Il dolore si mostrerà più arrendevole a chi gli terrà testa.
Montaigne
Il Nemico oscuro
«O dolore, o dolore, il Tempo mangia la vita ed il Nemico oscuro cresce del sangue che perdiamo
e si rafforza…»
Charles Baudelaire,
I fiori del male
È Marco Aurelio a ricordarci che qualunque sede abbia un dolore del nostro corpo, l’intensità dipende da quanto e da come noi la percepiamo: il dolore è un segno oggettivo, la sofferenza è un sintomo, soggettivo. Da qui – avvertono subito i Curatori di un recente volume (Nalini Vadivelu,  Richard D. Urman, Roberta L Hines: Essentials of pain management. Pagine 834. Springer, New York, 2011; doll. 99,00; ISBN 978-0-387-87578-1) – la pluralità del trattamento e la diversificazione dell’efficacia. Per sviluppare questi concetti ed illustrarne le problematiche si sono impegnati 75 Autori: inglesi, statunitensi ed indiani che, in otto grandi sezioni, hanno esposto le necessarie premesse di anatomia e fisiologia per poi procedere ad una ampia ed approfondita disamina del trattamento, sia del dolore cronico che di quello acuto.
L’apertura è costituita da un rapido excursus storico e filosofico sulle differenti teorie per contrastarlo, per attenuarne la virulenza: controllo, palliazione, ipnosi. Su quest’ultima, il testo fornisce documentazione cospicua, ricordando l’alternativa da essa per lungo tempo rappresentata alla pratica anestetica in chirurgia. Viene notato, peraltro, come il dolore non abbia subìto da sempre la correlazione penalizzante e delebile oggi generalmente attribuitagli. «Nell’iconografia del martirio, i volti estatici dei Santi – scrivono Vadivelu et al. –  tendono ad accreditargli nobiltà di disciplina spirituale tutt’altro che ricusabile: da coniugare, piuttosto, in modi edificanti con la preghiera, la meditazione e la virtù dell’accettazione».



Le sezioni dedicate alla terapia vera e propria sono ancora più corpose e dettagliate.
Si comincia dai Sumeri (2000 a.C.) per giungere allo scenario politico-bellico del 2000 d.C., in Afghanistan, principale sorgente mondiale dell’oppio (93% della produzione), secondo la recente denuncia dell’Osservatorio ONU contro la droga e la criminalità (l’esportazione frutta al Paese più di 60 miliardi di dollari all’anno).
I contenuti sopra accennati sono esposti in forma piana e non priva di notazioni originali, tanto che per alcuni aspetti il libro può essere giudicato esemplare. Ad esempio, è uno dei pochi testi che, a nostra memoria, si sofferma a dovere sull’importante ruolo dell’effetto placebo nel trattamento del dolore. Lodevolmente approfondita è altresì l’indagine (un intero lungo capitolo) sulle diverse teorie e pratiche analgesiche: la cognitiva, quella di condizionamento, l’oppioide; senza tralasciare gli ausili della medicina complementare (l’erboristeria, i supporti minerali e vitaminici, l’agopuntura). Singolari ed assai utili ai fini didattici si rivelano due accorgimenti metodologici. Il primo: una casistica sagacemente selezionata in chiusura d’ogni capitolo, che costituisce per il discente un sussidio mnemonico “vissuto sul campo” e, insieme, un banco di verifica delle proprie attitudini clinico professionali: reservoir operativo, a nostro parere, di utilità tutt’altro che effimera. Il secondo, assai proficuo strumento, è costituito da un’Appendice di quesiti a risposta multipla che non tralascia alcuna controversia denunciata nel testo (capitolo per capitolo). Anche in questo caso non è chi non preveda un ricorso frequente e diffuso a tali pagine dirimenti, a fronte degli ineludibili (e provvidenzialmente nutritivi) dubbi diagnostico-terapeutici. Per un testo che si ripromette anche finalità pedagogiche, sono, questi, pregi importanti.
Equità impone, per contro, di rimarcare un deficit non meramente formale: la insufficiente qualità dell’iconografia. L’assenza del colore nelle riproduzioni di imaging e la sproporzione tra il numero di fotografie e schemi, tra figure e diagrammi, insinua, infatti, un sospetto di precarietà che contraddice l’opulenza del testo; tuttavia, fa sperare – al contempo – in una sollecita riparazione nella probabilmente prossima  ristampa.
In complesso, il volume costituisce un contributo apprezzabile nel contesto assistenziale italiano, ove – recentemente – è stata introdotta una nuova legge (la n. 38) finalizzata a garantire il diritto del malato a ricevere un più adeguato trattamento del dolore. La legge è finalmente arrivata a favorire un reale  progresso nel trattamento antalgico, anche grazie alla realizzazione di progetti informativi, formativi ed organizzativi specifici.
Tra essi, la creazione delle reti di cura palliative e di terapia del dolore e l’istituzione del Progetto “Ospedale-Territorio senza dolore”, progetto volto a sviluppare una maggiore integrazione delle attività finalizzate al controllo del sintomo. È, questa, una finalità nobile, ormai non più procrastinabile in una cultura erede dei valori umani e civili acquisiti dall’Illuminismo; come ci ricordava, anni or sono, Gaetano Salvemini, acuto studioso di quella grande Storia: «… se nessun nato di donna può sfuggire al dolore, ognuno può aspirare a ridurre la quantità e a conseguire in questa valle di lagrime non la felicità assoluta, ma almeno qualche poco di felicità.»

