Carlo Flamigni, l’orgoglio di un laico

Domenico Ribatti1

1Dipartimento di Scienze Mediche di Base, Neuroscienze ed Organi di Senso, Università di Bari.

Pervenuto il 13 luglio 2020.

«La visione laica si differenzia dalla parte preponderante delle visioni religiose in quanto non vuole imporsi a coloro che aderiscono a valori e visioni diverse. Là dove il contrasto è inevitabile, essa cerca di non trasformarlo in conflitto, cerca l’accordo ‘locale’, evitando le generalizzazioni. Ma l’accettazione del pluralismo non si identifica con il relativismo, come troppo spesso sostengono i critici. La libertà della ricerca, l’autonomia delle persone, l’equità, sono per i laici dei valori irrinunciabili. E sono valori sufficientemente forti da costituire la base di regole di comportamento che sono insieme giuste ed efficaci».

Flamigni A, Massarenti A, Mori M, Petroni A.
“Manifesto di Bioetica Laica”. Il Sole 24 ore, 9 giugno 1996.

Il 5 luglio scorso è morto a Forlì, sua città natale, all’età di 87 anni, Carlo Flamigni. Nato il 4 febbraio 1933, si era laureato in Medicina e Chirurgia presso l’Università di Bologna nel luglio del 1959, con successivo diploma di specialista in Ostetricia e Ginecologia. Docente di endocrinologia ginecologica e ginecologia e ostetricia presso l’“Alma Mater”, è stato direttore della Clinica Ostetrica e Ginecologica dell’Università di Bologna dal novembre 1994 al dicembre 2001.

Membro del “Comitato Nazionale di Bioetica”3, tra i massimi esperti mondiali della procreazione medicalmente assistita. La sua ricerca si è sviluppata particolarmente sulle tecniche di fecondazione assistita, sull’endocrinologia della donna nelle fasi di pubertà e di post-menopausa e sui tumori endocrino-dipendenti. Tra i risultati di maggior rilievo della sua ricerca, va segnalata la complessa indagine, prima sperimentale e poi clinica, relativa al congelamento degli ovociti.

Flamigni ha preso parte in modo attivo al dibattito che si era sviluppato in Italia ai tempi dell’approvazione della legge 40 del 2004 che ha introdotto l’uso delle tecniche di fecondazione assistita nel nostro Paese. Flamigni definì la legge inapplicabile auspicandone una completa abrogazione anche attraverso il referendum. Flamigni dichiarò di essere pronto ad autodenunciarsi per il mancato rispetto di alcuni dei divieti, come il divieto di produrre più di tre embrioni, il divieto di congelarli, di fare indagini genetiche pre-impianto, di accettare donazioni di gameti e anche di rifiutare l’embrione nel proprio grembo una volta prodotto, smontati in buona parte poi dalle sentenze dei giudici. Intanto, le restrizioni hanno spinto circa 10 mila coppie sterili l’anno ad andare all’estero, in cerca di norme più consone, spendendo tanto e spesso rischiando molto. Il 12 e 13 giugno 2005, la legge fu oggetto del referendum popolare sull’abrogazione di buona parte dei divieti che andavano contro il diritto alla salute. Non fu raggiunto il quorum, ma l’80% di chi votò scelse di cancellare le proibizioni su fecondazione assistita e ricerca sulle cellule staminali embrionali. All’indomani del referendum in articolo pubblicato sull’Unità e intitolato “Le ragioni di una sconfitta”, Flamigni scriveva: «La scienza è un grande investimento sociale, forse il più importante di tutti. La società investe nella scienza perché spera di ricavarne vantaggi: per sé, per i suoi figli più deboli e più sofferenti, per tutti. La società vuole che le nuove conoscenze prodotte rendano la vita degli uomini migliore e non può accettare il rischio che i prodotti del sapere possano essere dannosi per l’uomo. Così, lascia libera la scienza di esplorare l’ignoto, perché un occhio che scruta non può fare male a nessuno, chiede invece di poter esercitare un controllo sulle cose che la tecnica produce, perché una mano che fruga può far male, e come».

Flamigni era noto al di fuori dell’ambito specialistico per le sue battaglie civili e politiche dalla parte delle donne, l’impegno divulgativo su temi come contraccezione, aborto («una rivoluzione imperfetta ma riuscita»), sterilità e maternità. Egli cercò sempre di mantenere una posizione di equilibrio nel confronto tra accademici e politici, al quale non si sottrasse mai, all’insegna di uno spirito laico e civile. In un altro articolo dell’Unità del 17 gennaio 2006 titolato “L’orgoglio di un laico”, scriveva: «Le discussioni tra gli studiosi che si occupano di materie mediche e biologiche possono essere aspre e sgradevoli, ma ubbidiscono sempre ad alcune regole. La norma numero uno, quella che si potrebbe definire “aurea”, è che nessuno può essere certo di aver ragione: la medicina è empirica e perciò per sua natura fallace, le verità scientifiche sono rarissime e perciò, dovendoci affidare soprattutto ai cosiddetti consensi, tutti sappiamo che la nostra probabile verità può dissolversi da un momento all’altro, perché molti consensi cominciano a morire nello stesso momento in cui si formano […]. Le discussioni politiche sui temi eticamente sensibili offrono ben altro spettacolo. Anzitutto non esiste alcun metodo che consenta di valutare le varie posizioni con sufficiente distacco, in secondo luogo non c’è il benché minimo rispetto per le ragioni degli altri, ma sempre e soltanto un autocompiacimento irritante, che può diventare persino ridicolo quando le posizioni vengono sostenute da chi non le capisce e si limita a condividerle. Provate a cercare su un qualsiasi giornale le dichiarazioni che comincino con un civile “secondo me”: non ne troverete molte. Troverete molto più spesso soltanto critiche severe e sprezzanti rivolte a chi la pensa in modo diverso, volta a volta demonizzato, insultato, deriso».

Personalità eclettica, Flamigni ha scritto numerosi saggi di divulgazione scientifica, oltre a essersi cimentato anche in ambito letterario come scrittore di romanzi gialli. Per Flamigni: «La scrittura noir ha due significati. Uno è il romanzo gotico della fine del Settecento, inizio Ottocento, che si leggeva per sentire la pelle d’oca; l’altro è l’hard boiled americano, cioè un giallo in cui non è importante la storia o scoprire chi è l’assassino ma le connotazioni, l’ambiente, i personaggi, il messaggio che viene mandato»4.

Primaria è sempre stata nel lavoro svolto da Flamigni la salvaguardia della componente umana nel rapporto medico-paziente, al fondo del quale ci deve essere sempre e comunque una partecipazione alla sofferenza e al dolore, perché, come ebbe a dire: «Come medico ho frequentato soprattutto il dolore fisico, quello del corpo, ma non mi è ignota la sofferenza morale, il dolore dell’anima. Posso dire che vivere nel dolore ci consente di capire fino in fondo che cosa intendiamo per dignità: è la cenestesi dello spirito, il ricordo di me che vorrei lasciare alle persone che mi hanno voluto bene, la consapevolezza di meritare il rispetto affettuoso e sincero da parte delle persone che sono riuscito ad aiutare».