoterapia di II linea con fulvestrant alla dose di 500 mg q28 giorni con l’usuale dose di carico il primo mese dopo 14 giorni.

In data 28.12.16 la paziente veniva ricoverata in Ortopedia del nostro Ospedale per frattura patologica spontanea tibiale dx e sottoposta in data 4.1.17 a intervento di riduzione della stessa e sintesi con placca e viti. Seguiva quindi periodo riabilitativo con indicazione a carico parziale per 15 giorni con uso del girello, seguito da passaggio a deambulatore con carico del 50% per altri 15 giorni. In data 1.3.17 la paziente poteva riprendere la terapia ormonale con fulvestrant a cui si associava l’infusione a cadenza mensile di acido zoledronico. Dopo 11 somministrazioni si assisteva alla comparsa di numerose formazioni nodulari di dimensioni millimetriche a livello cutaneo sulla parete toracica laterale sinistra.

La paziente veniva quindi sottoposta a PET (8.1.18) che confermava la progressione cutanea, adenopatica e ossea (D11-D12-dubbia XI costa dx) di malattia. Il ca 15,3 raggiungeva valore pari a 741 KU/ml.

Dal 18.1.18 veniva quindi attivata chemioterapia con capecitabina secondo modalità metronomica (3 compresse al giorno mattino, mezzogiorno e sera continuativamente). Dopo 4 cicli in seguito all’esposizione della placca a livello della frattura tibiale dx, veniva interrotta la CT per consentire alla paziente di essere sottoposta a intervento di rimozione mezzi di sintesi gamba dx, nuova sintesi e copertura con lembo di emisoleo e skin graft a sx (24.5.18) presso la locale Ortopedia.

Dal 3.7.18 stante la ripresa di buone condizioni generali, la paziente riprendeva il trattamento suddetto. A luglio 2018 il ca 15,3 aveva valore pari a 778 per cui dal 4.9.18, al fine di potenziare la chemioterapia, veniva associata all’ottavo ciclo di capecitabina metronomica la vinorelbine settimanale, secondo schedula metronomica alla dose di 30 mg ai giorni 1,3,5 corrispondente a una compressa da 30 mg da assumersi al mattino dopo colazione. La scelta di avviare il trattamento a 30 mg anziché a 40 mg, come usuale, vedeva il proprio razionale nell’estrema fragilità della paziente. Inoltre, una volta eseguite 12 somministrazioni mensili di zometa, lo stesso passava a cadenza trimestrale.

Al follow-up di aprile 2019 erano stati somministrati 17 cicli totali di capecitabina metronomica a cui, dall’ottavo ciclo, è stata associata vinorelbine orale sempre con somministrazione metronomica. Da un punto di vista clinico si è osservata una progressiva risposta di malattia come si può desumere (seppur con il limite delle fotografie) dalle immagini (figure 1-6). In particolare si è assistito a progressivo appianamento delle lesioni toraciche posteriori e riduzione volumetrica della lesione toracica anteriore che appare “a occhio nudo” meno “florida”. Il ca 15,3 a febbraio 19 raggiungeva valore di 868 KU/ml ma a fronte di ulteriore risposta clinica si decideva di proseguire con la terapia. Il trattamento è tuttora in corso. In programma entro giugno 2019 PET con FDG di restaging associata a dosaggio del ca 15.3.




Conclusioni

Il caso clinico qui riportato conferma i presupposti di un reale beneficio clinico della chemioterapia metronomica con vinorelbine orale e capecitabina a fronte di scarsa tossicità, maneggevolezza nell’assunzione e ridotti accessi ospedalieri. Per questi motivi tale trattamento è da considerare una valida opzione terapeutica anche nella popolazione anziana da ritenersi “fragile” sia per copatologie sia, a volte, per problematiche sociali che rendono difficile l’accesso frequente in ospedale.

Conflitto di interessi: l’autrice ha percepito diritti d’autore da Il Pensiero Scientifico Editore – soggetto portatore di interessi commerciali in ambito medico scientifico.

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