Franco D’Angelo

Liberi di farci del male?
«Non guardare il vino quando rosseggia,
quando scintilla nella coppa
e scende giù piano piano,
finirà col morderti come un serpente
e pungerti come una vipera.»
Bibbia: Proverbi 23, 31-34
Alcol e tabacco sono le più diffuse cause di abuso e dipendenza da sostanze.
Negli Stati Uniti, l’eccessivo consumo di bevande alcoliche è associato a circa 75.000 morti ogni anno e al 41% di quelle conseguenti ad incidenti stradali. Analoghe considerazioni valgono per l’elevato uso di tabacco, che uccide di più dell’AIDS, degli infortuni da traffico, delle tossicodipendenze.
L’associazione dei due abusi (tabacco ed alcol) peggiora significativamente gli effetti dannosi; queste problematiche costituiscono l’argomento di un recente volume: Alcohol and tobacco: medical and sociological aspect of use, abuse and addiction. Otto-Michael Lesch, Henriette Walter, Christian Wetschka, Michie Hesselbrock, Victor Hesselbrock. Pagg. 354. Springer: New York, Wien, 2011. Dollari 99. ISBN 13-978-3-7091-0145-2.
Nell’introduzione, Lesch non esita a classificare – alla luce delle odierne statistiche – l’eccessivo consumo di alcol e di tabacco come vera e propria tossicodipendenza, da monitorare continuamente  (e globalmente) al fine di un trattamento mirato. Eziologia e patologia di tale dipendenza sono le tematiche dei successivi due capitoli; con una sottolineatura rilevante: la valutazione della vulnerabilità individuale, fattore soggettivo che non deve essere trascurato, in quanto necessario a calibrare l’entità della diagnosi, il programma terapeutico, l’itinerario prognostico.



Proponendo una quadruplice tipologia di alcolismo, Lesch intende “sistematizzarlo” in gruppi e sottogruppi ed insieme proporre un fondamento di nosologia psichiatrica.
Nel prosieguo, infatti, là dove vengono individuate ed illustrate le nocive affinità tra alcolismo e tabagismo e le relative modalità di trattamento, si sottolinea l’utilità di tale classificazione; la quale risulta altresì come razionale presupposto della strategia preventiva descritta nel nono capitolo, con singolari, importanti distinzioni, onde non provocare, da una parte, irrimediabili crisi di astinenza e, dall’altra, altrettante rischiose recidive.
La validità delle­­­ esperienze e dei suggerimenti degli Autori (anche in chiare ed esaustive tabelle e illustrazioni) è confermata non solo dai risultati della farmacoterapia, ma, altresì, dalla felice integrazione con altre modalità di trattamento.
Si giunge, infine, al capitolo 10, il più esteso del libro, quasi un terzo della foliazione: esso è focalizzato sulla socioterapia, data la convinzione degli Autori, secondo cui il primum movens della dipendenza alcol-tabacco è di natura sociale. Così come sociali sono le conseguenze, sociali dovrebbero essere prevenzione e terapia.
Ha scritto recentemente Giuseppe Remuzzi che gli argomenti più utilizzati quando si parla di scoraggiare il consumo di alcol e sigarette sono le statistiche d’incremento del rischio per tumori e malattie cardiovascolari; ma – ha aggiunto –: «Pochi valutano gli “altri” costi. Chi beve e fuma costa, lo sanno tutti, e questo sottrae risorse per migliori progetti di salute, l’assistenza agli anziani, per esempio … Quante ore di lavoro si perdono in Italia per malanni da alcol e fumo? Senza questi costi, ciò che ogni anno abbiamo a disposizione per la salute basterebbe senza tagli né ticket, e sarebbe per tutti. Insomma, forse non è vero che ciascuno deve essere libero di fare ciò che gli pare, compreso farsi del male, se vuole.»
In un capitolo dedicato, Christian Wetschka argomenta come la socioterapia debba considerarsi quale esperienza e tecnica distinta dalla psicoterapia, in quanto mirata ad una patologia condizionata e modellata essenzialmente dall’ambiente e dalle condizioni di vita del singolo soggetto. In tale forma di trattamento gli Autori ripongono notevole fiducia anche per i comprovati, lusinghieri esiti (riportati in casistica) di reinserimento familiare, lavorativo e civile. Ed è anche questa loro esperienza sul campo ad aggiungere pregio di attendibilità clinica ad un’opera già significativa per dottrina e documentazione bibliografica: da raccomandare non soltanto agli specialisti.

Gaia de Bouvigny