Margini di errore

di Stefano Cagliano

Nel suo rapporto Patient Safety del 2019, L’Organizzazione Mondiale della Sanità riassumeva gli aspetti principali della sicurezza sanitaria in quattro indicazioni, ovvero:

1. Il verificarsi di eventi avversi a causa di cure non sicure è probabilmente una delle 10 principali cause di morte e disabilità nel mondo.

2. Nei paesi ad alto reddito, si stima che 1/10 degli eventi è danneggiato durante le cure ospedaliere. Il danno può essere causato da una serie di eventi avversi, di cui quasi il 50% è prevenibile.

3. Ogni anno, 134 milioni di eventi avversi si verificano negli ospedali dei paesi a basso e medio reddito a causa di cure non sicure, causando 2,6 milioni di decessi […].

4. A livello globale, ben 4 pazienti su 10 sono danneggiati nell’assistenza sanitaria primaria e ambulatoriale. È possibile prevenire fino all’80% dei danni. Gli errori più dannosi sono legati a diagnosi, prescrizione e all’uso di medicinali1.

Il modello interpretativo dell’errore umano ormai prevalente, compreso quello medico, parte dall’idea che gli errori si verificano perché la mente umana ha meccanismi cognitivi che processa in simultanea input numerosi, gestisce situazioni diverse e per questo può andare in sovraccarico ed entrare in cortocircuito. Ecco perché gran parte degli errori non presenta elementi di colpa ed è fortemente determinata dalle caratteristiche cognitive della specie umana o dall’organizzazione del lavoro. Questo nuovo paradigma conoscitivo proposto dallo studioso statunitense James Reason parte dal presupposto che gli errori umani sono conseguenze dell’agire organizzato, inevitabili e che occorre provvedere di conseguenza. Le loro ragioni vanno cercate innanzitutto all’interno dei sistemi organizzativi perché mentre non possiamo cambiare la condizione umana, possiamo cambiare le condizioni in cui gli uomini lavorano2.

Nel suo libro Margini di errore, con la consapevolezza culturale di ciò ho scritto, Daniele Coen, già direttore del Pronto soccorso dell’ospedale Niguarda, a Milano, invece di fare la cronaca facile di periodi difficili come quelli che stiamo vivendo da tempo, prova a spiegare la vicenda degli errori medici, compresi alcuni suoi, con la logica, con la necessità di dover mettere insieme variabili tutte diverse, come l’etica, la preparazione professionale, il sovraffollamento, la difficoltà professionale del medico. Senza trascurare ciò che chiamiamo “errore banale” nel linguaggio comune.

Propongo ai lettori una sintesi dei capitoli, cercando di associare a ciascuno uno o più temi che mi sembra Coen vi abbia trattato.

Il capitolo 1, Un bambino mai nato, raccontando vicende partite dalla cronaca, è servito a Coen «come esempio di una frequente causa di errore: l’eccessiva fiducia nel risultato degli esami»3. L’autore ne trae spunto per mettere assieme statistiche, radiologia, biografie di medici. E per spiegare perché, anche se in tribunale si pensa spesso in modo diverso, «la diagnosi è un processo probabilistico»4,p.18.

Il capitolo II, Il telegrafo senza fili, affronta parte dei problemi che riguardano i processi della comunicazione verbale. «Dunque signora – scrive Coen – dovrà prendere due compresse di warfarin lunedì e martedì, una compressa mercoledì e giovedì e poi mezza compressa nei giorni seguenti»4,p.24. Leggere cose del genere, cioè prendere il farmaco giusto, il giorno giusto, alla dose giusta, suscita nella nostra memoria il ricordo del lancio di una moneta con la domanda “testa o croce?”. Il problema della comunicazione emerge in diverse altre occasioni, che Coen esemplifica in numerosi esempi riportati dalla letteratura medica. Uno, per esempio, è quello dello scorretto passaggio di consegne. Uno di questi, con 122 casi di gravi errori, e che portò in un terzo dei casi al decesso del paziente, fu dovuto allo scorretto passaggio di consegne, rilevabile nel 24 per cento dei casi4,p.28.

Nel capitolo III, L’occhio clinico e il suo contrario, Coen cerca di dare la giusta dimensione a capacità che altrimenti portano lontano. «Più un medico diventa esperto – osserva – maggiore è la sua capacità di cogliere nel paziente […] i segni rivelatori di questa o quella condizione. E più si fiderà di sé, più sarà inesorabilmente destinato a sbagliare»4,p.42. Ma le possibilità di errore vengono da varie altre sorgenti. Dal sottovalutare il paziente con sintomi vaghi come la vertigine, o quello anziano nel quale i sintomi di una malattia sono quasi assenti, o quello con presentazioni atipiche, molto più frequenti di quanto s’immagini. «“Atipico è tipico” dicevamo – racconta Coen – e nonostante questa consapevolezza, la mancanza di un quadro clinico suggestivo restava e resta una delle più frequenti cause di errore, anche per i medici più scrupolosi»4,p.50.

Il capitolo IV, So di non sapere, suggerisce al lettore il fatto che anche il medico, come ogni altro essere umano, conosce un limite, non solo intellettuale, ma anche mnemonico e conoscitivo. Deve fare anche i conti, tra l’altro, con il fatto che «la pratica della medicina non è scienza esatta», come scrive Coen. Una diagnosi del miglior medico è nel migliore dei casi una diagnosi di probabilità. Logica sulla quale si insiste più volte nelle pagine del libro.

Nel capitolo V, Un mondo troppo affollato, cerca di affrontare, sempre con casi e considerazioni convincenti, una questione in apparenza banale, quella che Coen chiama degli “errori riflessi” «quelli cioè che un medico fa, nella maggioranza dei casi inconsapevolmente, decidendo di dedicare la propria attenzione a un paziente piuttosto che a un altro quando si trova a gestirne molti (troppi?) contemporaneamente»4,p.61.

Nel capitolo VI, Contare, segnare, ripetere, si affronta il problema degli errori chirurgici e, anche stavolta, Coen presenta il caso italiano come epifenomeno di quello mondiale ed entrambi sono il risultato di difficoltà legate a sale operatorie o di attrezzature o di personale. «Per seguire lo stesso numero di pazienti – osserva Coen – a Nuova Delhi lavoravano sette anestesisti, mentre in Nuova Zelanda erano in novantadue»4,p.89. E il suo commento conclusivo è che «per quanto un medico possa essere abile e dedicato, il suo rischio di sbagliare resterà elevato se intorno a lui non girerà un’équipe di persone capaci di seguire sequenze, protocolli ben definiti, nei giusti momenti del percorso diagnostico e terapeutico»4,p.102.

Il capitolo VII, Il giovane che voleva donare il cuore, oltre a esemplificare i casi ospedalieri dolorosi dovuti alla frequente presenza di un problema psichiatrico serio, aiuta a capire le qualità professionali e umane dell’autore. Nel raccontare la vicenda di un paziente, Coen osserva alla fine: «A distanza di quarant’anni questa storia mi disturba ancora. Mi chiedo se avrei dovuto riconoscere la presenza di segni d’allarme di un rischio suicidario imminente e se di conseguenza avrei dovuto insistere per accompagnarlo subito (con la forza?) in ospedale per una visita specialistica. […] Devo però anche ammettere, con vergogna, che l’idea che Giosuè potesse suicidarsi non mi aveva sfiorato neppure per un momento»4,p.105. Non so quanti lettori concorderebbero, ma a me sembra un esempio di onestà intellettuale,

Il capitolo VIII, Ho fatto tutto il possibile, forse anche troppo, affronta tutto quanto ruota attorno alla “medicina difensiva”. Ma Coen parte da due premesse, ovvero la dimensione del fenomeno e quale sia la sua posizione sulla categoria dei medici, rispetto alla quale – sostiene – di non avere pregiudizi positivi. «La vera medicina difensiva – conclude nel capitolo – non può che essere la trasparenza degli atti medici e il diritto dei pazienti a partecipare in modo informato alle scelte che li riguardano»4,p.114.

Il capitolo IX, Meno è meglio, presenta quanto ha fatto sinora nel mondo il movimento Choosing Wisely, fedele alla norma “Fare di più non significa fare meglio” e creatore di Choosing wisely Italy prima, e che ha contribuito a ispirare dopo il movimento Slow Medicine. Il primo, fondato negli USA da Howard Brody, ha lanciato la proposta che ogni società scientifica specialistica creasse “the Top Five List”, una lista di cinque test diagnostici curativi, prescritti comunemente dai membri della stessa società specialistica, test tra i più costosi, che esponessero i pazienti a rischi e che, secondo prove scientifiche di efficacia, non apportassero benefici significativi ai pazienti ai quali erano prescritti. Nel febbraio del 2020, le raccomandazioni definite da società scientifiche e associazioni professionali italiane, per favorire il dialogo tra medici e altri professionisti della salute e pazienti su esami diagnostici, trattamenti e procedure a rischio di in appropriatezza, in Italia sono 230 circa.

Il capitolo X, Parliamone, mi è parsa davvero una conclusione adeguata per un libro del genere. Un libro che suggerisce di riflettere anziché di colpevolizzare, che indica di parlare invece che di chiudersi. «Proprio la percezione di perdere la fiducia del proprio paziente è un’altra delle ragioni per cui molti medici finiscono per tacere»4,p.130. Ma «resta legittimo il dubbio che una perdita di fiducia nel proprio medico (se non addirittura nella classe medica tutta) possa nuocere ai pazienti riducendo la loro adesione ai progetti di cura»4,p.143.

Sulla scorta dei lavori di psicologia cognitiva e riflettendo sui rapporti fra errore umano e catastrofi come quelle di Chernobyl o del Challenger, il paradigma di Reason per spiegare l’errore umano ha trovato largo consenso tra gli studiosi. Coen ne ha proposto le ragioni esplicative in campo sanitario, per quanti lavorano in Pronto soccorso o altrove in ospedale. Ma il volume è “preparato” per essere venduto al grande pubblico, osservazione che spero non ne limiti il mercato dei lettori medici. Dal New England a riviste analoghe, Coen ha cercato di fare i conti con i problemi di tutti.

Bibliografia

1. WHO. Patient Safety. 13 settembre 2019. https://www.who.int/news-room/fact-sheets/detail/patient-safety.

2. Reason JT. L’errore umano. Bologna: Il Mulino, 1994.

3. Thomas L. The Medusa and the Snail: more notes of a biology writer. New York: Viking Press, 1974.

4. Coen D. Margini di errore. Milano: Mondadori, 2019.